a cura di Massimiliano Perlato
Un interessante convegno sull’emigrazione italiana, "Rapporto Italiani nel Mondo" si è svolto in contemporanea a Cagliari, Roma, Napoli e Venezia. A Cagliari è stato presentato il Rapporto realizzato dalla Migrantes in collaborazione con il Comitato Promotore (Acli, Inas-Cisl, Mcl e Missionari Scalabriniani). Questo articolo descrive "sommariamente" il contenuto dei capitoli della riduzione per la stampa del Rapporto Migrantes, che espongono il significato e le implicazioni di questo grande fenomeno sociale, sono strutturati in quattro parti: • Flussi e presenze degli italiani nel mondo
• Aspetti socio-culturali e religiosi • Aspetti economico-politici • Approfondimenti
Gli autori sottolineano che da 20 anni non si pubblicava un’indagine statistica così estesa sul tema dell’emigrazione italiana, una situazione che fin’ora ha reso difficile la comprensione della realtà dei fatti, soprattutto in relazione alle novità nel frattempo intercorse, vedi i mutamenti geo-politici internazionali, il crescente divario economico tra "Nord" e "Sud" del mondo, i nuovi flussi migratori, da e per l’Italia direzione Europa, l’estensione del voto agli italiani all’estero. Dunque ben venga questa luce su questa ennesima ferita dovuta, per quanto attiene all’emigrazione italiana, al cosiddetto Ri-Sorgimento italiano, foriero di così tante disgrazie per molti milioni di abitanti della penisola italica nel corso degli ultimi due secoli, sia di chi è rimasto sia di chi, purtroppo, è stato "costretto" ad espatriare. Il rapporto mette in evidenza come, a livello europeo, l’immigrazione non abbia colpito solo gli italiani: nel periodo 1845-1915 i flussi diretti oltreoceano erano composti per il 40% da britannici, il 16% da italiani (allora in buona parte originari del Nord), il 13% da tedeschi e, in misura minore, da persone di altri paesi, quali l’Austria, l’Ungheria, la Spagna, la Russia e i paesi scandinavi. Tra il 1900 e il 1920 furono circa 20 milioni gli europei che partirono alla volta del continente americano e anche di più furono i migranti europei del secolo precedente, al finire del quale l’Italia andò assumendo un protagonismo sempre maggiore. Di fronte alla prima ondata colonizzatrice verso i nuovi "eldorado", cominciata qualche secolo prima, prevalentemente ad opera di anglofoni, francofoni e iberici, a differenza di questi, che cominciano a scemare significativamente, i flussi migratori italici non si sono ridotti a causa dei pesanti divari socio-economici ingigantiti e "rovesciati" a causa e in virtù del processo unitario, che si caratterizzò per il saccheggio sistematico e il conseguente trasferimento di ingenti risorse dal Sud al Nord del paese, risorse tuttora mai ridistribuite, (se non in funzione clientelare e ai soliti noti, notabili e mafiosi) in favore delle popolazioni meridionali, come si evince, tra le righe, in questo passo del rapporto: Questi flussi sono continuati anche nella seconda metà del secolo scorso e hanno rappresentato un fattore di primaria importanza per l’evoluzione del nostro paese. Nel ventennio 1950-1970 l’Europa diventa lo sbocco principale e assorbe quasi il 70% degli espatri. Negli anni ’60, tra i flussi in uscita (in media 264.000 l’anno) e quelli di ritorno, si arriva al coinvolgimento annuo di circa mezzo milione di persone. Il 1961 è l’anno del maggior numero di espatri (387.000), mentre nel 1962 si tocca l’apice per quanto riguarda i rimpatri (229.000). In quegli anni, come nel decennio precedente, sono intense anche le migrazioni interne, che portano i cittadini del Meridione e del Nord-Est a spostarsi verso le regioni del Nord-Ovest per sostenerne lo sviluppo. Al censimento del 1961, circa 6 milioni di persone (ovvero 1 italiano su 10) risiedono in una regione diversa da quella di origine. Di straordinario interesse è anche il dato economico, relativo al nostro paese, dovuto all’emigrazione, dice il rapporto: nel decennio successivo (1961-1970) gli italiani inviano in Italia dall’estero ben 8 miliardi di dollari, di cui il 55% al Meridione: la Sicilia, nel 1970, si colloca al primo posto con una quota del 16%.
A inizio secolo, quando ben più drammatiche dovevano essere le condizioni economiche del Sud di questo paese, i flussi economici derivanti dalle rimesse degli emigrati raggiungevano addirittura il 30% della bilancia commerciale: questo fiume di denaro è servito per finanziare l’acquisto delle materie prime e assicurare una disponibilità di credito agli Enti locali, come migliorare la vita nel Meridione, affrancare le famiglie degli emigrati dai debiti contratti con gli usurai, coinvolgere le donne rimaste a casa nella gestione dei conti correnti, mentre non è stato funzionale al pieno decollo del Meridione, anche a causa del frazionamento dei terreni in piccole proprietà, di una coltivazione scarsamente innovativa e delle ridotte dimensioni del commercio. Oggi le rimesse degli emigrati sono solo quelle in uscita, dovute ai migranti presenti nel nostro paese, stimabili in circa 2 miliardi di euro. E’ il segno dell’inversione di tendenza, iniziata nel 1975, anno in cui i rimpatri superano complessivamente gli espatri di oltre 30.000 unità (123.000 i primi, 93.000 i secondi). Negli anni ’80 la media delle partenze è pari a 80.000 unità e altrettanti sono, in media, i ritorni; negli anni ’90 si registra un ulteriore calo, con una media annuale che scende a circa 50.000 unità per le partenze e a circa 42.000 per i ritorni. Nel 2001 e nel 2002 le partenze sono, rispettivamente, quasi 47.000 e 34.000, i rientri 35.000 e 44.000, e anche attualmente non ci si discosta da questi numeri.
Tornano soprattutto gli anziani che preferiscono vivere gli anni residui nella propria terra, pur continuando a far la spola tra la nuova residenza e quella dei figli, nessuno dei quali intraprende la via del ritorno insieme ai genitori. Secondo il rapporto le migrazioni interne, sia pur ridotte, non si sono estinte. Drammatica la situazione dei giovani, anche di quelli laureati: l’indagine condotta su 50.000 laureati del Meridione ha evidenziato che di questi, a tre anni dal conseguimento del titolo, 20.000 sono disoccupati. Dei 30.000 occupati, un terzo lo è al Nord. Una migrazione temporanea e dal rilevante impatto culturale riguarda gli studenti universitari: Il programma Socrates-Erasmus, dal 1987 al 2000, ha visto spostarsi 750.000 studenti universitari europei per trascorrere un periodo di studio all’estero.
Dove risiedono gli italiani all’estero che hanno eletto i nostri due rami del parlamento? Il rapporto è inesorabilmente perentorio, com’è giusto che sia una esaustiva ricerca statistica non "adattata" dall’istat: 3.106.251 i cittadini italiani residenti all’estero secondo i dati dell’Anagrafe degli Italiani residenti all’estero (AIRE), aggiornati al 9 maggio 2006. Dagli archivi in un anno sono stati cancellati circa 450.000 iscritti, ma, tenuto conto anche delle risultanze degli Schedari Consolari, il numero effettivo dei cittadini italiani nel mondo è più realisticamente vicino ai circa 3,5 milioni. In Europa ci sono quasi 2 milioni di persone (1.864.579) e circa il 60% delle presenze totali, di cui il 43,9% nell’Unione Europea. Quindi l’America con 1.069.282 residenti (34,4%), di cui il 24,3% nell’America centromeridionale, e l’Oceania con 110.305 presenze (3,6%); In Africa 1,3% in Asia 0,7%. I primi 20 paesi di insediamento sono sparsi in ben 4 continenti: Europa, America (settentrionale e centro-meridionale), Oceania e Africa.