di Salvatore Tola
Il territorio di Mores, che si estende per 95 chilometri quadrati, è incuneato tra quello di Ozieri da un lato e quelli di alcuni paesi del Meilogu dall’altro, Siligo, Bonnanaro e Torralba; si trova quindi proprio al centro della più vasta regione che occupa la parte centrale del capo di Sopra, il Logudoro. È una distesa di basse colline, dominata a nord-ovest dalla caratteristica massa del monte Santo (733 m) e costituita in parte dalla piana di Chilivani e Ozieri. Terre adatte sia all’allevamento che alle coltivazioni, nelle quali strade e ferrovie corrono con relativa facilità. Il paese, che conta circa 2.000 abitanti, si trova lungo la statale 128bis che collega la superstrada Cagliari-Sassari a Ozieri; da questa si distaccano rami secondari per Ardara e Chilivani a nord, per Ittireddu e il Goceano a sud. A 5 km dal paese si trova la stazione lungo la linea ferroviaria Macomer-Chilivani, oggi scarsamente utilizzata. Si trovano tracce di antichi nuclei abitati, ma dell’insediamento attuale si ha notizia solo a partire dal Medioevo: dopo aver fatto parte del giudicato di Torres fu sottoposto come il resto dell’isola al regime feudale; conobbe fasi di spopolamento e fu sotto il controllo di diverse famiglie nobili. Liberato da questi vincoli nel corso dell’Ottocento, ha avuto in seguito un notevole aumento del numero degli abitanti, che nel 1951 sono arrivati a superare le 3.300 unità; poi è iniziato il calo, legato all’emigrazione e al trasferimento delle famiglie verso i centri maggiori dell’isola.
Oggi Mores vive, non diversamente da tanti altri paesi sardi, di allevamento e agricoltura, più alcune modeste forme di artigianato, gli impieghi e le pensioni. Ma si distingue per la presenza, sia nel paese che nel territorio, di alcuni importanti monumenti. Il più noto è il campanile, che spicca per la sua altezza sullo sfondo della via principale, il corso Vittorio Emanuele. Di stile neoclassico, è ornato di decorazioni, più ricche ed elaborate man mano che si sale di quota: dapprima colonne, cornici e false finestre; poi, all’altezza delle campane, le statue dei quattro evangelisti; poi un terrazzino, al centro del quale si leva la lanterna cilindrica, tutta percorsa da un elaborato festone; infine, al culmine, la statua del Redentore. Autore del capolavoro l’architetto Salvatore Calvia, nativo del luogo, allievo a Torino del celebre Antonelli; la costruzione si concluse nel 1871. Molto più semplice il monumento che si trova nella vicina campagna, in una valletta a sud del paese: ha tutte le apparenze di una chiesa campestre, in realtà è tutto quello che rimane del villaggio di Todorache: un’iscrizione in sardo spiega che la peste, arrivata nel 1652, risparmiò soltanto tre famiglie; le quali, ovviamente, finirono per trasferirsi a Mores. Più antica e originale la costruzione che si trova un po’ più lontano, oltre il rio Mannu: è il dolmen Sa Coveccada, che con la sua forma colpisce l’attenzione al solo vederlo in fotografia. Sorge su un pianoro rilevato rispetto alle zone circostanti. La struttura è semplice: due lastroni di trachite sistemati verticalmente ne reggono un terzo che fa da tetto; manca la parete posteriore mentre quella anteriore è il masso attraversato dalla piccola porta che maggiormente colpisce l’attenzione. Il vano interno, lungo oltre quattro metri, fa supporre che si trattasse di una tomba collettiva: i cadaveri venivano lasciati scarnificare all’aperto, quindi introdotti attraverso il varco. Secondo gli studiosi fu sviluppando questa struttura elementare (utilizzata tra il terzo e il secondo millennio avanti Cristo) che le antiche popolazioni arrivarono alle allées couvertes (gallerie coperte); e infine, con l’aggiunta della stele e di una struttura a semicerchio, alle tombe di giganti sparse in tante parti dell’isola.
come sempre “moresos pazosos”, però è bellissimo e sono orgoglioso di esservi nato.