di Battista Saiu
Nelle sale del "Punto Cagliari" presso il circolo "Su Nuraghe" di Biella, lo scrittore Bruno Tognolini ha presentato la sua ultima opera: "Lunamoonda". Nella sua ultima opera, l’autore introduce alcuni termini tratti dalla lingua sarda. Utilizza termini carichi di significati, preceduti dal suono ancor prima che significanti. Per Tognolini, è come ritrovarsi sulla soglia di una caverna dove una parola suona per coglierla nel rimbombo della sua eco. "Lunamoonda" è un romanzo di fantascienza, ambientato a Cagliari, in cui sono presenti molti vocaboli sardi che identificano personaggi, luoghi, situazioni. Oggi, la fantascienza, che non è più tanto più di moda, viene definita dallo stesso scrittore "fantamediterranea", per via dei termini che rimandano alla grande Isola che sta al centro di quel mare. L’introduzione di forme vernacolari sarde sarebbero per l’autore una forma di rivalsa, propria del sardo emigrato che non ha mai accettato di essere considerato un "sirbone", "oggetto" di interesse antropologico, piuttosto che soggetto. Lui, Tognolini, si considera – ed è – uno scrittore italiano che scrive in lingua italiana. La rivalsa di Tognolini, un Sardo domiciliato a Bologna, vuole che la sua opera venga apprezzata come storia e non come storia sarda, proprio perché non ha mai accettato di essere considerato "sirbone": oggetto piuttosto che soggetto di studio. In dieci anni di lavoro per la RAI, ha redatto più di millecinquecento copioni per "Melevisione", componendo oltre cinquecento filastrocche per bambini. Solo dopo trent’anni di vita vissuta in "Continente", ha deciso di introdurre nei suoi testi alcune parole sarde. Termini appresi non dalla madre, insegnate elementare che gli ha fornito gli strumenti per amare la lingua di Ariosto, ma di vocaboli imparati dai ragazzi di strada nella Cagliari di quarant’anni fa, dai diretti discendenti dei quartieri poveri della città, i "picciocus de crobi". "Nella società contemporanea, la Sardegna – sostiene – ha tutte le capacità per accedere all’eccellenza anche nei campi nuovissimi della comunicazione digitale come dimostrano Niki Grauso e Renato Soru. Nel suo romanzo di nuova "fantascienza", è affascinato dal suono di parole; nel toponimo Siliqua, ad esempio, coglie l’assonanza col silicio, lo studio e la ricerca dei metamateriali. Anche i nomi di personaggi, come Barbaiotti, Barbaiola, Mariposa, Pibitziri, Coccumeo, sono tratti dal lessico sardo. Rinnova lo schema classico del racconto fantascientifico, ma sostituisce i consueti termini tratti dall’immaginario celtico per introdurre parole della sua terra. Sostituisce pugnali, baci, vampiri con suoni e personaggi mutuati dall’immaginario fantasioso e fantastico sardo, accolto e ben compreso dal suo pubblico e dai suoi lettori. "Certo è che i Sardi – ammette – leggendo quei nomi, colgono nel suono delle parole un qualcosa in più, una sorta di quint’essenza, grazie al loro essere Sardi".