"MUSICA IN CIRCOLO", L'INIZIATIVA DEL "4 MORI" DI RIVOLI IN COLLABORAZIONE AL "PROGETTO BRINC@"

la band "Lame a foglia d'oltremare" durante la serata a Rivoli

la band "Lame a foglia d'oltremare" durante la serata a Rivoli


di Diego Pani

Se i Sardi non andassero oltre il mare, se si fermassero su quel pezzo di terra emersa a forma di sandalo senza metter piede fuori per vedere cosa c’è oltre il tirreno o magari dall’altra parte del mondo, tutto sarebbe più noioso. Finiremmo a parlare sempre delle stesse cose, menzionando sempre le stesse persone, le stesse storie, le stesse musiche. Per fortuna però (ma anche per sfortuna, a seconda dei casi) il popolo sardo è sempre stato avvezzo al viaggiare, allo stabilirsi in posti nuovi, a crearsi nuove realtà lontano dalla terra madre. Le comunità di sardi sono sparse in tutto il mondo, e mentre nuove si formano altre invecchiano di oltre un secolo. L’immigrazione è sempre stata una costante della Sardegna ed ora, nel 2010, possiamo parlare di sardi cagliaritani, sassaresi, ma anche di sardi berlinesi, newyorchesi, torinesi.

Ma quanto è importante parlare, conoscere, incontrare i Sardi che stanno fuori dalla Sardegna? Conoscere un tuo conterraneo che vive una realtà completamente diversa dall’isola può considerarsi un esperienza estremamente formante. Lo scambio tra sardi di diversa provenienza genera quella commistione che arricchisce la cultura della nostra terra. I campi d’azione? La politica, l’economia, la gastronomia magari, piuttosto che la letteratura. La musica magari. Si, perchè attraverso le note musicali possiamo esprimerci al meglio, noi sardi, e l’incontro tra musicisti genera sempre un momento di grande intensità culturale, figuriamoci se questo avviene tra diversi musicisti sardi residenti però nel continente, immersi ormai in realtà completamente “altre”.

Ad organizzare un incontro come quello che abbiamo ipotizzato ci ha pensato il Circolo 4 Mori di Rivoli (Torino), in collaborazione con “Progetto Brinca”, che nell’ambito della settimana culturale sarda 2010 ha organizzato “Musica in Circolo”, un piccolo festival andato in scena il sedici ottobre grazie alla direzione artistica di Giancarlo Palermo, testa dell’associazione “Che torni Babele” e di “Progetto Brinca”. Nella serata rivolese si sono succeduti sul palco quattro progetti musicali diversi, tutti accomunati da un importante costante, quella di annoverare tra le proprie fila un sardo, immigrato di prima o seconda generazione e residente ora nella città di Torino. La serata è stata delle più eterogenee, dal folk – rock delle lame a foglia d’oltremare, gruppo formato da musicisti sardi residenti nel continente per motivi lavorativi, al disco – pop di Quintomoro, artista sardo – torinese figlio di emigrati, cosi come Max Zaccheddu, anche egli figlio di emigrati è dedito all’etnopop cantato in sardo. Non sono mancate le forme maggiormente lontane dalla musica della Sardegna come i Nebbia, gruppo indie rock in cui milita il bassista Luca Porru, immigrato di seconda generazione, o come le Manàcuma, gruppo che ripropone i canti popolari del sud Italia della cantante polistrumentita Stefania Spanedda, anch’essa emigrata nella città di Torino da diversi anni. 

Il festival è stato motivo d’incontro per diverse persone accorse da tutta la provincia torinese, ma anche per i musicisti stessi, chiamati a confrontarsi e ad esibirsi in un clima “comunitario” come quello dei circoli sardi.

Per approfondire la conoscenza di questa manifestazione ma in generale di tutti i musicisti coinvolti ho rivolto qualche domanda ai diretti interessati. Questo è il risultato delle mie interviste.

 

Stefania Spanedda, cantante e polistrumentista dei Manàcuma

Presentati ai nostri lettori.

Sono una maestra elementare precaria, da 10 anni ho fatto la scelta di varcare il mare  alla ricerca di un lavoro stimolante. 

Che rapporto hai con la tua attuale città?

Torino mi ha aperto le porte. Per noi del Sud Torino era, nell’immaginario collettivo, la grigia città della FIAT quella che rifiutava gli alloggi ai meridionali. Dopo la diffidenza iniziale ho cominciato a scoprire un’altra Torino, in continuo divenire,  pulsante di cultura, o meglio di intercultura. Una città aperta in cui lo scontro tra culture diventa incontro tra persone e si trasforma in ricchezza.

Descrivici meglio il tuo gruppo attuale…

I Manàcuma (il gruppo prende il nome dal grecanico Calabrese e vuol dire Madre Terra) viaggiano alla ricerca delle musiche del sud: si incontrano con le launeddas, tamorre, organetto, chitarre, mandolino, voci e violino, e reinterpretano canti e danze della tradizione campana, salentina, sarda e calabrese.

Recentemente hai partecipato a Musica in Circolo, concerto svoltosi nel circolo dei sardi di Rivoli nell’ambito della Settimana Culturale Sarda 2010. Ci racconti questa esperienza?

Ritrovarsi  a condividere il palco con altri gruppi sardi proprio qua a Rivoli è stato emozionante. Non mi era ancora capitato. Penso che l’idea del circolo 4 Mori e di Brinca sia importante in quanto permette di dare visibilità e spazio anche alle realtà musicali in qualche modo legate alla Sardegna anche qui in Piemonte.

C’è un ricordo particolare sulla musica della Sardegna a cui sei legata?

Mi sono avvicinata alla musica sarda come organizzatrice di eventi e concerti, dal ‘94 mi occupo di musica, ho organizzato concerti con i più grandi nomi della musica Sarda, Corda set cannas, Marino De Rosas, Argia di A. Balia, ho lavorato alla segreteria organizzativa del progetto ABACADA dell’ indimenticabile  A. Parodi. La prima volta che ho sentito le launeddas sono rimasta incantata da questo suono ancestrale che colpiva l’anima, un suono unico prodotto da uno strumento tanto semplice nei materiali quanto complesso per tecnica e melodie.

 

Diego Deidda, Cantante delle Lame a foglia d’oltremare

Un po’ di presentazioni, per cominciare. Dimmi chi sei e cosa fai nella vita, musica compresa naturalmente!

Grazie di questa intervista. La trovo una cosa molto curiosa! Iniziamo dal lavoro: faccio il programmatore per un’azienda torinese. Ho studiato Scienze della comunicazione e mi dedico spesso ad attività di carattere artistico (musica, danza , teatro). Attualmente studio canto al Centro Jazz di Torino.

Quando hai cominciato a suonare?

Ho iniziato da adolescente a strimpellare la chitarra con gli amici. Ma l’incontro con la musica è avvenuto ufficialmente nel Marzo 2004 con le Lame a foglia d’oltremare. Direttamente sul palco!

Che cos’è la musica per te?

La musica è un veicolo di idee, emozioni e movimento. È una bella passione. È soprattutto condivisione: quando componi e quando ti esibisci. In fin dei conti è un gioco, come tutte le arti. Più la frequento più mi piace. Diciamo che finora non sono mai riuscito a pensarla come qualcosa di separato dalla performance. Per me la musica è sempre stato soprattutto il live: le mie passioni giovanili come la danza popolare e il teatro dialettale mi hanno sempre portato ad avere un confronto continuo con il pubblico e anche nella musica il momento che preferisco è quello dell’esibizione.

Descrivici le lame a foglia d’oltremare..

“Le” Lame a foglia d’oltremare sono cinque moschettieri armati di strumento, partiti per una santa crociata di inseminazione musicale mondiale. Chiedono in cambio solo un buon cache e il calore delle fan! Giovani e anziane. Il principale strumento di creatività è il dubbio. La coerenza non è una regola. La musica può raccontare la complessità e l’unicità, l’organico e l’inorganico, il bello e il brutto. I fantastici cinque foraggiano le compagnie aeree e navali ogni qual volta decidono di incontrarsi per provare o suonare. Sono così dislocati: Bologna, Modena, Torino, Terralba, San Vero Milis. Questo significa che le prove in sala possono essere virtuali – condivisione di file musicali e testi tramite internet – o reali – in corrispondenza di un concerto. Genere musicale delle Lame a foglia d’oltremare: world music (ballabile). Lingue in ordine di appartenenza etnica e di esperienza fonatoria del cantante: sardo, italiano, francese, inglese, bolognese, napoletano.

Recentemente hai partecipato a Musica in Circolo, concerto svoltosi nel circolo dei sardi di Rivoli nell’ambito della Settimana Culturale Sarda 2010. Ci racconti questa esperienza?

L’idea di Musica in Circolo mi piace. È un modo intelligente ed efficace di far conoscere gli artisti sardi nel territorio italiano ed europeo. Il progetto Brinca ha maturato una notevole esperienza sul piano della selezione degli artisti e dell’organizzazione delle tournée. La serata musicale a Rivoli è stata un’importante occasione di incontro tra i soci del circolo e i musicisti sardi che operano nel torinese. L’ideale è che vengano individuate delle strutture più adeguate per la musica dal vivo, dove l’iniziativa del circolo e lo spettacolo musicale siano fruibili da a un pubblico più ampio ed eterogeneo.

Cos’è stato suonare in una simile situazione?

Abbiamo suonato per un pubblico che aveva voglia di divertirsi con la nostra musica. Ma come spesso accade in questi contesti, è stata anche l’occasione per riflettere sulla “missione” dei circoli degli emigrati sardi in Italia e nel mondo. Un argomento interessante e complesso: ricco di contraddizioni!

Come mai sei partito dalla Sardegna? Cosa ti ha portato oggi a vivere a Torino?

Sono partito nel 1999 per studiare Scienze della comunicazione a Bologna. Nel 2005 sono tornato per alcuni anni in Sardegna. Nel 2009 ho deciso di ripartire perché desideravo stare in una città che mi offrisse opportunità di lavoro, studio e esperienze che in Sardegna non avrei trovato. Torino mi piace. Ma mi piacerebbe anche abitare per qualche anno all’estero!

Frequenti i circoli dei sardi? Come dovrebbe essere strutturato un circolo oggi?

Gli anni in cui studiavo a Bologna ho collaborato con il circolo sardo: sono stato barista e responsabile culturale per due anni. Ora frequento i circoli molto raramente ma riconosco che siano una grande risorsa umana e organizzativa. Oggi i sardi (in quanto tali) non hanno più bisogno di socializzare dentro una comunità di conterranei, quindi il circolo deve ripensare il suo ruolo e i suoi obiettivi. Deve rivolgersi a nuovi gruppi di interesse, non più selezionati in base all’accento e alle origini. Ogni circolo può avere le sue specificità: si tratta in fin dei conti di associazioni culturali che possono avere obiettivi diversi (volontariato, musica, danza ecc) e competenze diverse (strutture attrezzate e figure professionali specifiche). Oggi, i circoli non dovrebbero inseguire un modello di comunità al servizio dell’emigrato. Gli emigrati sardi non esistono più! Esistono persone dalle identità culturali fortemente contaminate dalle esperienze individuali e dal viaggio.

Quale è il tuo rapporto con la musica sarda? Cosa pensi della attuale scena sarda in Sardegna?

Il mio rapporto con la musica sarda è molto confidenziale. Ci conosciamo da quando ero piccolo. Ho ballato 12 anni in un gruppo folk e ora canto in sardo da sei anni. Diciamo che fa abbastanza parte di me.

L’attuale scena sarda propone artisti che stimo e con cui ho avuto il piacere di condividere delle belle esperienze. I gruppi musicali lavorano tutti con molta passione ma pochi riescono a garantirsi un pubblico al di là del mare. Quindi si sente il bisogno di opportunità come quelle offerte dal progetto Brinca!

Avete collaborato spesso con progetto Brinca. Cosa pensi di questa iniziativa. Ci sarebbero dei punti da migliorare secondo te?

Il progetto Brinca sta crescendo e questo mi fa molto piacere, soprattutto perché stimo moltissimo Giancarlo Palermo per la sua determinazione. Spero che la Fasi e la Regione Sardegna sappiano approfittare delle competenze e delle idee particolarmente innovative di cui si fa portavoce Giancarlo. In ogni caso, penso che questo progetto sia destinato a crescere solo se riesce a liberarsi dalle logiche comunitaristiche che caratterizzano la mentalità di molti circoli sardi: la musica è per tutti, anche se si canta e si danza “in sardo”, quindi anche i luoghi e la comunicazione devono essere adeguati. Se il circolo volesse organizzare un torneo di tennis farebbe bene ad affittare un campo da tennis: l’androne del bar non sarebbe certo un luogo adatto. Lo stesso discorso vale per una kermesse musicale: servono spazi ad hoc, come i live pub, i teatri o altri tipi di sale concerto. Anche il modo di pubblicizzare l’iniziativa va ripensato: il circolo farebbe bene ad affidare la promozione a un ufficio stampa adeguato. Penso che lo staff di Brinca abbia le competenze per offrire questo tipo di consulenze ai circoli sardi che vogliono organizzare concerti e festival musicali. Spero che tutti i circoli sappiano approfittare del servizio proposto dal progetto Brinca per favorire un rilancio delle attività artistiche e culturali di qualità.

C’è un ricordo particolare legato alla musica della Sardegna a cui sei legato?

Le danze campidanesi sono ricche di improvvisazione ritmica: quando danzavo con il gruppo folk non avevo nessuna nozione musicale, tuttavia improvvisavo, con i piedi dividevano le frasi musicali a mio piacimento. Mi piace il ricordo di questa inconsapevolezza.

 

Il tuo gruppo è ormai molto conosciuto in Sardegna, avete vinto tanti premi, fatto due dischi e suonato dappertutto. A cosa si deve questo successo? Qual è la vostra arma segreta?

La nostra arma segreta è il rispetto verso una passione che ci accomuna. Fin dall’inizio abbiamo dovuto fare tanti sacrifici. Ognuno di noi ha una propria vita in una città diversa, tuttavia abbiamo sempre voglia di incontrarci per comporre e suonare. Ci stimiamo per quello che siamo e ci lega una grande amicizia.

Che rapporto hai con la tua attuale città?

Mi piace. Penso che mi stia offrendo molte opportunità sotto tanti punti di vista. Torino vive un periodo di grande fermento artistico e culturale.

Ti capita spesso di incontrare altri emigrati sardi?

Gli emigrati sardi non esistono più da diversi anni. Incontro spesso delle persone nate e cresciute in Sardegna che per brevi o lunghi periodi si stabiliscono in città diverse del Continente.

Secondo te, di che cosa ha bisogno la Sardegna ora?

La Sardegna ha bisogno di autoctoni con una mentalità cosmopolita.

 

Max Zaccheddu, solista

Un po’ di presentazioni, per cominciare. Dimmi chi sei e cosa fai nella vita, musica compresa naturalmente! Quando hai cominciato a suonare?

Mi chiamo Massimo Zaccheddu, sono nato a Santhià nel 1966 e faccio il magazziniere in un’azienda farmaceutica, dal 1986 compongo canzoni. Per problemi famigliari ho dovuto smettere per un po’ di tempo ma dopo qualche anno ho ricominciato a scrivere e cantare. 

Che cos’è la musica per te?

Un grande mezzo di comunicazione che mi consente di regalare alle parole che scrivo una corsia preferenziale di grande passione emotiva, con cui esprimersi al meglio.

Recentemente hai partecipato a Musica in Circolo, concerto svoltosi nel circolo dei sardi di Rivoli nell’ambito della Settimana Culturale Sarda 2010. Ci racconti questa esperienza?

Un esperienza emozionante, che mi avvicina sempre piu’ alle persone della mia terra, la Sardegna. Un occasione non solo per esibirmi, ma per conoscere tante realtà differenti dalla mia. Davvero un avvenimento unico.

C’è un ricordo particolare legato alla musica della Sardegna a cui sei legato?

La grande emozione di essere sul palco del concerto per Pina,per cui ringrazio ancora Andrea Poddighe per avermi dato la possibilità’ di cantare davanti a 30000 persone. E’ stato spettacolare, indimenticabile.

Secondo te, di che cosa ha bisogno la Sardegna ora?

Di aprirsi alle collaborazioni, partecipare alla sua vita politica e di controllo dei progetti di ogni tipo. I sardi non devono amare la propria terra solo con le parole, ma regalarle anche solo 10 minuti del proprio tempo prendendo parte alle relazioni esterne all’isola e coinvolgendo questo fantastico satellite ormai mondiale costituito dai circoli.

Luca “Quintomoro”, solista

Un po’ di presentazioni, per cominciare. Dimmi chi sei e cosa fai nella vita, musica compresa naturalmente!

Sono Gianluca Cotza “Quintomoro”, nato 43 anni fa, figlio di emigrati sardi del Sulcis e cresciuto in Piemonte. Diplomato tecnico elettronico, per sopravvivere faccio l’operaio metalmeccanico in una multinazionale americana: non era certo il lavoro dei miei sogni, ma mi dà da vivere, e di questi tempi non è poco! Ma per uno come me non è certo sufficiente, nutrire il corpo: anche lo spirito vuole la sua parte. Per fortuna, c’è la mia attività “parallela” a tenermi su il morale: scrivo molto, principalmente canzoni ma non solo, e collaboro con due riviste di musica e cultura sarda.

Quando hai cominciato a suonare?

Il mio è stato un percorso un po’ particolare: ho iniziato verso i 12 anni, mio padre si era messo in testa di farmi studiare pianoforte, mi aveva iscritto ad una scuola, ma a me proprio non piaceva, quindi ho smesso quasi subito, ed ora – col classico senno di poi – maledico di averlo fatto. Ho ripreso poi in età adulta, studiando chitarra classica ed iniziando a comporre le prime melodie. Ma la mia vera passione sono le parole, con quelle ho sempre giocato sin da quando ho imparato a tenere una penna in mano, ed ancora oggi , in una canzone – sia quando scrivo che quando ascolto quelle di altri – prediligo il testo, il significato, il messaggio che vuole trasmettere.

Che cos’è la musica per te?

Vita.

Ti definisci “Sardinentale”. Parlaci della tua attività musicale come Quintomoro.

“Sardinentale” è un neologismo che esprime benissimo questo mio status di sardo confuso: da sempre, quando vado in Sardegna mi definiscono “continentale” mentre quanto torno in Piemonte per tutti sono “il sardo”, così ho voluto scherzarci un po’ su, ed è nato questo testo auto ironico in cui si rispecchiano anche moltissimi “sardi di seconda generazione”, quelli come me, appunto, figli di emigrati ma nati sulla penisola.

La mia attività musicale ha avuto un deciso incremento nell’ultimo anno, da quando cioè ho pubblicato il mio dvd, “Santuanni” ed il mio primo album, “Quintomoro”, auto prodotto ma distribuito in tutta l’isola tramite la casa discografica Zentenoa di Sassari. Ho fatto qualche breve tour di presentazione sull’isola e qualche ospitata in spettacoli di artisti già affermati. Partecipo  anche agli spettacoli nei tanti circoli sardi sparsi per l’Italia: le tematiche che tratto nelle mie canzoni, spesso autobiografiche, coinvolgono molto il pubblico. Attualmente sto iniziando a gettare le fondamenta per il nuovo album, intanto sto finendo il montaggio del mio secondo videoclip, “Bandhidu”, girato tra Sassari ed il Piemonte. In vista anche qualche sporadico spettacolo invernale, sempre nell’ambito dei circoli sardi: sarò presto in Belgio e in Francia.

Recentemente hai partecipato a Musica in Circolo, concerto svoltosi nel circolo dei sardi di Rivoli nell’ambito della Settimana Culturale Sarda 2010. Ci racconti questa esperienza?

Con Gianni Collu, il presidente del circolo, c’è un rapporto di amicizia e di reciproca stima: mi invita spesso alle varie manifestazioni di quest’associazione, che è una tra le più numerose ed attive in assoluto. E’ stata una serata a dir poco splendida, per quanto mi riguarda, un caleidoscopio di proposte musicali, cinque differenti gruppi ed artisti – tutti diversissimi tra loro – ognuno con la propria storia che ha però un denominatore comune: essere “figli dell’emigrazione”, con un immenso amore per la propria terra di origine. Con gli altri artisti si è socializzato, riso e scherzato, ma soprattutto condiviso le proprie esperienze, musicali e non.

Cos’è stato suonare in una simile situazione?

Entusiasmante! Il pubblico e gli altri artisti erano molto attenti e partecipi. Purtroppo, il tempo a nostra disposizione era pochino, ed ognuno di noi ha dovuto proporre una sorta di concentrato del proprio repertorio. Ma è stato comunque bello ed intenso.

Sei figlio di emigrati, che rapporto hai con la Sardegna?

Agrodolce è forse il termine più appropriato: la amo, profondamente, in maniera viscerale, e non perdo occasione per farci una capatina, ogni pretesto è buono!  Ma allo stesso tempo la guardo con occhio critico: non capisco proprio certe scelte autolesioniste del popolo sardo, che continua a non perdere il vizio di fidarsi di chi arriva con le solite promesse che non verrano mantenute.

Frequenti i circoli dei sardi? Come dovrebbe essere strutturato un circolo oggi?

Faccio parte del direttivo di un circolo sardo a Torino, che è un po’ in decadenza, a dire il vero. Purtroppo il problema principale, secondo me, è che non si riescono a coinvolgere i giovani. Ho conosciuto diverse realtà, come ad esempio  il circolo “A.Nazzari” di Bareggio (Mi), in cui i giovani sono però molto attivi, riescono ad organizzare eventi davvero lodevoli, ed hanno costituito un gruppo di ballo sardo composto quasi esclusivamente da giovani (qualcosa di simile l’ho visto anche al “Quattro mori” di Rivoli). Probabilmente i circoli ora sono troppi, e c’è dispersione di energie che sarebbe bene unificare: d’altronde, “Fortza  paris” è da sempre il motto dei sardi, bisognerebbe ogni tanto ricordarsene e metterlo in pratica.

Quale è il tuo rapporto con la musica sarda? Cosa pensi della attuale scena musicale della Sardegna?

Sono cresciuto a pane e musica, e sin da piccolo ho ascoltato tutto ciò che il panorama sardo offriva: dai cantautori “impegnati” come Piero Marras e Franco Madau, ai classici Serafino Murru e Vittorio Laconi, ai vari tenores e cori barbaricini, ma anche cose più leggere come Benito Urgu o i Banda Beni ( di cui presto proporrò una cover), o cose meno tradizionali come  Tazenda,  Bertas,  Kenze Neke e moltissimi altri. Insomma, adoro la musica sarda. La scena attuale poi offre uno sterminato esercito di proposte, molto variegate, che spaziano dalle cose più classiche a quelle più insolite, come l’hip hop in limba, che personalmente adoro.

Hai un ricordo particolare legato alla musica della Sardegna?

Tantissimi, non saprei sceglierne uno. Il 2 Luglio del 2007 mi sono diplomato, sulla soglia dei quarant’anni, con tanta fatica ed immaginabile sacrificio. Poche ore dopo ero a Cornaredo, vicino a Milano, ad aprire il concerto dei miei idoli di sempre, i Tazenda, con una mia canzone: non mi sembrava vero! Se devo essere sincero, la mia esibizione fu quasi penosa, a causa della fortissima emozione di quella giornata e di quei momenti, ma conservo quel giorno nel cuore come uno dei più belli della mia vita: realizzare un grande sogno, è già un’impresa, realizzarne due nello stesso giorno, davvero impareggiabile!

Che rapporto hai con la tua città e con la sua scena musicale?

Vivo a Collegno, città di cinquantamila abitanti nell’hinterland torinese, molto attiva per quanto riguarda grandi eventi musicali: qui hanno suonato le più grandi star internazionali. Direi però che il mio rapporto con la scena musicale collegnese è esclusivamente da fan: non credo che a questo pubblico, così ben abituato, possa interessare un “sardinentale” che canta di rabbia ed emigrazione, in una lingua così poco conosciuta e con una voce non proprio celestiale…però, mai dire mai! 

Ti capita spesso di incontrare altri emigrati sardi?

Si, di frequente: ho molti amici emigrati o figli di emigrati, come me, ma sono contrario alla “ auto ghettizzazione”, siamo chiari. non mi limito certo a frequentare solo sardi, preferisco avere un ventaglio di amicizie multietniche: è bello potersi confrontare con culture e tradizioni così diverse dalle nostre, credo sia una fonte di arricchimento per il nostro essere. Io qui sono integrato benissimo, al punto di capire, parlare, scrivere  e cantare in dialetto piemontese come se fossi un autoctono: essere sardinentali è anche questo!

Secondo te, di che cosa ha bisogno la Sardegna ora?

La cosa di cui ha maggiormente bisogno la Sardegna – o meglio, il popolo sardo –  ora, sarebbe di ritrovare la propria sardità, il proprio orgoglio, la consapevolezza di vivere in una meravigliosa terra unica al mondo e con delle potenzialità immense,  e da lì ripartire. O forse avrebbe davvero bisogno semplicemente di un quinto moro!

 

Luca Porru, bassista dei Nebbia  

Un po’ di presentazioni, per cominciare. Dimmi chi sei e cosa fai nella vita, musica compresa

naturalmente!

Sono Luca Porru, faccio l’architetto e collaboro con vari studi di progettazione nell’area torinese. Non appena mi è possibile spengo il computer e imbraccio il basso per suonare con il mio gruppo rock, i Nebbia.

Quando hai cominciato a suonare?

Ho iniziato a suonare da adolescente la chitarra e poi ho trovato la mia strada suonando il basso elettrico. Sin da piccolo sono sempre stato affascinato dalla musica italiana e straniera.  Molti artisti sardi sono stati fondamentali per la mia educazione musicale: in casa si ascoltavano i Tazenda, Franco Madau, Piero Marras, Maria Carta, i Barrittas.

Che cos’è la musica per te?

Per me è sincera passione, una parte fondamentale della mia persona e della mia cultura. Sono sempre stato affascinato dalla sua forza comunicativa, è come se la musica avesse delle vie privilegiate per trasmettere un certo tipo di emozioni.

Presentaci i Nebbia, la tua band.

Nebbia è un gruppo rock attivo dal 2001, siamo in tre (Paolo, Gabriele ed io), una formazione piuttosto classica, voce – chitarra, basso e batteria. Percorriamo la strada della canzone rock italiana, con particolare attenzione al testo e alla melodia, unita al gusto per arrangiamenti e ritmiche robuste e abrasive derivato principalmente dai gruppi rock inglesi ed americani.

Le nostre canzoni hanno spesso un filo conduttore legato al tempo sia meteorologico che cronologico. Tre anni fa abbiamo dato alla luce un concept composto da 4 mini cd meteoropatici che si intitola “Cambi”. Ogni cd veniva presentato nel corso del 2007 al cambio di stagione.

Attualmente stiamo portando in giro per l’Italia il nuovo cd dal titolo “Scorpione”, che fino ad ora ha avuto buone recensioni, riscontri positivi e ci ha permesso di suonare al Traffic Festival, il più importante festival musicale della nostra città.

Sei figlio di emigrati, che rapporto hai con la Sardegna?

Mi sento Torinese nella stessa misura in cui mi sento Sardo, ho radici sia qui sia lì. La mia famiglia è molto legata alla Sardegna e abbiamo parenti e amici sparsi per il medio campidano. In Sardegna vado spesso, mi piace scoprire posti nuovi e ritornare nei luoghi che conosco come le mie tasche, Barumini, Lunamatrona, il mare di Villasimius.

Frequenti i circoli dei sardi?

Non ne frequento in questo momento. Da piccolo andavo con i miei genitori, mi ricordo le feste di carnevale, mi ricordo che c’erano molti bambini come me.

Quale è il tuo rapporto con la musica sarda? Cosa pensi della attuale scena musicale della Sardegna?

Sono cresciuto con le canzoni sarde, in particolare con la musica dei Tazenda, considero il loro lavoro straordinario. Purtroppo capita spesso di sentire cantanti che emulano lo stesso mix di rock pop e musica sarda con pessimi risultati.

Attualmente, e mi limiterò al nostro mondo musicale indipendente e sotterraneo, ho ascoltato con molto piacere il lavoro di Iosonouncane, sardo ma bolognese di adozione, e sono rimasto colpito dai Lame a Foglia d’Oltremare, davvero bravi.

C’è un ricordo sulla musica della Sardegna a cui sei legato?

Un bellissimo concerto di Fresu, Lai e Elena Ledda all’auditorium Rai di Torino. Indimenticabile.

Sei mai venuto ad esibirti in Sardegna?

No, mi piacerebbe molto pero!

Che rapporto hai con la tua città e con la sua scena musicale?

Torino è una città meravigliosa. Da sempre è stata accogliente con gli emigrati, una volta sardi e calabresi, ora marocchini, cinesi e dei paesi dell’est. Questo aspetto si percepisce moltissimo camminando per le sue strade e ne fa certamente una ricchezza.

A Torino si suona moltissimo, i gruppi nascono come funghi. C’è una solida scena legata ad alcune band venute fuori verso la fine degli anni ’90, ma adesso la situazione sembra stagnare. Tra i miei gruppi preferiti del panorama nazionale ci sono i Perturbazione e tra i meno famosi (ma non per questo meno talentuosi) ci sono i Verlaine e i Noesìa, gruppi con cui da anni dividiamo i palchi, le vittorie e le sconfitte.

Ti capita spesso di incontrare altri emigrati sardi?

Torino è piena di emigrati sardi. Oltre alla generazione dei miei genitori ci sono un sacco di ragazzi che sono venuti a studiare al Politecnico oppure all’Università degli studi di Torino. Tra questi ci sono molti dei miei amici.

Secondo te, di che cosa ha bisogno la Sardegna ora?

La Sardegna ha finalmente capito che ha un patrimonio turistico, ambientale e culturale inestimabile, non so ancora se abbia capito come gestirlo al meglio.

La progressiva trasformazione di alcune zone della Sardegna in “villaggio vacanze per continentali” oltre a danneggiare in modo permanente l’ambiente e il paesaggio accentua l’attrito e la disparità tra gli abitanti e turisti. I primi si sentono invasi e i secondi, gli invasori, finiscono per usare in modo becero le spiagge sarde senza alla fine aver conosciuto ed amato la nostra terra. La Sardegna ha bisogno di puntare di più (e da qualche parte lo stanno già facendo) verso una forma di turismo sostenibile che valorizzi il patrimonio edilizio esistente e non crei ulteriori mostri di cemento, gli abitanti devono diventare parte attiva del processo turistico e non soltanto lavoratori stagionali. Bisognerebbe condividere e mettere in rete le risorse, creare dei sistemi turistici che valorizzino al meglio i prodotti sardi, la cucina, l’ospitalità, il paesaggio e la storia millenaria della nostra isola.

 

Gianpaolo Collu, presidente circolo dei sardi di Rivoli

Un po’ di presentazioni, per cominciare. Dimmi chi sei e cosa fai nella vita.

Mi chiamo Gian Paolo Collu, sono nato e cresciuto fino ai 20 anni in Sardegna (a Villacidro). Ho finito i miei studi e percorso tutta la vita lavorativa in “continente”. Cosa faccio nella vita?  Ho 72 anni, quindi la risposta sarebbe fin troppo facile: il pensionato. L’essermi lasciato coinvolgere nella vita dei Circoli (che per me è molto più che interessarsi a un Circolo) è stato però talmente trascinante da farmi rimettere in gioco a tempo pieno ancora di più di quando lavoravo.

Nel vostro Circolo si è svolta una manifestazione molto importante che ha dato la possibilità di esibirsi ad alcuni sardi che sono attivi nel territorio torinese. Come è nata questa manifestazione?

Da sette anni il Circolo promuove e organizza un’iniziativa di particolare spessore dal titolo “Settimana culturale sarda– la Sardegna incontra il Piemonte”. La manifestazione dura dieci giorni ed ogni edizione è caratterizzata da uno o due temi centrali. La settima edizione, appena conclusa, è stata incentrata innanzitutto attorno alla solidarietà. Convinti poi che la musica sia una delle più importanti manifestazioni della tradizione sarda, abbiamo pensato di coinvolgere giovani artisti sardi emigrati di prima o di seconda generazione. Con le bands in cui militano questi “compatrioti” abbiamo organizzato un piccolo festival, “Musica in Circolo” appunto. Due erano gli obiettivi: divulgare attraverso la musica prodotta o riproposta da questi giovani le nostre radici musicali e, attraverso lo spettacolo, richiamare i giovani sardi e far conoscere loro i nostri punti d’incontro. 

Con Musica in Circolo avete dato un forte segnale di apertura ai giovani e alla musica che producono, ci sarà un altra edizione il prossimo anno o avete in cantiere manifestazioni simili?

Ti do una buona notizia: seguendo l’esempio della nostra iniziativa, i giovani del coordinamento Fasi Nord Ovest hanno messo in cantiere una progetto simile che si svolgerà a Nichelino, grosso centro alle porte di Torino, l’8 dicembre, il giorno della festa dell’Immacolata, il titolo è particolarmente significativo: ”Festival di musica etnica”. Dal canto nostro, continueremo con le manifestazioni mirate alla musica e ai giovani, che mi auguro però si abituino a collaborare anche all’organizzazione, senza aspettare che tutto sia già predisposto e realizzato dai più grandi.

Nel vostro circolo abitualmente organizzate manifestazioni coinvolgendo dei musicisti dalla Sardegna. Quanto è importante il coinvolgimento dei Sardi nelle vostre manifestazioni?

Almeno una volta l’anno viene proposto un concerto con musicisti della Sardegna. Da parte nostra diamo a questo evento un grosso significato. Ci sono però almeno due nodi da risolvere.  Innanzitutto i costi: i nostri circoli non sono della agenzie per spettacoli, le manifestazioni non sono accompagnate da biglietti d’incasso, le risorse sono poche e sempre più ridotte. Pur non pretendendo che i musicisti vengano dalla Sardegna a loro spese, non possiamo pensare che i circoli, oltre alla spese di trasferta, facciano fronte a compensi che non siano più che simbolici. Il secondo nodo riguarda la “qualità” del prodotto. Fortunatamente l’offerta è abbondante: ma non possiamo dire che tutto ciò che viene proposto sia di qualità. Non esiste un filtro che sia di supporto ai direttivi dei circoli e questi peraltro non possono, nella maggior parte dei casi, avere al loro interno risorse idonee a giudicare quanto proposto. Mi piacerebbe che chi si propone a fare da trait d’union tra gli artisti e i circoli (mi riferisco in modo particolare a brinca) non raccogliesse indistintamente tutto ciò che arriva, ma facesse anche un minimo di selezione critica preventiva. Intendiamoci: so che non è facile.

Cosa ti ha portato a vivere ancora oggi a Torino?

Vivere oggi a Torino è la risposta all’esperienza di emigrato. Un rientro in Sardegna alla fine della mia vita lavorativa avrebbe significato una nuova emigrazione, questi decenni di vita a Torino mi hanno dato nuovi amici, una nuova vita sociale, un nuovo clima, un nuovo “tutto”. Perché rifare un percorso a ritroso?    

Quale è il tuo rapporto con la musica sarda? Cosa pensi della attuale scenario musicale in Sardegna?

Ascolto spesso le proposte musicali che arrivano dalla Sardegna. La mia percezione è che, a fronte di una sovrabbondanza di produzione, ci sia una pigrizia (spero sia pigrizia e non povertà) culturale che fa si che si continui con la riproposizione delle solite melodie e testi “tradizionali”. Condivido e apprezzo la riscoperta e lo studio delle nostre “radici” musicali, ma queste devono ispirare nuovi temi, nuove musiche.

Ti capita spesso di tornare nell’isola? 

Si, tre, quattro volte l’anno.

Che rapporto hai con la tua attuale città?

Sono completamente integrato. La città mi ha dato tanto in questi decenni ed io cerco di ricambiare: non solo a titolo personale, ma anche come sardo.

Secondo te, di che cosa ha bisogno la Sardegna ora?

L’ elenco sarebbe troppo lungo. Cercherò di restringere il campo, parlando del “nostro” ruolo,  dove questo “nostro” è riferito alla comunità di sardi residenti fuori dall’isola. Cosa dobbiamo fare? Far capire ai sardi rimasti in Sardegna che assieme queste due comunità possono riuscire a dare visibilità e valorizzazione a tutte le nostre eccellenti capacità, siano esse musicali, politiche, scientifiche, economiche. Uniti, possiamo raggiungere grandi traguardi.

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Un commento

  1. Contemplando il Natale un senso di rispetto
    mi invade pensando a tutti coloro
    che in silenzio si spendono per gli altri
    e di venerazione per i tanti fratelli in difficoltà.
    Grazie del vostro impegno.
    Buon Natale e Felice Anno Nuovo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *