Il nuovo romanzo "Stirpe": ecco il perchè di una saga familiare

di Marcello Fois

 

STIRPE racconta quello che dice: la nascita di una famiglia e il suo rapporto con lo spazio fisico che occupa. La famiglia in questione è quella dei Chironi e il posto è Nuoro. STIRPE è nato sulle spoglie di un romanzo precedente. Le storie non sono tutte uguali, nella testa dello scrittore qualche volta fanno a gara per uscire. La vicenda della famiglia Chironi è stata a lungo dormiente dentro di me, aspettava il momento giusto, le parole giuste per scaturire. Così mentre ragionavo su un’altra storia ecco che Michele Angelo Chironi, fabbro in Nuoro, in carne ed ossa mi appare poco fuori dalla mia vecchia casa natia. Ero a Nuoro per caso e per caso l’ho incontrato, tutt’oggi non so se si chiamasse Michele Angelo, né se veramente facesse il fabbro, né lui saprà mai di essere diventato la carne del mio romanzo. Qualche tempo dopo, durante una manifestazione, ho incontrato due giovani fratelli che lavoravano il ferro, figli di fabbro, avevano studiato design a Milano e continuato, rinnovandola completamente, la tradizione familiare. Erano i miei Luigi Ippolito e Gavino. Tutto questo accadeva quando ancora pensavo di poter scrivere un romanzo che non era questo. Non troppo tempo dopo venni invitato a una cena in campagna da un vecchio amico, si festeggiava il 70° compleanno della madre. È inutile dire che lì incontrai, bellissima e anziana, Mercede. STIRPE si stava destando dal letargo: la famiglia Chironi si costruiva davanti a me… Per fatalità, per magia, per necessità quando si apre una voragine di questo tipo, quando cioè si instaura nei tuoi progetti una crisi perfetta, allora tanto vale essere coraggiosi: si abbandona la vecchia storia e si intraprende quella nuova. Ma incontrare i tuoi personaggi viventi non è sempre e solo un privilegio, qualche volta, al contrario è un problema. Il nucleo ferreo della famiglia Quiròn, poi Kirone, poi Chironi era tutt’altro che docile. Avevano pazientato a lungo e ora sentivano insieme a me che era arrivato il momento di venire al mondo. Per questo STIRPE non può essere in alcun modo definito un romanzo storico: la Storia in senso stretto partecipa solo quando può essere evocata o percepita o raccontata. Nel corso della scrittura, come un’imboscata, mi si è palesato qualcosa che avevo temuto succedesse prima o poi: dentro alla vicenda fittizia dei Chironi si stava insinuando la storia vera della mia famiglia. Vera come può esserlo una storia romanzata all’interno di un libro che romanzo vuole essere e non saggio o cronaca. Romanzo nel senso primario del termine, di faccenda di uomini che entrano nell’arena dell’esistenza. Così sono partito dal punto zero, una STIRPE che comincia, due orfani che producono una genìa. E che soprattutto vivono un presente, organizzano un futuro e programmano un passato. Dentro alla parabola dei Chironi c’è, in fondo, il segreto della genesi di ogni storia. Michele Angelo il padre si incarica di generare il patrimonio, Mercede, la madre di amministrarlo – quando parlo di patrimonio non intendo solo quello economico – , Luigi Ippolito di costruire un’epica e Gavino di generare la crisi. È una forma autoriflessiva che scarnifica e spolpa, una partita senza risparmio di colpi. Come autore qui mi sono scoperto impudico, si capisce che non è facile mettere in campo la propria segreta epica, il racconto di se stessi, seppur mediato dalla condizione del romanzesco. Qui mi sono scoperto dolorosamente impotente rispetto alla forza di quanto assolutamente questa vicenda mi rivelava. Costruire un universo altro, generare un mondo autonomo partendo dalla propria piccola, insulsa esperienza è la scommessa a cui, io credo, siamo chiamati come scrittori, o presunti tali. Ecco dunque STIRPE che è insieme saga familiare e autodafé, dentro il quale spero si possa riconoscere l’immensamente privato e l’immensamente pubblico; la Storia e la storia; l’umano e l’uomo. Non ho trovato altra via per concepire e concepirmi. Ecco, c’è anche la Sardegna e come sempre Nuoro in questo racconto, perché dentro a quello spazio trovo le "parole per dirlo"; e trovo la pena , ma anche lo stimolo, della contraddizione costante; e percepisco il rumore della turbolenza trattenuta. Questo è un micromondo, una piattaforma concreta, perfetta, dove possono essere costruite storie. Uno spazio dell’anima che però ha ancora un corpo fisico. Una condizione di alterità che non è estraneità. Un nucleo vero, terribile e amabile. Qui l’amore si esprime con una punta di testardaggine che perennemente si rivolge contro i ripetuti, costanti, palesi, quotidiani, tentativi di demotivazione. Eppure lo scrittore ha il dovere di aggrapparsi alla propria labile certezza, e poi innamorarsi dell’incertezza. Amore si diceva, non ultimo per la scrittura che resta il medium dello scrittore, contro l’idea che si possa esserlo pur non possedendone alcuna. Questa saga familiare intessuta di un riverbero di Storia è tutto quanto andava raccontato. Spero di averci messo tutto l’amore necessario.

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