di Vitale Scanu
Se uno, oggi, volesse scrivere un libro, lo fa a suo rischio e a sue spese. Specialmente da noi, in Sardegna. Perché? Perché le sue motivazioni, il suo entusiasmo, la pienezza dell’animo che egli vuole riversare fuori, avranno un riscontro di interesse e di tornaconto economico molto scarso, se non nullo. L’editoria, infatti, prima ancora che gli interessi della cultura, segue parametri utilitaristici immediati. Di conseguenza, anzitutto guarda al mercato e al tornaconto finanziario. Osservate la pletora dei concorsi letterari, che vivono in simbiosi con l’editoria. Primo, partono arruolando un nome già famoso che gli dia la garanzia di non andare in perdita. Vi sono sottese baronie già note e correnti di spartizione concordata del mercato editoriale. Secondo, si accodano a un grande editore che già ha mandato avanti il proprio prescelto di turno. Terzo, come gli editori, i concorsi e i premi letterari scommettono sulla moderna ricetta di successo, quella delle cinque S: sesso, sangue, soldi, sport, spettacolo. A un certo punto, gli “spettatori” rimangono in dubbio, se questi concorsi letterari esistano per premiare un autore meritevole, oppure se il nome famoso sia usato per illustrare il premio letterario. Sono utili a chi i concorsi letterari? Sfido chiunque a dirmi chi ha vinto nel 2009 il premio Bagutta, o il Bancarella, o il Campiello, o lo Strega, o il Viareggio… Per la piccola esperienza che ho fatto col mio libro di narrativa sull’emigrazione“BACHIS FRAU EMIGRATO (Nuove Librerie Cocco, Cagliari) posso dire questo: ho mandato otto copie del romanzo al premio Alziator. Neanche risposto. Dopo un po’ nelle bancarelle di Cagliari s’è vista qualche copia del mio libro a prezzo scontato. Evidentemente, qualcuno della giuria, cancunu mótt’e fami, s’è voluto procurare qualche soldo. Ho scritto per informazioni al premio di Gavoi; nessuna risposta. Questo del non dare riscontro alle domande di informazione è in Sardegna un poco invidiabile vezzo, se anche un arcivescovo, dopo quattro messaggi, non dà alcuna risposta. Al premio Gramsci di Ales, per il mio libro semplice menzione nell’elenco dei partecipanti. La poesiola di un poeta cagliaritano, umilia un dignitoso lavoro di importanza territoriale, di un autore locale (impostato oltretutto su un tema sociale caro proprio a Gramsci:“Occorre portare l’attenzione sulla realtà, così com’è. Pessimismo dell’intelligenza, ma ottimismo della volontà), candidabile anche a uno sviluppo per il grande schermo, articolato sui problemi sociali della nostra gente e sull’emigrazione. Anche nella FASI (la Federazione delle Associazione Sarde in Italia), nonostante tanti proclami statutari di impegno culturale, l’attenzione va di preferenza a lavori che già hanno un certo clamore. Per fortuna, non per paragonarmi a loro, ma per esemplificare, sono in buona compagnia. Susanna Tamaro fu bocciata dagli editori 26 volte, Proust fu rifiutato come snob, la scrittura di Joyce fu giudicata“di un liceale, Italo Calvino venne respinto perché“infantile. Calvino fu bocciato anche nel 1949, da Elio Vittorini, per il romanzo Bianco veliero. Vittorini così lo stroncò: «C’è una gran fretta da bambocciata. C’è infantilismo e basta». Elio Vittorini bocciò anche Il Gattopardo e fu recidivo perché lo fece in due occasioni, per editori diversi. Tutti gli editori italiani, nessuno escluso, rimandarono al mittente i manoscritti di Guido Morselli (scoperto poi quando ormai era morto, da Adelphi). Fa testo, sull’importanza dei premi letterari, l’opinione micidiale di Calvino, espressa in un telegramma inviato al premio Viareggio in occasione della proposta del suo“Ti con Zero (1967): «Ritenendo definitivamente conclusa epoca premi letterari rinuncio al premio perché non mi sento di continuare ad avallare con il mio consenso istituzioni ormai svuotate di significato». Quanto detto per gli scrittori, altrettanto vale per la“settima arte. Sceneggiatori e registi che, invece di avere un passo privilegiato e un accesso facilitato alle sovvenzioni in nome della cultura, devono andare all’accatto di qualche aiuto per un loro progetto, per poter realizzare un’idea… Niente da fare: i soldi corrono dove ci sono già. Ci vogliono persone motivate e di un’intelligenza bene accessoriata, che riescano ad incarnarsi in un’idea, per farla progredire. Io ho una grande ammirazione per il regista Columbu. La sua idea di“tradurre in sardo una vita di Gesù è un progetto da brivido. E’ come tuffarsi da un trampolino di quaranta metri: ci si gioca tutto. Eppure, buttando il cuore in avanti, oltre gli incredibili ostacoli che sta registrando da una decina d’anni, Columbu non demorde. Per niente è un sardo! Merita un augurio particolarmente cordiale per il lavoro straordinario che ha intrapreso e per la determinazione (tutta sarda) con cui lo sta portando avanti. In questa pellicola si gioca le sue carte migliori. Oltre tutto facendo un percorso a ostacoli che dura ormai da due lustri. Non si ha il concetto che Columbu sta realizzando un progetto“sardo, frutto e vanto di una nostra identità culturale (E’ interessante notare, a margine, come, se da una parte esiste un gruppetto di sardi che traduce in sardo la Bibbia, gli inni, i testi sacri, l’esperienza su celluloide della vita umana di Gesù, dall’altra vediamo i dieci piccoli“regni”diocesani, ognuno con la sua “chiesa particolare” che progetta e attua la sua pastorale in una visione quasi sempre localistica, chiusa e arroccata nei suoi confini, ben rispecchiata da nove testate giornalistiche autoreferenziali e incomunicanti. Da decenni stanno discutendo se, come, quando, perché sia il caso di introdurre il sardo nella sacra liturgia. La disunione non produce cultura né progresso, neppure in campo religioso). Che fatica andare avanti con i progetti. Si devono pitoccare i mille euro per fare un passo positivo; si presentano i vari progetti e si scopre che essi sono fermi nei cassetti degli uffici, d
egli assessorati, dei dicasteri incaricati, degli iter burocratici. Al termine dell’anno contabile si viene però a sapere che milioni e milioni devono essere restituiti perché inutilizzati per relativi progetti. Da una parte, i tanti sardi, in casa o nel disterru, attaccati con affetto alla Sardegna, che sputano sangue spendendo anche di proprio per idee valide e concrete, che cantano con Al Bano“Cara terra mia, sei l’unica speranza che ci sia; dall’altra questi apprendisti politici, con l’encefalo off shore, che prendono l’amministrazione pubblica, non come un servizio al cittadino, ma come un mestiere comodo per vivere. Immaginarsi se hanno tempo per la cultura! Si privilegia, in campo economico e sociale, un progresso quantitativo, non qualitativo. Non arrivano a pensare che l’investire in cultura (film, editoria, concorsi…) è investire in miglioramento, civiltà, turismo e diffusione di benessere. Ancora una volta si avvera quanto dimostrato dalla“scuola di Barbiana: la vera arretratezza la fa la differenza di cultura. In Sardegna non ne parliamo: dispersione scolastica, diminuzione di titoli accademici, poca propensione alla cultura… «La parola ignoranza, forse per pudore, non viene tirata in ballo. Ma il concetto è quello: i Sardi sono un popolo poco istruito, che non ama studiare e men che meno andare a scuola. Bisogna invertire la rotta per non diventare il fanalino di coda dell’Europa… Già questo dimostra che sui livelli di istruzione c’è un divario enorme rispetto alle altre regioni sviluppate: occorre una repentina inversione di tendenza». «In Italia, per quanto riguarda questo fenomeno, la Sardegna detiene il record assoluto. E’ l’isola degli ignoranti» (Enzo Costa segretario Cgil)… Per il segretario regionale della Cgil-scuola Peppino Loddosi assiste «alla cosiddetta analfabetizzazione di ritorno, perché si constata una sorta di regressione culturale e formativa». Il succo di tutto il sermone è l’importanza della cultura in generale. E’ la cultura, infatti, che produce progresso, turismo, benessere. E’ la cultura il motore di ogni iniziativa. Purtroppo«la politica italiana si guarda bene dall‘impegnare se stessa e le risorse per qualcosa che, ai suoi occhi, elettoralmente non significa granché perché non influenza i grandi numeri, non produce voti, come facevano il sindacato e i partiti organizzati. La cultura, insomma, agli occhi del potere è meritevole di salamelecchi a non finire. Ma, tutto sommato, è ritenuta marginale» (Giuliano Amato, presidente della Enc. Treccani). In Sardegna, minimo moltiplicate tutto per due.
Grazie per l’ennesima e gradita ospitalità. Però, se permetti, qualsiasi articolo senza nessun acapo, diventa un mattone illeggibile. Ciao.