di Piera Serusi *
Orgosolo. All’alba del 23 giugno 1969, dopo due giorni di battaglia e due di tregua, il paese fu svegliato dalla musica del ballo tondo. Luigi Pilconi, la voce del bando pubblico, già diffidato dalla polizia che gli aveva intimato di non diffondere «annunci rivoluzionari», sistemò sul giradischi il duruduru che di solito chiamava le donne al mercato, e lo fece andare un paio di volte. Siccome in quei giorni a Orgosolo si viveva allerta come al fronte, tutti capirono il messaggio e in pochi minuti centinaia di uomini, donne e bambini si radunarono in piazza Su Muntil’hu per salire sui camion e i trattori diretti a Pratobello. Cominciava così la giornata di lotta che segnò la ritirata dei militari dalle terre di Orgosolo. Di lì a poco i 4 mila soldati della Brigata Trieste e della Compagnia di Fanteria Bologna, arrivati per inaugurare il poligono fisso per le esercitazioni di guerra, risalirono sulle camionette e in fila indiana sparirono oltre l’orizzonte. Sono passati quarant’anni e oggi il paese rievoca quel giugno epico con mostre, incontri, rappresentazioni teatrali e concerti. Non un appuntamento puramente celebrativo, ma un momento di riflessione. La gente reagì compatta perché il progetto di un poligono di tiro significava l’esclusione dei pastori, e quindi di tutta la comunità, dalle terre pubbliche. I salti che, impallinata e tumulata l’idea ministeriale del Parco del Gennargentu, oggi potrebbero essere finalmente utilizzati in maniera razionale grazie al Progetto Supramonte, un modo per valorizzare questi terreni. Il 27 maggio 1969 sui muri del paese e in tutti i bar vennero affissi i manifesti del Ministero della Difesa che comunicavano l’allestimento del poligono di tiro nelle terre comunali e l’obbligo per i pastori di abbandonare gli ovili nei mesi di giugno e luglio. A Orgosolo la nuova arrivò come una bomba. Già da qualche anno i militari giocavano alla guerra nei salti del comunale, ma questa volta non sembrava affare di qualche giorno. «Intanto perché avevamo avviato il dibattito contro il progetto, che ancora veniva tenuto segreto, del parco nazionale del Gennargentu e poi perché era stata avviata la ristrutturazione del vecchio villaggio militare di Pratobello. Furono i ragazzi del circolo (di cui faceva parte anche Francesco Del Casino, giovane insegnante con cattedra nella locale scuola media) a mobilitare la comunità: andarono a trovare i pastori negli ovili, le massaie nelle case, i muratori nei cantieri. Il ciclostile della sede del gruppo lavorava giorno e notte per stampare migliaia di volantini sul genere "I pastori non sono carne da cannone", "I crumiri di nuovo all’attacco", che annunciavano via via le assemblee in paese e le partenze per Pratobello. Dal 19 giugno fino alla fine del mese tutti a Orgosolo, compresi i bambini, si comportavano come soldati richiamati alla guerra. La linea di condotta era: niente violenza, solo resistenza passiva. Il muro di studenti, pastori, vecchi, ragazze, mamme coi piccini in braccio, bambini presi per mano dai fratellini maggiori – piegava il cordone dei posti di blocco, invadeva l’area off limits e impediva le esercitazioni. «"Non lo vedete che stiamo lottando per difendere la nostra terra, il nostro pane?" dicevo ai militari. Tra quei soldati cercavamo i sardi, e con loro abbiamo parlato, ci siamo spiegate». Pasqua Corraine aveva 29 anni, un marito muratore e tre figli. Era incinta di due gemelli, ma questo era un particolare che la rendeva solo più battagliera. Quel caldo giugno, quando arrivava la convocazione, prendeva i bambini e saliva, assieme alle altre donne, sul camion diretto a Pratobello. «I militari tentavano di chiudere le pecore in un recinto e di prendere anche i pastori; noi donne – racconta – ci mettevamo in mezzo coi nostri piccoli e aiutavamo gli uomini a fuggire». Molti furono arrestati, moltissimi denunciati. Nel centro di raccolta, così veniva chiamato lo spazio guardato a vista dai poliziotti in tenuta antisommossa, venivano tenuti a bada i manifestanti più recalcitranti, mentre gli elicotteri sorvolavano la zona. Scene di guerra nel cuore della Barbagia; intanto a Roma si discuteva del caso ed Emilio Lussu spediva in Regione un telegramma di solidarietà con gli orgolesi. Alle 6 del 26 giugno, ultimo giorno di battaglia, l’altoparlante del bando pubblico cantò il ballo tondo altre due volte. Le donne e i bambini partirono come al solito, sui camion e i trattori, mentre molti uomini erano già andati via nel cuore della notte, diretti nell’area delle esercitazioni, per preparare la sorpresa ai militari. Quando, infatti, arrivarono i soldati, il poligono era affollato come la piazza di chiesa nel giorno della festa patronale. La guerra finì lì, con l’arrivo di un dispaccio da Roma e la bandiera rossa che garriva gioiosa nella sede del circolo giovanile.
* Unione Sarda