di Gabriella Saba
Non chiedo vendetta. Come me, tutte le madri dei desaparecidos non vogliono che il sangue dei loro figli richiami il sangue dei carnefici. Ma vogliamo sapere la verità. E se in questa terra non ci sarà un giudice a darci quella giustizia che aspettiamo da tanto tempo, ebbene, sappiamo che c’è un Dio che li giudicherà". Non si scoraggia, Maria Manca, benché abbia oggi più di settant’anni e sia sfiancata, ormai, dagli acciacchi e dalle molte pene che ha patito nella vita: gli stenti e la miseria nella Sardegna del dopoguerra e poi lo sradicamento e l’ambientamento in Argentina, a massacrarsi di lavoro lei e il marito per quattro lire, infine il dramma dì quel figlio desaparecido, Martino, di cui dice, oggi, con gli occhi duri e asciutti: "So che è morto, ma fino a quando non ci sarà una prova, voglio credere che ci sia almeno una speranza di riabbracciarlo". Maria Manca è stata una delle prime madri della Plaza de Mayo e la sua storia è raccontata, insieme a quella di molti sardi che hanno vissuto lo stesso dramma, nel libro El Tano (edizioni AM&D), straordinario affresco a tinte fosche in cui l’autore, il giornalista sardo Carlo Figari, ricostruisce non solo la storia della piccola comunità sarda in Argentina ma anche lo scenario in cui si è consumata la tragedia dei desaparecidos: il regime militare che dal ’76 all’83 distrusse una generazione intera per eliminare qualunque traccia, anche potenziale, di opposizione, e che finì per far sparire trentamila persone di cui non si seppe, mai più, ufficialmente niente, ma di cui si sa invece con certezza che furono trucidate a freddo o scaraventate, narcotizzate ma vive, nel Mar del Plata o nelle Ande, dopo essere state torturate per mesi o anni nei campi di concentramento clandestini allestiti dal regime.