di Paola Pani
Pur vivendo bene in Inghilterra, sento forte la nostalgia della Sardegna. Mi sono trasferita a Londra da cinque anni. Leggo l’informazione sulla Sardegna tutti i giorni in Internet, su tutto la pagina dell’”Unione Sarda” “I sardi nel mondo” e ho, e sto affrontando, tutte le sofferenze dell’emigrazione. Sono partita dal mio paese in provincia di Oristano con un milione di lire in tasca, tante speranze e neppure una parola d’inglese nel mio vocabolario. Ora, dopo cinque anni, lavoro alla “University of London”: faccio la segretaria e sono contenta perché questo lavoro mi dà tante soddisfazioni. Penso però sempre a che cosa avrei potuto fare in Sardegna e, ogni volta che ci penso, mi sento in colpa perché sono fuggita da una società che non riuscivo ad apprezzare e perché forse avrei potuto fare qualcosa per migliorarla. La verità è che mi sentivo una straniera. Adesso, ogni volta che torno a casa mi si spezza il cuore nel vedere i miei genitori e mia sorellina piangere per me. Ho anche tanta rabbia dentro perché forse quello che sto facendo qui l’avrei potuto benissimo fare in Sardegna. Purtroppo io non conosco “nessuno di importante” e quindi non ho avuto nessuna opportunità e, anche se ho cercato disperatamente, tutto è stato inutile. Ho solo un’amica in Sardegna perché, ogni volta che tornavo per le vacanze, la gente si estraniava, aveva paura e mi ritenevano troppo fortunata perché ero a Londra oppure si avvicinavano solo perché avevano bisogno di qualcosa. Ho odiato tutte quelle persone che mi hanno invidiato perché ho avuto il coraggio di viaggiare: io mi ritengo una codarda. Ho capito che io sono cambiata ma la gente del posto è sempre la stessa e ora… mi mancano tanto. Ora sogno di avere una casa al mare in Sardegna e di trascorrere la fine dei miei giorni lì. È con tanto dolore che scrivo queste poche righe, con tanta nostalgia per una terra che ho saputo amare solo quando l’ho persa, per la gente ospitale e di cuore, per il cibo e l’aria. Quando la gente mi chiede perché sono qui a Londra, con un tonfo al cuore e gli occhi lucidi rispondo: l’unico motivo è il lavoro. Voglio solo dire alle persone che rimangono in Sardegna di continuare ad avere coraggio. Il popolo sardo è unico, bisogna impegnarsi in qualche modo per fare in modo che rimanga così.
Caro Max, come sai sono di San Nicolò d’Arcidano. Anche i miei genitori per anni sono stati emigrati a Torino. Poi, avendo fatto molti figli, ben 7, sono tornati in Sardegna. Io sono stata la più piccola per 15 anni, poi è nata Laura, il gioiello della famiglia. Ho studiato alle magistrali di Oristano e dopo il diploma non sono potuta andare all’Università di Cagliari. Di conseguenza non mi restava altro che incominciare a lavorare. Quindi, nella mia giovinezza, ho fatto di tutto, da raccogliere pomodori anche nella “tua” Terralba, a lavorare negli immensi campi di Arborea. È stata durissima, lo ammetto, ma nella vita ci sono cose ben peggiori. Sono andata anche a lavorare come stagionale sul Lago di Garda, in montagna a Saint Moritz in Svizzera e purtroppo anche in Costa Smeralda. Quest’ultimo è stato il luogo che ho odiato di più, perché, pur essendo in Sardegna, era un luogo che definisco “falso”, ipocrita, irreale… un mondo di plastica senza cuore e sentimenti. Continuavo comunque a fare concorsi di qualsiasi tipo, disperata ma con le ferma volontà di non arrendermi. Volevo qualcosa di più per me. Non ho mai fatto l’abitudine al pensiero di trascorrere la mia esistenza a lavorare in campagna, tutto il giorno nei campi con la schiena piegata in due. Speravo, desideravo, pretendevo di ottenere un qualcosa in più.. e da qualche parte forse c’era la possibilità. L’idea l’avevo in testa da tanto tempo: e nel 1998 ho convinto il mio fidanzato, che in seguito è divenuto marito, a partire per Londra. Ammetto che siamo stati fortunati, anche perché in Inghilterra era già presente un mio fratello, che ci ha praticamente guidato, indirizzandoci nei punti giusti. I primi due anni nella capitale inglese li ho trascorsi studiando tantissimo. Spendevo tutti i miei piccoli risparmi che guadagnavo per pagarmi i corsi di inglese. Sognavo, promettendo a me stessa che, se un giorno fossi tornata in Sardegna, avrei avuto un qualcosa di cui essere orgogliosa. Dopo tanti sacrifici nello studio e nel lavoro, decisi di iscrivermi ad un corso per segretaria d’azienda. Tutto molto difficile per me e la mia mentalità, ma con tanta forza di volontà riuscii a passare tutti gli esami con il massimo dei voti e, fra le 20 ragazze che frequentavano, io ero l’unica straniera. Ero felice! Da più di 2 anni, come sai Max, lavoro all’”University of London”.
Ma vivi dentro di me continuano ed essere i ricordi dell’infanzia, quelli che abbiamo in comune nella spiaggia di Pistis e a “Senna e Sarca”, dove ci sono le rocce prima di scendere alla spiaggia. Il nonno di mio marito ha una casa lì e, ogni volta che vado in Sardegna, passiamo un paio di giorni nel nostro piccolo paradiso. A volte, però, rimango delusa quando scopro come la gente sia davvero poco rispettosa del proprio ambiente: mi capita di vedere sacchi di immondizia con mosche e moscerini che vi danzano sopra, emanando odori indescrivibili, magari ai bordi della strada, a due passi dal mare. Non ti immagini quanto questo mi faccia star male osservare tale disinteresse, mi sento impotente, soprattutto perché vivendo fuori, quasi non ho più la possibilità di giudicare o arrabbiarmi. Questa è la mia storia, non molto interessante, anzi molto semplice. È la vita di una persona come tante altre che sono “fuggite” per realizzarsi. La mia fortuna è avere intorno gente che mi vuole bene. A Londra ho trovato tante persone veramente speciali che purtroppo, con rammarico, non ho trovato in Sardegna. Quando sono a San Nicolò, sto in casa… senza conoscenti e amici. Sento astio intorno a me, al di fuori della famiglia. Paura? Gelosia? Invidia? Non mi sono mai trovata bene nella vita di paese, forse perché sono sempre stata un po’ sognatrice e volevo vedere cosa c’è al di fuori del mondo oristanese. Infatti, e credimi, me ne vergogno da morire, non so quasi nulla della storia della Sardegna. Da quando sono venuta a Londra, leggo Grazia Deledda e poesie di autori sardi e mi scendono le lacrime perché ho disprezzato davvero tanto la mia terra. Comunque nella mia casa inglese non mancano mai “su sartizzu”, “casu” e bottarga.
Cara Paola ,mentre leggevo la tua lettera e non riuscivo trattenere le lacrime. Nel farti i complimenti per il tuo coraggio e determinazione,voglio dirti di non rimpiangere la tua decisione di partire ,” , hai fatto bene, non sei “fuggita “hai faticato e fatto tanti sacrifici ,pero hai realizzato il tuo sogno di studiare e di realizzare qualcosa da sentirti orgogliosa , e la cosa più importante: ai imparato a valorizzare e amare di più la tua terra cosa che non avresti fatto se saresti rimasta in paese masticando rabbia e delusione e forse odio per una terra ,madre e matrigna che ti condannava a una vita senza futuro
, e guarda che lo dice una che ama fortemente la sua terra e soffre ogni girono che passa sempre di più, l’essere stata costretta a crescere e vivere in terra anzena,
credo do che moltissimi sardi dovrebbero fare l’esperienza di emigrare per soffrire in propria pelle il dolore de su disterru ,
magari così imparerebbero a valorare il paradiso dove Dio ha voluto farli nascere e che loro disprezzano inquinano maltrattano spudoratamente
ti abbraccio forte
Teresa
Cara Paola,
ti rispondo anche io, visto che le questioni dei disterraos mi toccano – oltre che personalmente – anche politicamente.
Intanto solo noi sardi, ancora oggi, sentiamo come una “fuga” la naturale aspirazione a compiere la nostra maturazione personale e a realizzare le nostre potenzialità. È un senso di colpa che temo faccia il paio con la perdurante sindrome di subalternità che ci hanno inculcato da tempo.
Non hai nulla di cui vergognarti. Uscire, vedere il mondo, imparare altre lingue (oltre all’italiano: la vera maledizione dei sardi, per tanti versi!) è un ottimo modo per rendersi conto di quante potenzialità inespresse abbia la nostra terra.
Tu dici, non conoscevo nessuno di importante e sono stata costretta ad andarmene. Ecco, questo è grave. È grave pensare che in Sardegna si debba ottenere ciò che sarebbe il semplice riconoscimento delle proprie qualità e della propria voglia di lavorare come se fosse un privilegio elargito dal potente di turno.
Direi che ne abbiamo avuto abbastanza di queste dinamiche di sottomissione. Nemmeno quando vigeva il feudalesimo c’era tanto senso di rassegnazione all’ingiustizia. E le cause non sono da cercare in un destino ineluttabile o in chissà quale tara genetica connaturata in noi. In realtà è tutto frutto di rapporti di potere e di imposizione di una visione del mondo: sono esiti storici, umani, non un fato a cui non ci si può sottrarre.
Conosco personalmente tanti sardi che, per diverse ragioni, hanno lasciato la Sardegna ma sentono forte il richiamo della propria terra. Io sono tra questi (anche se non riesco a pensarmi come uno che “se n’è andato”). Ti dico che, anche stando per tanti mesi lontana, puoi interessarti ugualmente alla sorte dei tuoi conterranei e della tua Isola e magari contribuire a modificarla in meglio.
Intanto, perdona la franchezza, eviterei di affidarmi esclusivamente alle notizie dell’Unione, il cui editore ha troppi interessi e troppe colleganze politiche: non è una fonte di notizie obiettiva (o almeno onesta).
Datti uno sguardo in giro, su internet: troverai molto altro. Vedrai che l’idea che hai della Sardegna comincerà a farsi un po’ più articolata e meno deprimente.
Così come lascerei per un po’ Grazia Deledda e magari mi cimenterei con qualcosa di più attuale: Sergio Atzeni su tutti, ma anche Michela Murgia direi (della quale potresti proficuamente seguire il blog, in Rete).
Già oggi – e da un pezzo – la Sardegna produce cultura e innovazione.
Basti pensare alla musica (e non sto parlando di Marco Carta o di quell’altro, che ha vinto Sanremo quest’anno), o alla letteratura, o all’arte, al fumetto, alla moda… In Sardegna abbiamo scienziati di primordine (al CRS4, per esempio, dove studiano le fonti di energia alternative al petrolio, solare termodinamico in primis), giuristi, letterati, ingegneri…
Dall’altro lato, abbiamo un settore agroalimentare succube della Grande Distribuzione Organizzata, che non produce più niente (il 70% di quello che si mangia in Sardegna viene da fuori!), abbiamo fabbriche inquinanti che importano materie prime e esportano prodotti semilavorati, lasciando in Sardegna qualche busta paga (sempre meno, come si evince dalle cronache) e tanto inquinamento e malattie e devastazione. E abbiamo un turismo che dura due mesi l’anno, nonostante siamo una delle terre al mondo più ricche di storia, di cultura e di fascino naturalistico in tutte le stagioni. Un turismo predatorio, basato sul cemento, senza futuro.
E abbiamo una classe politica del tutto inetta e succube di centri di potere esterni e per questo incapace di generare una narrazione di noi diversa, di maturare una prospettiva a medio e lungo termine di qualsivoglia segno. Solo bassa cucina partitica, interessi spiccioli e immediati, convenienze di bottega e privilegi assurdi.
Ora, tutto ciò si può migliorare. Non basta lamentarsene. Si deve agire.
Si possono far emergere le forze e le risorse che in Sardegna esistono (non credere a chi ti dice il contrario) e togliere di mezzo quegli intrecci di interessi e di corruzione che ci mantengono in condizione di subalternità, anche spirituale.
C’è già chi sta lavorando a questa diversa prospettiva. Forse la tua esperienza all’estero potrebbe tornare utile più di quanto non immagini alla causa del riscatto storico della Sardegna.
Pensaci su. Guardati intorno. E non abbatterti.
Un abbraccio.
Omar Onnis
Anche io sono emigrato diversi anni fa e da quasi 6, ormai, mi trovo in canada. Gli emigrati sardi hanno un valore aggunto. E` questo non va presa come una spavalderia. E` semplicemente il naturale decorso di una esistenza, o parte di essa, vissuta in un ambiente diverso da quello nostrano. E a volte succede che, trascorsi diversi anni, e pur covando una forte nostalgia, si ritorna in sardegna anche solo da turisti e ci si sente a disagio. Ecco forse il fatto di essere stati, anche per poco, plasmati dal nuovo ambiente in cui siamo emigrati. Una volta, parlando con un amico toscano, ed appena rientrato dalla sardegna per una vacanza, gli dissi: credo che per noi tutti emigrati ci sia un punto di non ritorno. Perche` se rientri dopo tanto tempo nella tua terra natia, rischi di sentirti a disagio alla stessa stregua di quando sei emigrao qui!“.no so c ome spiegarlo. Se penso alla sardegna, mi viene costantemente tanta nostalgia. Ma l`idea di rientrare la e trovarmi nuovamente nel baratro della disoccuazione e quant`altro, mi fa venire i brividi
A volte mi chiedo chi e` piu fortunato: quello che e` riuscito a trovare un lavoro, anche modesto, la oppure noi che magari abbiamo raggiunto qualche altro traguardo ma che abbiamo dovuto rinunciare alla nostra terra.
ditemi la vostra