di Sergio Portas
A detta di Wikipedia (l’enciclopedia mediatica più famosa del mondo) la stilista italiana Mariuccia Mandelli avrebbe mutato il suo nome in quello d’arte di"Krizia", prendendolo dall’omonimo dialogo di Platone. Il Crizia del filosofo d’Atene è famoso, tra l’altro, perché in esso ci si dilunga su quell’Atlantide scomparsa che la fantasia degli umani si diverte a ricollocare in svariate parti del globo (e Sergio Frau, come noto, la va a identificare con la Sardegna nostra). Sia come sia Krizia, che da giovane era maestra elementare, è divenuta uno dei "mostri sacri" della moda mondiale, con un successo ultra trentennale, e fin dal 1985, qui a Milano, ha un suo spazio in cui, come fosse un nobile medievale, si compiace di dare visibilità a mostre, dibattiti, eventi particolari che difficilmente sarebbero usciti da circoli esoterici di pochi eletti, libri che non percorrono le normali vie imposte da un editoria che mira quasi esclusivamente al fatturato. Alla vendita immediata. Questa sera il libro di Mario Ghiretti (e un dvd che dura più di un’ora) racconta di Tonino Melis, missionario antropologo nativo di Tuili, "alla ricerca del superfluo in Africa". I proventi della vendita del libro vanno all’associazione "Africadegna" (che risulta dalla somma di Africa e Sardegna) di Serdiana, per chi naviga su internet:www.africadegna.org, per gli altri comuni mortali il presidente Giacomo Manna mi racconta di questi due missionari che loro hanno "adottato", don Tonio e suor Nicole, come li chiama lui. Operano nel Nord del Camerun, ambedue saveriani, la missione come progetto di vita come i comboniani di "Nigrizia"tanto per intenderci (se avete un attimo di tempo andate a leggere su questa rivista on line cosa ne pensano delle ultime leggi del "partito dell’amore" in salsa leghista che sistemano ogni migrante verso l’Italia nell’ambito penale dei nostri codici, altro che comunisti!). Don Tonino opera in un piccolo villaggio della savana, attorno ha una comunità di centomila abitanti, di etnia "Masa", poco meno di quelli che abitano oggi nella provincia del Medio Campidano. Niente male come parrocchia! Suor Nicole vive invece nella periferia di una cittadina dall’impronunciabile nome di ‘Ngaounderè, dove ha realizzato una casa famiglia che ospita circa trenta bambini orfani o con grandi disagi familiari. Noi che stiamo uscendo faticosamente dal ciclo di feste più crapulone dell’anno fatichiamo non poco a immaginare che la prima classe che si è riusciti a mettere in piedi raccoglie sessantatre scolari. Ma il fatto ha del miracoloso visto che un’ endemica povertà che caratterizza quelle popolazioni permette solo a chi può pagare di andare a scuola o di curarsi. Nel centro salute dei missionari, al solito, si assistono un po’ tutti per le cure di prima necessità, si fanno vaccinazioni, c’è un servizio di assistenza alle donne in preparazione al parto. Ci sarebbe bisogno di un centro di riabilitazione, visto l’elevato numero di bimbi disabili, conseguenza di parti problematici o di poliomelite ( codice fiscale per il 5 per mille:92149810928). Ma veniamo al protagonista del libro e del film: nella copertina appare, capelli lunghi e barba, armato di lancia e di uno scudo di canne, una maglietta bianca con le teste dei quattro mori, sul ramo orizzontale della croce rossa che li divide una scritta :Sardegna, per chi ancora nutrisse dei dubbi sul simbolo. Come dice Mario Ghiretti iniziando il libro:" Antonino Melis detto Tonino è sardo. Prima è sardo e poi è il resto. E’ missionario saveriano, e linguista e antropologo. L’ho conosciuto nel 2003 in Ciad, nella regione abitata dal popolo masa. Un suo confratello mi aveva fissato un appuntamento con lui… Il sardo è arrivato con tre ore di ritardo e non si è giustificato. Ha detto solo che detestava i turisti frettolosi e quelli che arrivavano in Africa alla ricerca delle lucciole. E anche chi, pur essendo stanco e sudato, non si metteva a riposare sotto l’ombra di un’acacia spinosa, come aveva fatto lui". Non vi ho ancora detto che il libro si intitola "L’uomo che cerca parole" (EMI editore), perché il sardo di cui sopra ha un’ambizione non da poco: scrivere il primo documento della cultura Masa, il vocabolario. Anche questo è un atto di fede. Il libro e il film parlano dei momenti importanti che presiedono a questa ricerca di vocaboli, il tutto inestricabilmente legato alla sua vita quotidiana, e ai momenti in cui, indossati gli abiti talari, dice messa con assistito da un coro di splendide ragazze masa. Questi Masa che non conoscono il significato della parola superfluo, anzi tra loro il concetto non esiste proprio, e l’anima ha la medesima traduzione di ombra. Ombrello si traduce con "ali di pipistrello". Il film fa vedere queste cose coi colori della savana africana che fanno da sfondo e, soprattutto, i volti nerissimi dei suoi abitanti impegnati, come noi del resto, a sfangare la vita. Le donne sono alte e magre, belle come tante regine di Saba, i bimbi che non conoscono altro che il riso di denti abbaglianti. Certo è un film e il sardo recita, anche se ha voluto dire la sua nella sceneggiatura: sentite come:" … Circa la terrazza (splendida scena con lui che disteso sul tetto guarda una luna grande tre volte quella di casa nostra), il sardo non ha bisogno di alcun arredo. Dimenticatevi la sedia a sdraio. In casa mia non la voglio. Io vengo dalla Sardegna interna dove le sdraio da mare non ci sono mai state e abito a Djougumta dove se vedono una sdraio i masa si preoccupano, immaginiamo se c’è scritto Bagni Tritone loro che non nuotano. Capisco che sono dettagli, ma in una società che manca dei fondamentali, l’uso dei dettagli è proibito…". Ma anche Mario Ghiretti ha le idee chiare e gli risponde per le rime, tipo:" Caro sardo, mi sembra che il metodo funzioni. Io giro intorno agli argomenti e tu mi rispondi secco e preciso con la tua solita crudeltà mentale, che io apprezzo… Il sardo parla alle stelle per parlare a Dio. Quando ne ha necessità prende la scala e sale. Al buio alla luce degli astri, perché tutte le grotte dell’uomo vivono di una debole luce riflessa. Esiste la solitudine del missionario? Se esiste non c’è rimedio e non serve parlare al cielo". Insomma il film è bello e divertente e Tonino Melis si dimostra un attore eccellente con una sua fissità voluta che ricorda a tratti Nanni Moretti, ma il libro è divertente anche di più, oltre che scritto benissimo. Davvero mille grazie alla FASI di Tonino Mulas per avermi fatto incontrare questo Tonino Melis (il gioco di parole era troppo facile per resistergli). E a dimostrare che i "veri ricchi"sponsorizzano volentieri questi personaggi ricchi d’anima, anche la cantina "Argiolas" di Serdiana ha , alla fine della proiezione, voluto offrire alcune delle sue splendide bottiglie di rosso , presente un vero sommelier col classico "taste vin" al collo (non ho resistito a un bis di un cannonau "Costera" sui 18 gradi alcoolici). Chiudo con le parole di Giulio Albanese che nella presentazione al libro scrive:"…La storia dell’"
Uomo che cerca parole" è il primo risultato, decisamente avvincente, di una rappresentazione dell’economia missionaria anni luce distante dai soliti stereotipi all’insegna dell’assistenzialismo e del buonismo a tutti i costi, tipici di certa carità pelosa. E’ il racconto di un uomo di Dio, un uomo in carne e ossa, vivo e vegeto, che in una delle tante periferie del mondo pratica, in forza della fede, una rara virtù, quella dell’interculturalità". Non si poteva dir meglio.