di Sergio Portas
Mala tempora currunt. Qui in terra di padania e nel bel paese tutto. Basta dare un’occhiata ai decreti che si occupano di "sicurezza". O ai telegiornali coi barconi di migranti assetati (d’acqua e di libertà) che vengono rispediti nell’inferno libico dei campi di concentramento dalla nostra marina militare. Ma il nostro ministro della difesa non trova di meglio da fare che dichiarare guerra all’ONU nella figura di una delle sue più prestigiose agenzie (l’Unhcr, agenzia delle nazioni unite per i rifugiati, già premio Nobel per la pace). A dire della sua prosa fascista: "Non conta un fico secco". Che la campagna elettorale passi anche per queste amenità è ulteriore prova della barbarie culturale che ci governa. Questo La Russa nei manifesti di Milano chiede di essere votato per un posto a Strasburgo ben sapendo che mai si dimetterà per occuparlo, sopra il suo del resto solo un altro nome ben più roboante, ma con il medesimo intento: specchietti per le allodole (leggi il popolo sovrano). Ma così non fan tutti? (fin Di Pietro: il tribuno della plebe che si vanta dei valori più specchiati). In attesa comunque che la deriva xenofoba compia il programma che si è dato nei bar della Brianza, che i posti sul metrò siano definitivamente ordinati per nascita e censo: prima i milanesi doc, poi i veneti, terzi i toscani, e così via fino ad arrivare ai sardi, che vivaddio votano anch’essi per gli alleati della libertà ma continuano a sventolare bandiere con dentro quattro teste di negri. Ultimi comunque quelli il cui colore non lascia dubbi di sorta. Che potrebbero essere anche clandestini, come le trecentomila badanti che Maroni si è impegnato a scovare e a processare ed espellere, una per una. Dovesse usare per questo ronde che busseranno casa per casa. A ricordare alle anziane novantenni che sono passibili del medesimo rischio, qualora non denunciassero le fuorilegge che fanno loro la spesa. (loro solo processate non espulse) E questa volta persino la chiesa ufficiale sembra scorgere l’orrore di una simile politica. Salvo naturalmente schierarsi per i candidati della libertà quando "il popolo" è chiamato a decidere del governo della nazione. L’ho detto a Teresino Serra, di Berchidda, superiore generale dei Comboniani, quando l’ho incontrato a Milano in occasione de "sa die de sa Sardigna": "Crederò davvero che il Vaticano sia schierato dalla parte degli umili e non dei potenti quando un comboniano sarà nominato Papa". Che questi comboniani sono diversi davvero. Chi ancora non conoscesse "Nigrizia",il loro periodico ora anche sul web e il gruppo di padre Alex Zanotelli che lo dirige, non può dire di sapere cosa è la politica africana e quale sia l’impatto del nostro modo di vivere, occidentale, su quel miliardo di uomini e donne che popolano quel continente. Che siano le guerre decennali del Congo (Zaire) o le discariche brulicanti di affamati di Nairobi, la pulizia etnica praticata ai danni gli abitanti del Darfur, lì è sempre presente un padre comboniano. "Andiamo nei posti dove non vuole andare più nessuno", mi dice padre Serra. "E da quando, nel 2003, sono stato eletto a superiore generale dell’ordine è in quei posti che ho voluto si spostassero tutti i seminari, non senza dover vincere resistenze interne". "Erano gli anni ’50, la Sardegna del dopoguerra, niente acqua corrente nelle case, povere le abitazioni di contadini e pastori, quando alcuni sacerdoti vennero in paese a raccontarci le loro storie in terra di missione. Vi ho intravisto l’Avventura. Come me altri ragazzi sardi furono conquistati da quella possibilità di una vita totalmente diversa, affascinante". A Monserrato hanno titolato una piazza a don Silvio Serri, uno di quei ragazzi, che fu ucciso in Uganda nel ’79: gli sbandati di Idi Amin, presidente padrone del paese erano in fuga dalle truppe tanzaniane e ammazzavano chiunque avesse un pur scassato mezzo di locomozione. Ha operato in America latina don Serra, ma anche nel Kentucky razzista, malvisto da bianche e neri per opposti motivi, per i primi era un traditore della razza, pei secondi era semplicemente… un bianco. E poi Kenia, Messico, Salvador. A portare parole di pace e a vivere la vita degli ultimi, i dannati di questa terra. Altro che uniformi sgargianti rilucenti di stellette e medaglie, questo prete di paese i gradi li ha scolpiti nell’anima. Ma è generale a tutti gli effetti (di 1750 sacerdoti e 1500 suore) e il suo ordine gode di un prestigio internazionale che non è secondo a nessuno. Che fierezza nel saperlo sardo, che commozione sentire la sua omelia in S. Ambrogio di Milano, sotto i mosaici policromi di un Cristo pantocratore altrettanto fiero di lui. Sentirgli raccontare di quei posti dove, quasi ogni settimana, per vendetta, gli facevano trovare un cadavere sotto l’uscio di casa. Mi scrive che è appena tornato dalle Filippine, da Manila , che non ha potuto finire "l’intervista" perché è dovuto correre al capezzale di un anziano missionario che ha trascorso in Africa 48 anni, soprattutto in Sudan. So che non ne avrà a male se farò sapere anche a voi parte della sua lettera:"… i giornalisti siete dei seminatori… il seme buono si chiama verità di Dio e degli uomini di buona volontà. E bisogna continuare a seminare: qualcuno raccoglierà i frutti…". Confesso che qualche volta, dopo un intervento di Borghezio o Calderoli, davvero mi vergogno profondamente, e del consenso che acquisiscono continuamente presso un certo tipo di elettorato e dell’essere, come loro ahimè, cittadino di questo paese. Che pur è capace di crescere altri tipi umani, per fortuna: a Berchidda è conosciuto, mi scrive, come Bustieddu; che la Provvidenza ce lo conservi Teresino Serra, superiore generale dei Comboniani. Vero ambasciatore italiano presso i popoli del sud del mondo.