di Tonino Bussu
Papa Leone XIII, il papa della Rerum Novarum, aveva invitato i fedeli ad innalzare, in occasione del Giubileo all’alba del secolo XX, 19 statue del Redentore in altrettante vette delle regioni d’Italia per ricordare i secoli della Redenzione di Cristo e come auspicio per un avvenire di fede, pace e prosperità per tutta l’Umanità. L’appello papale fu accolto in molte parti d’Italia e anche il vecchio vescovo di Nuoro Angelo Maria Demartis, dopo vari incontri con i propri collaboratori e con le autorità locali, si azzardò a candidare Nuoro come sede di uno dei ‘Ricordi’ caldeggiati dal Pontefice. Per la richiesta di candidatura e le incombenze per la realizzazione dell’opera, si creò un comitato formato dal vescovo in qualità di presidente, dall’avv. Francesco Mura, dall’ing. Luigi Mura, dai sacerdoti Antonio Mura e Antonio G. Solinas e dall’impresario Debernardi. Nel luglio del 1899 arrivò l’assenso della Santa Sede alla richiesta dei nuoresi e grande fu la soddisfazione del Comitato che, superando ogni genere di difficoltà, si adoperò per reperire i finanziamenti per la realizzazione del monumento e incaricò, su proposta dell’avv. Francesco Mura, un giovane artista calabrese, residente a Napoli, Vincenzo Jerace di creare un opera scultorea che potesse rappresentare un grande ‘Ricordo’. Da profondo cattolico, l’artista si sentì commosso e inorgoglito per il prestigioso incarico e, dopo uno scambio di corrispondenze col Comitato, accettò di realizzare l’opera, a titolo del tutto gratuito, tranne le spese per la fonderia, e si riservò di inviare al più presto un bozzetto in gesso da sottoporre all’attenzione del comitato stesso. Quando il bozzetto giunse a Nuoro la casa dell’avv. Francesco Mura fu presa letteralmente d’assalto e ancor di più un’immensa folla si riversò nella cattedrale di Santa Maria della Neve dove la domenica successiva il bozzetto venne esposto per i fedeli tutti che, arrivati da ogni contrada, lo ammirarono, commossi e ammutoliti dinanzi a tanta religiosa arte scultorea. Una lettera di ringraziamento, a nome di tutta la Diocesi, incoraggiò Jerace a continuare la sua opera e, dopo un duro e intenso lavoro, modellò una statua in creta di sette metri, ammirata e apprezzata poi da una delegazione di nuoresi (un componente misurò il piede della statua con l’ombrello per far capire al vescovo l’idea della grandezza dell’opera) che si recò a Napoli nello studio dell’artista e rimase stupita dinanzi alla bellezza della scultura. In seguito, il 20 aprile del 1901 si arrivò alla fusione in bronzo nella fonderia Broccali di Napoli. Qualche giorno dopo una tragedia familiare colpì l’artista: scomparve improvvisamente la moglie Luisa. Jerace telegrafò a Nuoro:"L’anima mia è morta, è spenta la Luisa mia". E fece incidere sulla mano del Cristo queste parole:"Luisa, morta mentre ti scolpiva, Vincenzo". L’artista ebbe la forza di completare l’opera che, sistemata dentro varie casse, fu spedita a Cagliari col piroscafo ‘Tirso’ e da lì col treno, passando per Macomer, arrivò Nuoro il 16 agosto 1901 tra due ali di folla che aveva preso d’assalto la piccola stazione ferroviaria accogliendo il convoglio con prolungati applausi e grida di gioia e di evviva per il vescovo Demartis e il giovane artista Jerace. Qualche giorno dopo ben sei carri a buoi trasportarono all’Ortobene il pesante carico, venti quintali circa, affrontando grandi difficoltà perché la salita scoscesa era resa ancor più impervia dalle condizioni disagiate del sentiero nonostante qualche giorno prima fosse stato allargato, soprattutto nelle curve, da 60 operai sotto la guida dell’impresario Debernardi e dell’ing. Mura. Le varie parti del monumento furono saldate e il 29 agosto del 1901, giornata per Nuoro memorabile, per l’inaugurazione della grandiosa immagine di Cristo Redentore sul monte Ortobene, una interminabile processione si snodò dalla cattedrale accompagnata dal festoso suono delle campane. La folla straripante di fedeli indossava i costumi tradizionali che ravvivavano con i vivaci colori il selvaggio bosco lungo la faticosa salita verso la cime del monte dove domina la statua di Cristo ancora in parte imbragata dall’impalcatura. Guidava la processione e officiava le cerimonie religiose il can. Pasquale Lutzu perché il vescovo Angelo Demartis, che tanto si era impegnato per la riuscita dell’opera, era gravemente malato, ma non volendo mancare all’inaugurazione, si fece trasportare in cima al monte su un carro a buoi. Quando la folla orante, circa diecimila persone, giunge in cima gli occhi di tutti sono volti al monumento che è ancora avvolto da un grande drappo; sotto la roccia avevano preparato un altare addobbato con antichi e preziosi drappi, il can. Pasquale Lutzu, in abiti pontificali, celebrava in mezzo a moltissimi sacerdoti provenienti da varie zone dell’isola. Ecco il momento più atteso, cadde il lenzuolo e, tra la commozione generale, apparve in tutta la sua grandiosità il Cristo Redentore, che sembrava sceso dall’alto dei Cieli in quel momento, posandosi sul monte col lembo del mantello,il volto di un angelo scolpito su una piega, rappresentante l’umanità sempre bambina (è il viso della figlia dell’artista scomparsa in tenera età), il volto bello, sereno e giovane, umano e divino del Cristo, la Croce protesa sulla mano sinistra benedicente, mentre con la destra protegge questa terra aspra e generosa infondendole la speranza della Redenzione dopo secoli di sventure e tribolazioni criminose. Il canonico benedisse la statua, celebrò la messa e, con voce commossa, pronunciò un discorso che venne interrotto da scroscianti applausi dei fedeli soprattutto quando aveva citato l’impegno del vescovo di Nuoro Angelo Demartis e l’insigne artista Vincenzo Jerace che, ancor ferito nel profondo del cuore per l’improvvisa scomparsa della giovane moglie, non poté assistere all’inaugurazione della sua geniale creatura. Assisterà invece alle celebrazioni dell’agosto del 1902 quando, commosso e appagato per i numerosi attestati di riconoscenza tributatigli dalle autorità e dal popolo, constatò che i suoi sforzi, le sue ansie , i suoi sacrifici non furono vani, ma avevano raggiunto traguardi grandiosi e duraturi. Da quel 29 agosto 1901 son passati ormai 109 anni e i fedeli, spinti da una sentita e profonda religiosità, accorrono ancora sempre numerosi per le celebrazioni del Redentore senza mai perdere la speranza che la pace, la rinascita religiosa, morale e civile del nostro popolo, invocate in tutte le omelie dei predicatori, possano realizzarsi almeno nel nuovo secolo.