Antioco Casula (Desulo, 11 novembre 1878 – 3 marzo 1957), unanimemente conosciuto come Montanaru, è ritenuto a buona ragione -sia dalla diffusa stima popolare che dalla critica letteraria, sempre generosa di incoraggianti recensioni- uno dei maggiori poeti in limba della Sardegna.
Antioco Casula, dopo aver frequentato alcuni anni di ginnasio a Cagliari e Lanusei, interrompe gli studi e si arruolò come sottufficiale nell’Arma dei Carabinieri. Nei continui trasferimenti, che segnano i suoi otto anni di carriera militare, conosce e studia l’inestimabile ricchezza delle parlate locali presenti nell’Isola: proprio nella piccola stazione di Tula (SS) nascono i più bei canti della prima raccolta. Successivamente è impiegato all’Ufficio Postale di Desulo e poi, conseguito il diploma della Scuola Normale, insegnante a Ierzu e Desulo si dedicherà alla grande passione della poesia. Montanaru ebbe un’esistenza segnata da ripetuti lutti familiari (la prematura morte di alcuni figli e della prima moglie) e da grandi dolori (l’arresto orchestrato nel 1928 dai gerarchi fascisti, con la falsa accusa di favoreggiamento a dei banditi). Dopo la guerra aderì al Partito Sardo d’Azione, trovandosi idealmente “più incline verso le posizioni dell’ala indipendentista del partito”.
Nell’ampia produzione lirica, raccolta nelle quattro sillogi Boghes de Barbagia (1904), Cantos d’Ennargentu (1922), Sos cantos de sa solitudine (1933) e Sa lantia (1950), rappresenta con la passione da “innamorato della sua terra” l’unicità delle bellezze naturali, delle tradizioni e cultura dell’Isola. Le raccolte “Canticos de amargura” e “Sas urtimas canzones”, scritte da Montanaru dopo il 1950, vennero pubblicate postume a cura del genero Giovannino Porcu. Tanti canti di Montanaru vennero tradotti in francese, inglese, tedesco ed in italiano dalla pasionaria sardista di Orani Marianna Bussalai (1904-1947), meglio nota Mariannedha de sos Battor Moros. Le sue liriche vennero apprezzate da diversi artisti e dagli intellettuali sardi Sebastiano Satta, Francesco Ciusa, Giuseppe Dessì e Grazia Deledda, che conobbe solo epistolarmente anche se accomunati dalla giovanile collaborazione al periodico letterario cagliaritano “La Piccola Rivista”, fondato e diretto da Ranieri Ugo. Nel 1925, rappresentando la Sardegna al Congresso nazionale dei dialetti d’Italia a Milano, acquisì una vasta notorietà e l’attenzione di Giuseppe Ungaretti, Giovanni Papini, Ada Negri, del linguista tedesco Max Leopold Wagner e dei poeti dialettali in romanesco Cesare Pascarella e Trilussa (Carlo Alberto Salustri); successivamente s’interessa alla poesia di Montanaru, e particolarmente alla composizione Est una notte ‘e luna, anche il giovanissimo Pier Paolo Pasolini che, come poeta e operatore culturale, contribuirà in modo significativo alla complessiva valorizzazione della letteratura dialettale. La lirica sarda che conquistò Pasolini è composizione “senza tempo e senza spazio” e rappresenta la speranza di una terra, vestita d’antichissimo pianto, a cui il poeta propone la tranquilla bellezza di una notte serena, dove il cielo risplende candido come un velo da sposa e veste di luce totalmente la terra.
Est una notte ‘e luna
Est una notte ‘e luna,
De cuddas lunas de atonzu giaras,
Chi cando tue t’acciaras
A la ider’andare,
Isperas novamente in sa fortuna.
Hat piòpidu tantu
Tottu sa die. Pariat sa terra
In s’adde e in sa serra,
Tra sos fenos siccados,
Bestida de antighissimu piantu.
Ma ecco in su serenu
Avanzare sa notte: giaru chelu
Risplendere; e che velu
De isposa, sa luna,
Bestit de biancore onzi terrenu.
I versi di Antioco Casula Montanaru dispensano un genuino tepore di umanità e musicalità che da sempre penetra profondamente nell’animo della gente sarda e invoglia a un canto meditato. Est una notte ‘e luna è tuttora nel repertorio di numerosi cori sardi; tra le tante originali e superbe esecuzioni segnaliamo la versione pubblicata nel CD Notte ‘e luna (2002) dal Coro di Paulilatino “San Teodoro”, con musica del direttore Giovanni Antonio Mellai e le voci dei solisti Franco Ponti e Salvatore Trogu.