di Massimiliano Perlato
In Sardegna come altrove il Carnevale era occasione di baldoria e mascherate, accompagnate da balli e corse dei cavalli. Noto era su "ballu de bogai", che si svolgeva in case private, ove i ruoli uomo-donna venivano invertiti. Lo scopo era di staccare le coppie fisse per dare la possibilità anche agli altri di ballare e scambiarsi i partner. Spesso però questo era motivo di controversie, che sfociavano in risse o burle nei giorni a seguire, a volte con denuncia e carcere per i casi estremi. Durante il Carnevale, i più anziani ricordano le corse a "parillas", nelle quali i giovani cavallerizzi si tenevano per mano al galoppo. Gli spettacoli erano sempre meravigliosi e la folla accorreva anche dai paesi vicini; spesso infatti era possibile che un forestiero si iscrivesse alla gara all’ultimo momento con il cavallo che lo aveva condotto al paese in festa. Non vi erano grandi sfilate di Carnevale, ma per mascherarsi era sufficiente un abito smesso, un po’ malconcio, con un velo di fuliggine in volto. Oppure bastava un lenzuolo. Con gli inizi di questo secolo si dà il via a sfilate più elaborate, e, ove era possibile, le maschere dovevano attenersi strettamente ad un tema prefissato. A questo scopo venivano composte per l’occasione delle filastrocche, chiamate "Goccius", che canzonavano il personaggio o il mestiere. In origine erano canti esclusivamente religiosi, col tempo diventati profani, cantati per mettere alla berlina gli usi ed i costumi o i comportamenti di persone potenzialmente "diverse" dalla tranquilla normalità del paese. Da qui la minaccia: "no has a bolli chi ti pongano goccius", rivolta a chi rischiava, con il proprio comportamento eccentrico, di attirare l’attenzione. Forse il fatto che questi canti siano stati trasportati nel Carnevale, come accompagnamenti alle gare poetiche, sta nella passione dei "cantadoris" nel rivaleggiare su un tema scelto dal comitato o giuria della gara. Senza alcuno strumento musicale, solo con la voce, l’abilità è trasformata in una vera e propria rappresentazione teatrale, che a volte sfocia in un dramma finale, tale da portare la morte, tramite esecuzione capitale, del personaggio rappresentato: in questo caso il Carnevale. A seguire la lettura del testamento, nella cornice di un imponente rogo che brucia tutte le diatribe del mondo.
Questa usanza si può paragonarla ai Saturnali dell’antica Roma: re Saturno, Dio del grano, a cui succedeva Re Giorgio (in greco "gheorgos" vuol dire contadino, e "gheorghia" agricoltura), erano palesemente i connotati di una festa agreste. Svolgendosi alla fine dell’inverno, preannunciava la primavera e quindi la rinascita della natura. Per fare ciò, l’incarnazione dello spirito della vegetazione doveva prima morire necessariamente per poi rinascere. La nomenclatura "cancioffali", riferita ai carciofi, era uno pseudonimo per rappresentare materialmente la natura che ogni anno si ripresenta regolarmente con la vita. L’ambivalenza vita/morte è la stessa di inverno/primavera. Ma se a Carnevale sono i vivi a festeggiare, che dire allora dei morti? Le maschere orripilanti di alcuni carnevali sardi sono mortuarie. "Reula" in Gallura spiega la schiera dei morti, mentre "su carru gocciu" non è altro che il carro della morte. "Is crobus" sono i corvi, persone travestite con un manto nero e dei grossi artigli, con un andamento lento dei cavalli che montano, in una sorta di marcia funebre, acchiappano doni e cibarie appese ai balconi delle case. L’avidità è l’aspetto caratterizzante di queste maschere, che inducevano paura e che andavano tacitate con offerte di cibo. Anche Grazia Deledda in "Paese del vento" racconta una simile sfilata che i giovanotti facevano il giovedì grasso, quando, mettendosi corna bovine, andavano a bussare alla porta delle case domandando salsiccia. La scrittrice le definiva infernali. In questa continua ambiguità vivo/morto, povero/ricco, maschio/femmina, il Carnevale portava ad inversioni di ruoli che altrimenti non erano possibili. Da qui anche la parodia dei personaggi illustri, anche quelli ecclesiastici, che talvolta però generavano malcontenti ed occhio critico da parte delle autorità. Dovevano venire rilasciate addirittura delle autorizzazioni apposite e dei divieti per abiti sconci. La Sardegna è una regione che ha sempre attribuito una grandissima importanza alla conservazione delle proprie tradizioni, difendendole dal tempo e dagli attacchi della modernità. Fra gli aspetti più significativi della tradizione e della cultura sarda, vanno sicuramente considerate le feste e le sagre che negli ultimi anni hanno peraltro conosciuto una forte rivalutazione. Andare per feste in Sardegna significa immergersi in una cultura antica, alla scoperta dei colori locali, ascoltando le armonie e i suoni profondi dei canti, lasciandosi trascinare dal ritmo degli incalzanti balli di piazza, riempiendosi lo sguardo dei cromatismi e dei preziosi ornamenti dei costumi. Le feste vanno interpretate come riti collettivi e come eventi propiziatori, in cui si mescolano religiosità e devozione a momenti liberatori dalle ansie del quotidiano. Quasi dovunque nell’isola, le feste venivano scandite dai cicli delle stagioni e dall’alternanza delle condizioni climatiche e hanno sempre rappresentato le pause prima della ripresa dei ritmi usuali del lavoro. È soprattutto nel mondo contadino che questa scansione naturale era più sentita e in questo ambiente sono stati elaborati nell’antichità culti e riti della fertilità. Queste usanze rientrano nel contesto di una più ampia concezione religiosa basata sulle raccolte agrarie e sui riti finalizzati a propiziare un’annata favorevole, culti comuni anche ad altre civiltà del Mediterraneo. Tutto l’anno è un susseguirsi di feste e sagre, molto diverse nei significati e nello svolgimento. Si passa infatti dai sontuosi e coloratissimi costumi delle sfilate in occasione delle grandi sagre come quella su menzionata in onore di Sant’Efisio a Cagliari, del Redentore a Nuoro (la festa più sentita dai nuoresi che vive il momento più esaltante nella sfilata con circa 3mila costumi provenienti da tutte le parti dell’isola e termina con un festival del folklore durante il quale si esibiscono in canti e balli i migliori gruppi sardi) e della Cavalcata Sarda a Sassari (che consiste in una sontuosa sfilata di costumi tradizionali, nati originariamente come omaggio ai sovrani ed ai principi in visita nell’isola). A Sassari c’è anche la "Festa Grande" in cui i Candelieri rappresentano l’avvenimento (da secoli i rappresentanti di nove Gremi trasportano a braccia, cantando e ballando, imponenti colonne di legno). Sono frequenti le intime sagre di paese dove si coglie il genuino senso dell’ospitalità. Il Carnevale della Barbagia è fatto di maschere cupe, dalle movenze ritmate ed inquietanti che contrastano fortemente con i costumi spagnoleggianti, elegantissimi e principeschi della Sartiglia di Oristano che si svolge nello stesso periodo. La Sardegna è terra di contrasti e di storia, crogiolo di diverse civiltà che ne hanno influenzato i costumi, le usanze, la lingua, con degli aspetti di originalità che rendono ancora più affascinante la scoperta e l’approfondimento. Di grande interesse sono le sagre contadine di giu
gno e luglio, nelle quali si coglie l’anima e la vera essenza del mondo contadino, un mondo misterioso e senza tempo, dove si alternano sentimenti di devozione e corale gioia di vivere. Ma la ricorrenza più sentita è certamente la Pasqua con i riti della Settimana Santa dove il sentimento religioso e la devozione si esprimono a livello più alto. Le manifestazioni del periodo pasquale sono infatti fra le rappresentazioni più suggestive e coinvolgenti, con processioni ricche di fascino come quella dei Misteri di Castelsardo chiamata "Lunissanti", che si svolge il Lunedì Santo e che si snoda nelle viuzze della parte alta della cittadina illuminata per l’occasione solamente dalle fiaccole e accompagnata dagli struggenti canti dei cori o come le visite ai Sepolcri o la Deposizione: particolarmente commovente il "Desclavament" di Alghero. Ma il momento di maggior partecipazione di popolo si ha per la cerimonia del "S’Incontru", l’incontro fra il Cristo Risorto e la Madonna nel giorno di Pasqua. Particolarmente curato e suggestivo quello di Oliena e di Orosei. In tutta la Sardegna oramai si svolgono, oltre alle feste tradizionali, anche nuove sagre di origine recente, momenti di incontro che richiamano migliaia di visitatori ed hanno principalmente lo scopo di far conoscere i costumi locali, le bellezze, la natura e i prodotti dell’artigianato. Ecco allora il fiorire delle varie sagre del mirto, delle pesche, del miele, delle fragole, feste della montagna, tutte comunque buone occasioni per valorizzare i prodotti locali e per offrire al turista, che conosce solamente il mare della Sardegna, una buona occasione per scoprire il patrimonio di cultura, di gastronomia e di natura rappresentato dalla Sardegna dell’interno.