di Massimo Lavena
Quanti morti in Libia? 300, 400? Sapremo mai quanti sono stati uccisi negli scontri in Algeria, o quanti sono morti in Tunisia o nell’esotico Oman? Ogni giorno che passa nuove immagini di violenze, da quale parte arrivino non importa, sempre di violenza si tratta, una volta sono i manifestanti e una volta sono i mercenari e una volta è la povera gente e poi ci sono gli intellettuali e poi ci sono quelli che, comunque vadano a finire le cose, disperati erano e disperati rimangono e si chiedono solo chi darà loro un tozzo di pane? Quante domande, mentre barconi carichi di ragazzi, di giovani, di uomini e donne più o meno disperati partono dalle coste nord africane. Spinta dalle forze della natura la marea umana si prepara, si imbarca e salpa, verso quella realtà non è dato sapere. E forse non è dato sapere neanche il vero motivo del perché all’improvviso tutta l’Africa Mediterranea si sia risvegliata in un moto di ribellione, dopo decenni di governi da tutti noi riconosciuti come non democratici, ma pedissequamente accettati o per motivi economici o perché meglio far finta di non sapere, non considerare i problemi d’oltre mare per continuare a ricevere il petrolio ed il gas. Meglio far finta di niente davanti ai regimi che facevano comodo, per utili accordi economici e manodopera a bassissimo costo, sfruttata in mille rivoli di aziende che dal traffico delle vite umane lungo le rotte del Mediterraneo hanno avuto ricchezza, tanta ed a buon mercato. E tutto ciò con la silenziosa partecipazione dell’Unione Europea, che davanti al rischio dell’onda umana verso le nostre coste ha fatto orecchie da mercante, rinviando a data da destinarsi una azione politica degna di questo nome. Potrà sembrare una sintesi rabberciata, ma la realtà dei fatti è oltre la nostra comprensione. E noi, nella nostra bella Sardegna? La nostra “Portaerei del Mediterraneo”, che fa acqua da tutte le parti, con uno dei tassi incidentali di disoccupazione più alti in Europa, con la fuga dei giovani, con i cinquantenni del comparto chimico che non sanno se vedranno la pensione … noi, siamo pronti alla marea? Ci rendiamo conto che poche centinaia di miglia ci distaccano dalla costa africana? Consideriamo l’ipotesi di centinaia e centinaia di affamati che potrebbero decidere di scegliere le nostre coste per poi chiederci pane e acqua, e aiuto, e lavoro, o solo un po’ di requie? Se mi fermo a riflettere alla luce di queste domande ho i brividi, perché mi vengono in mente le fabbriche che chiudono e le campagne depresse, e il prezzo del latte ovino e caprino e mi chiedo quale allevatore sarebbe disposto a prendersi un servo pastore del Maghreb, perché c’è qualche giovanotto senza arte ne parte nel paese che è figlio del compare, e bisogna dargli una mano perché non ha lavoro. Se vedessi i barconi provenienti dalla vicina Tunisia, o dalle coste di Algeri scenderei in riva al mare, quel mare che fino a ieri ci ha portato turisti e soldati: e sulla battigia avrei voglia di urlare “Andate via, qui c’è fame, qui non c’è niente per voi”. Tanti verrebbero a dirmi di stare zitto, perché se è vero che il lavoro non c’è e i giovani scappano, è anche vero che la Sardegna non ha mai respinto nessuno, che fosse invasore o naufrago, che fosse prigioniero di guerra russo mandato a fare il saliniere o turista delle seconde case. Perché la Sardegna ha un cuore che è il cuore della sofferenza, delle miniere, degli emigrati, ha il cuore di quei soldati che hanno costruito l’Italia sul Carso, e che, tornati a casa si sono rimboccati le maniche e si son fatti carico dei figli di quei commilitoni morti nelle trincee o sul Monte Nero. Ed allora, credo e spero, che pur nella precarietà del futuro di questa Isola, abbandonata innanzi tutto dai suoi amministratori, la case dei Sardi si apriranno se dovesse giungere la marea dei fratelli del Maghreb.
Complimenti Massimo o per il bello texto – e a tuttus in pari per la pubblicazione. Sono comossa
Faccio sapere a tutti quanti questo articolo nel Blog Sardegna Terra mia in Portuguese in breve
Ti saluto – Bravissimo!!!
Lucinha Dettori