di Paolo Pulina
Ho riportato e commentato su questo Blog le liriche dedicate alla Sardegna dai poeti Vincenzo Cardarelli (1887 – 1959), Salvatore Quasimodo (1901–1968) e Alfonso Gatto (1909 – 1976), testi molto significativi e importanti ma quasi del tutto ignorati in Sardegna e negli ambienti dell’emigrazione sarda.
Credo di aver contribuito a togliere lo strato di polvere spessa calato su questi componimenti e di aver ridato loro nuova linfa vitale inserendoli nel circuito comunicativo di Internet, che può favorire finalmente la loro completa conoscenza e il riconoscimento e l’apprezzamento del notevole valore del loro contenuto artistico.
Internet è certamente una grande risorsa ma per continuare la ricerca sui giudizi dati dagli specialisti su queste composizioni poetiche di argomento sardo ho dovuto rifrequentare le biblioteche universitarie e recuperare in esse i volumi che riportano le analisi elaborate dai maggiori esponenti della critica letteraria.
Partiamo da Gianfranco Contini (1912–1990), filologo, storico della letteratura italiana, considerato uno dei più autorevoli esponenti della critica stilistica.
Consultiamo la sua raccolta di saggi critici Esercizi di lettura sopra autori contemporanei; con un’appendice su testi non contemporanei. Edizione aumentata di Un anno di letteratura (Torino, Einaudi, 1974), in cui è contenuto, tra gli altri, anche il saggio “Inaugurazione di uno scrittore” che nel 1939 consacrò lo scrittore sardo Giuseppe Dessì, di cui vengono analizzate le due opere San Silvano e La sposa in città.
Ebbene, nel capitolo “La verità sul caso Cardarelli” (testo pubblicato originariamente nella rivista “Solaria”, maggio-giugno 1934), Contini fa un’osservazione generale sulle caratteristiche della poesia di Cardarelli: «Codesti rilievi riguardano tutti un punto fondamentale, che ha un’autodenuncia anche in Cardarelli: la continuità fra prosa e poesia; ed è quanto dire un riconoscersi del ritmo nel discorso, della metrica nell’oratoria» (pag. 40) per poi dare un giudizio, tra le altre composizioni del poeta, di Sardegna: «[…] anche Sardegna è per lo più spaziale, allineata, e cioè narrativa» (pag. 42).
Nel numero datato settembre 1942 della rivista “Nuova Antologia”, volume n. 423, Salvatore Rosati pubblica un saggio in cui recensisce le Poesie di Vincenzo Cardarelli e dà un giudizio non esaltante di Sardegna: «L’ostinazione dello scrittore a battere sul suo mondo umano – anche se talvolta, inasprita dallo stesso intento polemico, abbondi di cadute prosastiche dove i versi non hanno altra ragione che di semplici “a capo” tipografici – riesce innegabilmente a captare lo scatto apologetico e autobiografico nella sua più brusca immediatezza, la bizza dell’isteria e l’angoscia di un’esistenza in fondo solitaria e desolata. Il contrasto fra l’alterigia del tono e lo schianto della confessione che malgrado tutto sgorga dal cuore dell’uomo, conferisce una concisa drammaticità a non pochi di questi componimenti. Quando invece lo scrittore vuol mettere sé stesso in secondo piano, dà in un paesismo estremamente descrittivo e perfino storicheggiante come in Sardegna. Questi, insieme con certi avvicinamenti al tono popolaresco (si vedano i versi di Santi del mio paese), sono i momenti meno felici della raccolta».
Anche Pier Vincenzo Mengaldo (Milano, 1936), ordinario di Storia della lingua italiana presso l’Università degli Studi di Padova, è un esponente di punta dei metodi della critica stilistica. Ecco cosa scrive a pag. 203 del volume La tradizione del Novecento: da D’Annunzio a Montale (Milano, Feltrinelli, 1975) riguardo a Sardegna di Cardarelli: «I punti di contatto con D’Annunzio sono anche in Cardarelli varii e frequenti: e si tratta piuttosto di schemi retorico-formali che di meri elementi lessicali o visivi isolati e appariscenti. Essi emergeranno con più evidenza, è chiaro, quando il debito tematico è più forte, quasi obbligato. Palmarmente, ad esempio, in Sardegna — è il tipico tema del placet experiri come visitazione rammemorata di luoghi esemplari: e allora, fra molte cose, riaffiora il gusto della caratterizzazione paesistica per sintesi emblematiche e a cumulo:
io percorsi, o Sardegna, le tue strade
saline di Gallura,
la terra d’Orosei, bianca, africana,
la Barbagia granitica e selvosa,
l’Ogliastra rossa,
O, nuovamente, l’iterazione delle prime persone del perfetto:
Io percorsi, o Sardegna, le tue strade…
mi spinsi a Teulada…
sostai fra gli ombrosi aranceti di Milis…
risalii l’altipiano ventoso, verso Mandas…
mi ritrovai fra la tua fiera gente barbaricina…
m’avventurai per folti paradisi di selvaggina…
ti conobbi dovunque, isola ardente e varia…
lo sentii nella grazia del tuo linguaggio…
e vidi Pisa, là dove a un tratto sull’alpestre cima
due vecchie mura castellane, orrende,
rammentano il conte Ugolino».
Segnalazione finale. La poesia Sardegna di Vincenzo Cardarelli è stata pubblicata e tradotta in sardo da Mario Maxia nella rivista “La grotta della vipera” (pagine 48-52 del fascicolo n. 5-6 del 1977).
Puoi mettere a disposizione i testi? Da quella di Cardarelli che ho letto sul tuo blog riemergono i soliti topoi del mistero/fierezza/alterità con gli unici elementi storici rappresentati dal conte Ugolino e dai “pisani”. Sai che novità.
Alessandro Mongili (che non conosco: è un docente di sociologia a Padova?) deve essersi distratto un attimo: “Tottus in Pari”, grazie ai miei articoli, ha pubblicato integralmente non solo i versi di “Sardegna” di Vincenzo Cardarelli, ma anche quelli delle due poesie “sarde” di Salvatore Quasimodo (“Sardegna” e “Spiaggia di Sant’Antioco”) e di Alfonso Gatto (“Funerale in Sardegna” e “Epigramma sardo”). Quindi “i testi” sono stati messi a disposizione. Di fronte a liriche di poeti come Cardarelli, Quasimodo, Gatto – “laureati” non solo dai grandi critici ma anche dall’ “Università” culturale del nostro Paese – il giudizio snobistico che parla di “soliti topoi” è, mi scusi Mongili, un “topos” dei più comuni, di quelli giustappunto che invitano a concludere sconsolatamente: sai che novità! E che fatica!