a cura di Massimiliano Perlato
Per quanto concerne il continente asiatico il primo paese di destinazione, Israele, si ritrova in 27a posizione, con 5.815 residenti di cittadinanza italiana, seguito da Cina, Giappone e Thailandia. Guidano la classifica le due nazioni europee maggiormente coinvolte nei flussi dal Dopoguerra: la Germania, con 533.237 presenze (1 ogni 6 italiani all’estero risiede in quel paese) e la Svizzera, con 459.479 residenti e 68.000 frontalieri. L’Argentina, con 404.330 presenze, è il paese extraeuropeo che ospita il maggior numero di cittadini italiani e anche quello in cui l’incidenza degli italiani è più alta: si stima che la popolazione locale sia per il 50% di origine italiana. Un paese che attualmente ha 31 deputati, 8 senatori, 10 presidenti della Repubblica, (e migliaia di desaparecidos vittime dei regimi) a triste conferma dell’acquisita convinzione che l’italianità costituisca un elemento caratterizzante il tessuto socio-culturale del paese. Analoga considerazione può valere per il Brasile, secondo tra i paesi latinoamericani quanto al volume della presenza italiana (148.746 residenti), composta in misura rilevante da persone di origine trentina e veneta, tanto che in diversi centri le rispettive varianti dialettali rappresentano la lingua veicolare più diffusa. Ma il Brasile è preceduto dalla Francia (325.364) e dal Belgio (215.580) ed è quasi alla pari con la Gran Bretagna (145.241 presenze, 4,7%). Al secondo posto per numero di cittadini italiani, dopo l’Argentina, sono gli Stati Uniti (187.621, 6%). Di meno quelli residenti in Canada (125.554, 4%), che però presenta la più alta incidenza di ultrasessantacinquenni (36,4%) e, a differenza degli USA, è rafforzata da poche centinaia di ingressi l’anno. In Australia ci sono circa 108.472 italiani, mentre al di sotto delle 100 mila presenze c’è il Venezuela (73.128), la Spagna (56.137) e l’Uruguay (49.612), seguiti nell’ordine da Cile (27.602), Paesi Bassi (26.102), Sudafrica (primo tra i paesi africani, con 23.497 presenze), Lussemburgo (20.401) e Austria (13.004). A partire dal Perù è possibile individuare un ulteriore gruppo nella graduatoria dei principali paesi di insediamento che raccoglie tutti quegli Stati in cui risiede un numero di cittadini italiani inferiore alle 10 mila unità, tra i quali Grecia, Colombia, Ecuador, Messico, Israele, Croazia, Svezia, Monaco, Irlanda, Danimarca, Paraguay e Repubblica Dominicana.
Il Sud è l’area maggiormente coinvolta nel movimento migratorio. La prima regione per numero di emigrati è la Sicilia (555.000). I lombardi fuori dai confini nazionali sono 250.000 e, secondo stime, è di origine Lombarda e Veneta più di un terzo degli imprenditori italiani all’estero (sopratutto nei paesi in cui il mercato del lavoro è a basso costo, Albania, Romania, ecc). Un altro dato eclatante del rapporto, mai reso noto a dovere, è quello che riguarda il numero, stimato, di una collettività italiana allargata di 60 milioni e più di persone. Come si rileva da alcune precisazioni acquisite localmente, le persone di origine italiana sarebbero:
• 800.000 in Australia a fronte di 108.472 cittadini iscritti all’AIRE
• 1,3 milioni in Uruguay a fronte di 49.612 cittadini iscritti all’AIRE
• 15 milioni in Argentina a fronte di 404.330 cittadini iscritti all’AIRE
• 31 milioni in Brasile a fronte di 148.746 cittadini iscritti all’AIRE e, in particolare, a San Paolo la metà dei
circa 15 milioni di abitanti avrebbe sangue italiano nelle vene
• 15,7 milioni negli Stati Uniti (187.621 cittadini residenti secondo l’AIRE), ma questa non è più una stima, bensì la risultanza del censimento del 2000.
È sbagliato ritenere che l’emigrazione italiana sia sempre stata una storia di grande successo. Si emigrò per bisogno, bisogno dei singoli e del paese. Anche l’accordo italo-belga del 1946 "carbone in cambio di manodopera" attesta, significativamente, che si vivevano tempi di grande miseria… Molte volte i migranti italiani furono apostrofati con termini spregiativi, spesso legati alla loro origine meridionale e al loro basso grado di istruzione. Negli Stati Uniti, per scrollarsi di dosso l’atteggiamento di disprezzo dei locali, molti italiani americanizzarono i loro cognomi, magari sopprimendo semplicemente la vocale finale, e arrivarono anche a diventare protestanti. La stessa Direzione Generale di Statistica ricorda le difficili condizioni del passato in una definizione del 1914, dove i migranti vengono qualificati come quelli che viaggiano in 3a classe per oltrepassare lo stretto di Gibilterra e il Canale di Suez. Molte e diffuse furono le difficoltà incontrate in fase di accoglienza. I sardi, che andarono a lavorare nelle minire del Belgio, vennero sistemati nei campi di concentramento in precedenza destinati ai prigionieri nazisti; anche in Germania molti italiani furono a lungo alloggiati in baracche. E non sono certo questi gli unici esempi. Gli italiani andarono a inserirsi nei settori lavorativi più umili: alla fine dell’Ottocento in Germania costruirono la ferrovia nella Foresta Nera; furono protagonisti del traforo del Sempione, inaugurato nel 1906 come il più lungo tratto ferroviario sotto montagna; affrontarono attività pericolose, come la costruzione della diga di Mattmark, che nel 1965 si trasformò in una grande tragedia. I lombardi che emigrarono tra l’‘800 e il ‘900 negli Stati Uniti e in Canada attraversarono l’Oceano per lavorare (e a volte morire) nelle miniere, spesso accompagnati dai figli: secondo una legge americana dell’epoca infatti ogni minatore poteva farsi aiutare, come assistente, da un minore di 8-12 anni. Nella miniera di carbone di Monongah (West Virginia) si verificò nel 1907 un crollo ancor più drammatico di quello di Marcinelle e furono almeno 361 le vittime, di cui 171 gli italiani. Altri andarono alla ricerca dell’oro in Canada e negli Stati Uniti, a volte trovandolo e a volte no. Altri anco
ra, vittime di soprusi sul lavoro, si dedicarono alla lotta e alla tutela dei loro compagni, finendo con l’essere schedati come sovversivi: questo avvenne, ad esempio, negli Stati Uniti all’inizio del secolo scorso. Molti degli italiani all’estero subirono anche dei rovesci di fortuna, come ricorda emblematicamente il caso del Sudafrica e ancor di più quello dell’America Latina, dove oggi la povertà è una realtà molto diffusa anche tra i nostri connazionali. In Romania, dove la nostra emigrazione tradizionale affonda le radici nel diciottesimo secolo, diversi protagonisti dei flussi del passato si trovano oggi in situazione di povertà e ciò contrasta con i vantaggi di cui godono i migranti al seguito delle imprese, protagonisti delle migrazioni più recenti. I paesi esteri non sono più gli eldorado dei tempi in cui si partiva in cerca di fortuna. Colpisce, ripensando ai sogni che l’Argentina alimentò nel passato in tanti migranti italiani, che oggi vi siano persone costrette ad arrangiarsi, facendo la fila al Consolato italiano per conto di quelli che devono sbrigare le pratiche o dedicandosi, alla raccolta del cartone in cambio di pochi spiccioli (20-30 pesos). Del resto anche nella ricca Svizzera si è scoperto che un settimo della popolazione totale si colloca al di sotto del livello di povertà. Spesso poi gli italiani si sono distinti, se non per ricchezza, quanto meno per perspicuità: Salvador Allende, il futuro presidente del Cile, da studente era solito andare a parlare di politica con un anziano anarchico italiano, emigrato nel paese latino-americano, dove lavorava come calzolaio.