di Sergio Portas
Voi sapete bene che il Fato, quando va a passeggio, si diverte a passare da un labirinto all’altro, salvo trovarsi a tu per tu con il Minotauro di turno, che allora tocca fare marcia indietro e darsela a gambe con la velocità che gli concede l’età vetusta. Lo stesso cammino intraprende, a mio avviso, qualsiasi individuo che si metta in testa di scrivere un libro. O meglio, scriverlo non è poi così difficile, altro conto è pensare che qualche buon samaritano abbia a pubblicarglielo, senza oneri, e, ancora più utopistico, che qualche altro buon cristiano si prenda la briga di leggerlo. In questo tipo di pensamenti mi andavo dilettando fra le bancarelle del “Salone della piccola e media Editoria Indipendente” che a Milano, fine novembre u.s., ha dato spazio a un’ottantina di espositori, in questa via Tortona che ha avuto la grazia , da quel Fato che vi dicevo, di diventare sede della nuova moda “prèt à porter”, di modo che le vecchie case di ringhiera che la componevano sono schizzate , nel mercato immobiliare che pareva semicomatoso, alla bellezza di cinquemila euro al metro quadro. Per la gioia dei pensionati che le occupavano da sempre. Ti vendi i tuoi cinquanta metri quadri sgangherati e ti comperi una villetta con garage e taverna in Brianza. Ma poi ti perdi queste occasioni di “cultura”, ovviamente, che in Brianza la piccola editoria non se la fila proprio nessuno. Anche qui è arduo districarsi fra mille e mille offerte librarie, se nulla sai degli autori è come comprare a scatola chiusa. Passo vicino all’editore “Nottetempo” che mette in bella evidenza i libri di Milena Agus, da “Mal di Pietre”, il suo primo grande successo con ripetute edizioni e traduzioni all’estero, alla “Contessa di ricotta”, l’ultimo suo libro ambientato in una Cagliari ricca di sole e di venti salmastri. Vado cercando l’unico editore sardo presente all’evento:”La Riflessione-Davide Zedda Editore” di Cagliari. Non fosse mai che a qualche lettore venisse in mente di ripetere la performance della Agus piuttosto che di Niffoi, della Murgia o di Fois. Insomma avranno pur cominciato anche loro a pietire perché venisse pubblicato il loro primo romanzo, o scritto che fosse! Credere che questo possa accadere veramente è come credere che il figlio di un keniota (uno dei numerosi) possa un giorno diventare presidente degli Stati Uniti, roba che solo nelle favole per i bimbi. Sia come sia Carmen Salis, che si presenta a Direttore culturale, mi dice che loro pubblicano una media di venti libri al mese, di autori sardi e non. Che mi pare un numero notevolissimo. Del resto il loro catalogo per il 2010 ne comprende cinquecento ( per i veri internauti: www.lariflessione.com). Ne stampano in media un migliaio di copie e, se il libro va, ne fanno ristampe. Ci tiene a precisarmi che non fanno “editing”, cioè il libro viene stampato tale e quale il brogliaccio che presenta l’autore, con tutti i rischi del caso. Si salva naturalmente la libertà di scrittura, che non viene coartata da censure di sorta, con il rischio ovvio che, specie per le opere prime, pagine e pagine di manoscritto che spesso appesantiscono il testo, vadano ad allungare il libro senza per questo che se ne giovi la leggibilità. Nelle case editrici che contano a fare questo lavoro sono, da sempre, chiamati scrittori di grido, tipo Pavese, Calvino stesso . La Salis mi descrive i suoi autori come mercanti di sé medesimi, insomma queste mille copie, una volta se ne sia regalata qualcheduna ad amici e parenti, vanno pur piazzate. Loro hanno anche un programma televisivo “Biblos”, che aiuta nell’impresa, va in onda su “Viva l’Italia channel”, che ha a che fare con Skay, in cui l’autore presenta la sua opera. Certo chi vincesse alla ruota della fortuna un giretto a “Che tempo che fa” di Fabio Fazio avrebbe altre dimensioni d’ascolto. Eppure i debuttanti non si scoraggiano, giustamente, che la letteratura ha da sempre ambizioni d’alto profilo, occupandosi di temi che hanno a che fare con la Verità, la Politica o la Vita vera. Come scegliere dalla bancarella un libro piuttosto che un altro è come al mercato quando vorremmo che il fruttivendolo ci venda un chilo di pere, facendocele prima palpare una per una. Vincono i colori delle copertine e le stranezze dei titoli. Dico la verità, non fosse presente l’autrice, Cristiana Cimmino, che è giornalista professionista dal ’90, un libro come “Finchè morte non ci separi”, Olindo Romano e Rosa Bazzi visti da vicino, non solo non l’avrei degnato di uno sguardo ma forse gli avrei gettato l’occhio con un qualche ribrezzo. Ha un bel dirmi la Cimmino di essersi ispirata al capolavoro di Truman Capote: “A sangue freddo”, per quello che è considerato il suo capolavoro Capote si prese sei anni di tempo per completare una sorta di romanzo-documento in cui descrisse con crudezza e cinismo l’assassinio di un’intera famiglia di Holcomb, nel Kansas. In questo ci sono le lettere dal carcere della copia di Erba, condannati ambedue all’ergastolo per l’uccisione di quattro persone, tra cui un bimbo, nella serena provincia brianzola. Barbara Cidda è di Nughedu S. Nicolò, per il suo “Abba Ia” (Acqua viva) dice che ha impiegato un anno di tempo, è laureata in lettere classiche fenicio-puniche, in attesa che il Fato la faccia impattare nell’impiego d’archeologa a cui aspira per desiderio e specializzazione. Nell’attesa, in quel di Olbia, si è gettata in questa sua opera prima che mischia archeologia, mistero, caratteri e paesaggi sassaresi, duecentocinquanta pagine fitte di dialoghi serrati e percorsi d’animo che se talvolta peccano d’ingenuità la riscattano poi con una sincerità di scrittura ricercata e voluta. Elisabetta Dessì è di Quartu, lei è già alla sua terza raccolta di poesie. “Scarpette verdi” ( in compenso la copertina del libro è di un rosso ciliegia che levati!), mi dice di essere laureanda in psicologia, le sue sono composizioni che definirei a mò di canzone. Scrive robe tipo:” Dove trovarti/ lo immaginerò/ la luna piena/ indicherà la strada/questo buio/ non mi spaventa/ è più cattivo/ il canto di una sirena/”. ( da Ballerò sino alla morte). I titoli degli altri suoi libri sono “Lady Ely” e “Guerriera”, se non mi dicesse che ha ventisette anni le ne avrei dato diciassette, tanto è magra e adolescenziale la sua figura. Sia Elisabetta che Barbara fanno parte della generazione che non parla il sardo, anche se la prima fa dire a uno dei suoi personaggi che, “fizza mia, no l’ischis in nue ses capitada”. (Pag.14). Enrico Guggeri è nato a Cagliari nel ’51, settimo di otto figli, perito chimico , ma anche( leggo dal risvolto di copertina)cantante, attore, musicista e inventore. Mi offre un bicchiere di vino, neanche sardo in verità e mi scrive la dedica al suo “Il Chewingum”, opera prima di centotrentotto pagine, anche qui una storia di misteri e spionaggi dagli inquietanti risvolti. Tutti sono impegnati e lieti di promuovere i loro scritti, come fanno del resto i vari Soriga e compagnia bella, quelli che pubblicano con Bompiani o Mondadori o Adelphi, e allora gli incontri coi lettori e i giornalisti glieli procurano le case editrici. E non è detto che non capiti anche a loro, un giorno, di contare le copie vendute a ritmo di centomila e non di millecinquecento. Il piacere più grande, per tutti, è questo sapere che si entra, col tuo libro, nelle case degli altri, ed hai la tremenda possibilità di dire delle cose che verranno giudicate, apprezzate forse, ma anche disprezzate e derise. Di scrivere, del resto, non possono fare a meno, è costitutivo della loro natura. Pubblicare è un altro paio di maniche. Questi di “Zedda Editore” sembrano un canale praticabile, vendono naturalmente anche su internet, non fanno distinzione di generi, né prediligono autori sardi a scapito degli “italiani qualsiasi”. Districarsi tra le migliaia di pubblicazioni che giornalmente compaiono in edicola, in libreria e sul web è impresa di titani.
Il Caso deve metterci lo zampino e poi occorre possedere una sana fede che anche le cose più assurde possano accadere, che un comunista diventi ministro dei Beni culturali con presidenza di Silvio Berlusconi, che del mio libro, un giorno, si parlerà persino nella “Gazzetta del Medio Campidano”.
Carissimo Massimiliano!
Ti faccio tanti cari auguri di Buon Anno 2011!
Ti ringrazio ancora per il tuo cordialissimo contributo a farmi un po’ piu’ di pubblicita’ nel web…
Mi ha fatto tanto piacere conoscerti, almeno via corrispondenza.
Spero di risentirti presto.
Un carissimo saluto
Gentilissimo Sergio,
grazie per avermi segnalato la pubblicazione dell’articolo, ma soprattutto… per i 10 anni di meno!!! 🙂
Auguri di buone feste,
Elisabetta
Sono arrivata qui dopo aver letto la bella “lettera aperta” che le ha scritto Michela Murgia, la cui newsletter ricevo via mail.
Condivido ogni parola delle riflessioni della Murgia sull’editoria a pagamento, pubblicazioni che ho sempre evitato accuratamente (e come me moltissimi altri lettori attenti alla qualità di quel che leggono).
Vorrei dirle che il suo articolo (al di là della prosa un po’ troppo barocca) contiene diverse inesattezze: prima tra tutte la sua considerazione incidentale sulla Brianza.
Lei scrive: “in Brianza la piccola editoria non se la fila proprio nessuno” dicendo una grandissima sciocchezza: ho frequentato per anni quelle zone e sono stata in moltissimi luoghi in cui -da decenni- si fa cultura ad altissimi livelli. Soprattutto ho frequentato e conosco bene il più straordinario piccolo editore d’Italia, Alberto Casiraghi, che in Brianza (ad Osnago) ha la sua splendida “casa/editrice”, la Pulcino Elefante, uno dei luoghi più fascinosi e interessanti che conosca.
Tornando al discorso principale, ha fatto benissimo Michela Murgia a sottolineare l’importanza del non cedere mai alle lusinghe (davvero misere, in realtà) di chi consente ad un autore la pubblicazione delle proprie opere a proprie spese e credo che proprio i sardi, che possono vantare una quantità di nuovi e straordinari autori davvero fuori dal comune, dovrebbero andar fieri dei tanti bravissimi scrittori che sono riusciti a far conoscere la loro opera in modo “sano” ed evitare di prendere (o, nel suo caso, pubblicizzare) queste svilenti quanto inutili scorciatoie.
Venti libri al mese. Puntano tutto sulla qualità…
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