redazionale Tottus in Pari
Trenta milioni di euro per il rilascio di Rossella Urru e della cooperante spagnola Ainhoa Fernandez de Rincon. Proprio nel giorno in cui alcuni quotidiani algerini, con tempistica sorprendente, attaccavano con decisione i miliziani del Movimento per l’unicità e la jihad nell’Africa occidentale per il rapimento di sette diplomatici di Algeri, un portavoce del Mujao, alla France Presse, ha dettato le condizioni per il rilascio, oltre che degli ostaggi algerini, anche della cooperante italiana rapita il 23 ottobre in un campo saharaoui, e della spagnola. Sono richieste pesanti: oltre ai trenta milioni di euro per liberare Rossella e Ainhoa altri quindici sono stati chiesti per il console generale algerino di Gao e i suoi sei collaboratori. Una richiesta che, nel caso della cooperante italiana e della sua collega spagnola (lavoravano per due diverse ong nel Sahara Occidentale), gela l’ottimismo che si era fatto strada nelle ultime settimane, quando la totale assenza di notizie aveva fatto sperare che la trattativa stesse andando avanti. Evidentemente così non è e l’enorme riscatto richiesto rischia di fare impantanare la trattativa e di allungare i tempi. Una richiesta che peraltro deve essere anche interpretata, perché chi regge veramente le fila del Mujao sta conducendo una partita delicata, ma sapendo di potere reggere il gioco su più tavoli. Il fatto che abbia chiesto trenta milioni per il rilascio solo di Rossella Urru e di Ainhoa Fernandeza de Rincon e non anche del secondo cooperante spagnolo, Enric Gonyacons, inserisce un elemento di novità nella trattativa poiché questa scelta appare spiegabile solo se si pensa che, in questo modo, il Mujao intende aumentare la pressione su Roma e Madrid, che hanno detto da sempre di non voler trattare. Non menzionare poi il terzo ostaggio è un ulteriore elemento di incertezza, che i miliziani hanno inteso inserire. Resta poi da capire dove i tre ostaggi (sempre che siano ancora insieme) siano tenuti prigionieri. Rapiti nel sud dell’Algeria, potrebbero essere ovunque anche se il nord del Mali, “liberato” da tuareg e jihadisti insieme, sarebbe oggi il luogo ideale. Sempre che non abbia un minimo di fondatezza – dovuta più che altro ai rapporti tra il Mujao e Boko Aram – la voce che siano stati portati in qualche luogo sicuro in Nigeria. Dopo mesi di silenzio, a Samugheo, il paese natale di Rossella Urru in provincia di Oristano, ogni notizia che riguardi la cooperante rapita il 23 ottobre scorso in Algeria può essere una “buona notizia”. E lo è stato anche quella della richiesta di riscatto. “E’ un buon motivo per ricominciare a sperare”, ha commentato lo zio di Rossella, Mario Sulis, vicinissimo alla famiglia e animatore del Comitato spontaneo che si è costituito in paese per tenere alta l’attenzione sul rapimento. La sua prima reazione, in realtà, era stata molto meno positiva: secondo la prima versione della notizia che ha circolato di bocca in bocca a Samugheo, la richiesta di riscatto, infatti, sarebbe stata accompagnata da una minaccia di morte in caso di mancato pagamento dei 30 milioni. “Con quella minaccia non era certo una buona notizia per nessuno e tantomeno per i genitori”, ha spiegato Sulis augurandosi che ora qualche cosa possa cominciare finalmente a muoversi nel verso giusto. Intanto in paese cresce l’attesa: nessuno, in questi sei mesi, ha perso le speranze di poter rivedere presto Rossella, dal sindaco Antonello Demelas al parroco Alessandro Floris, sempre in prima linea nelle iniziative per chiederne la liberazione, mentre striscioni e foto della giovane cooperante sarda campeggiano su facciate di Municipi e altre sedi istituzionali non solo dell’Isola.