Tottus in Pari, 243: aiutiamoli!

Morte, devastazione. Poi disperazione e la macchina della solidarietà, anche quella internazionale. La conta delle vittime, la ricerca dei dispersi. Gli appelli e le polemiche. E’ il terremoto che ha colpito l’Abruzzo e tutto il centro Italia: 5,8 gradi della scala Richter, una ventina di secondi, con epicentro a qualche chilometro da L’Aquila. Quasi 300 morti, migliaia feriti e quasi 100mila sfollati. Centinaia di migliaia gli edifici crollati o danneggiati, interi paesi distrutti: qualcuno «cancellato». La Protezione Civile sottolinea che un evento di queste dimensioni era difficilmente prevedibile e un ricercatore abruzzese a dire che, sì, il sisma era previsto. Giampaolo Giuliani studiava lo sciame sismico che sta interessando l’Abruzzo da più di tre mesi: utilizza la tecnica della misurazione del gas Radon – la stessa usata negli Stati Uniti ma anche in Giappone e Taiwan – e aveva previsto un terremoto «disastroso» proprio in quella zona. Invece la catastrofe è arrivata, disastrosa. Una ventina di secondi per una scossa con epicentro a pochi chilometri di profondità, fatto che avrebbe amplificato l’effetto del terremoto: avvertito dalla Romagna e giù sino a Napoli, nonostante un evento di 5,8 gradi Richter sia considerato «moderato». Meno intenso ma comunque distruttivo: il centro storico de L’Aquila devastato, il paese di Onna completamente distrutto, Villa Sant’Angelo con il 90% degli edifici crollati, Fossa, San Gregorio, Poggio Picenza, Onna, San Pio, Barrile, Ocre, Rovere, Rocca di Cambio, Pianola, Poggio di Roio solo per citare alcuni tra i comuni più colpiti. La maggior parte sono vecchi borghi, spiegano i soccorritori, ed è difficile pensare a costruzioni in materiale antisismico. E c’è già chi chiede, nei blog e nei forum dei maggiori quotidiani nazionali, che il governo prepari non un piano casa ma un piano anti-sismico per mettere in sicurezza le zone più a rischio. Richieste che arrivano dalla gente comune, non dai palazzi della politica. Lì, per un giorno, si trovano tutti d’accordo. Dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a papa Benedetto XVI, immediati i messaggi di cordoglio: come subito arrivano quelli dalla comunità internazionale, con Barack Obama in testa. Il premier Silvio Berlusconi rinuncia alla sua missione in Russia per recarsi immediatamente in Abruzzo, insieme ai ministri dell’Interno Roberto Maroni e delle Infrastrutture Altero Matteoli: «Nessuno sarà lasciato solo», annuncia il presidente del Consiglio. In prima fila anche l’opposizione: «Questo è il momento dell’azione e della responsabilità», dice il segretario del Pd Dario Franceschini. Non è il tempo delle polemiche, inutile chiedersi se il sisma si sarebbe potuto prevedere o meno. Lo dicono tutti, ora è il momento dell’impegno: quello che spinge centinaia di persone, tra professionisti e volontari, a lavorare sotto la grandine e con le scosse di assestamento che continuano. Attorno c’è morte, dolore e devastazione, solidarietà e discussioni. E gli sciacalli, già all’opera: tutto da copione, tutte scene già viste. Anche le peggiori.

 

LA PEGGIOR COSA DOPO LA MORTE, E’ PERDERE TUTTI I TUOI BENE, LE CERTEZZE DI UNA VITA

LA SPERANZA? PER MOLTI E’ STATA SOMMERSA DALLE MACERIE

Come era prevedibile col trascorrere delle ore aumentano le stime, dei morti e dei dispersi sotto le macerie del terremoto in Abruzzo. Ogni tanto si assiste a notizie e ad immagini che scorrono incessanti nei tg di persone che vengono estratte ancora vive da quell’inferno, ma che purtroppo non riescono a contro-bilanciare la conta dei deceduti. Tante le iniziative che, da ogni parte d’Italia, stanno prendendo forma per portare testimonianza di solidarietà e aiuti concreti alle popolazioni colpite in prima persona dalla tragedia. Persone che hanno perso ogni cosa in loro possesso, sfuggite alla morte, ma che si ritrovano in queste ore a dover fare i conti con la realtà più crudele. Su tutti i quotidiani oggi non si parlava d’altro, immagini, testimonianze, e quasi non ci si rende conto di tutto questo, non ancora. Un Paese, un’ Italia che da subito ha risposto con generosità commovente, e guarda un po’ il caso, perfino la politica sembra non dividersi e non creare troppe polemiche. Fatto strano per il nostro Paese. Abituato quasi sempre a creare contrasti circa qualsiasi cosa accada, e a creare colpe e capri espiatori su ogni fatto. Stavolta sembra di no, la solidarietà, la voglia di "combattere" nonostante ci si senta indifesi e debilitati sta vincendo su tutto, in primis sulla paura che è la grande incognita di queste ore. Un nemico invisibile, che non puoi sapere dove e quando colpirà ancora. In che modo, con quale forza. E con quale forza le centinaia di persone addette ai primi soccorsi trovano maniera di confortare ed aiutare il prossimo? Con una capacità straordinaria di adattamento. C’è voglia in tanta gente comune di prendere e partire, magari andare fin laggiù a dare una mano, a fare qualcosa. Purtroppo fin dalle prime ore la Protezione Civile italiana ha fatto sapere che non è possibile per chiunque prendere parte alle operazioni di soccorso, bisogna essere in grado. Bisogna avere le capacità giuste, essere in grado di saper in un certo senso "dove mettere mano". Si può fare tanto però anche restando nelle proprie città. Come spesso accade in questi casi, sono stati messi a disposizione numeri di telefono attraverso cui effettuare modeste donazioni che però possono fare molto. Ma soprattutto, al di là dei "soldi" essendo questa un’emergenza che riguarda in prima linea le persone che non hanno più nulla si stanno creando specie nella capitale attraverso iniziative volontarie di tanta gente comune svariati "punti di raccolta" nelle più diverse zone della città e della periferia. Punti di ritrovo in cui chiunque può regalare qualcosa di piccolo ma di indispensabile. Oggetti di uso comune, qualsiasi cosa che una persona possa immaginare di avere necessità dopo aver perso tutto. Un pensiero, oltre che a tutti i colpiti, va indubbiamente a tutte le forze dell’ordine e a tutti  i contingenti di soccorso che non smettono mai di cercare tra la polvere che ormai ha ricoperto ogni cosa, perfino le lacrime rimaste.

Massimiliano Perlato

LA SOLIDARIETA’ PER L’ABRUZZO PASSA ANCHE ATTRAVERSO INTERNET

CREATI IN POCHE ORE PIU’ DI 500 GRUPPI SU FACEBOOK

In poche ore sono stati creati più di 500 gruppi su Facebook, ciascuno con centinaia d
i iscritti, in cui gli utenti scrivono messaggi di solidarietà alle vittime del terremoto che ha colpito L’Aquila e le zone limitrofe. Si lanciano anche proposte di aiuto per feriti e sfollati. Dai gruppi ‘Emergenza Terremoto’ e ‘Organizziamoci per la raccolta di aiuti’, ad esempio, sono partiti appelli per le donazioni di sangue e per la raccolta di beni alimentari o vestiti. C’è anche chi si dichiara disponibile a ospitare nelle proprie case per qualche giorno le persone che hanno visto la propria abitazione crollare per la violenta scossa. Sono centinaia, inoltre, i video riversati su You Tube: molti sono presi da network nazionali e internazionali che fin dalle prime ore del mattino hanno mostrato le immagini del terremoto. Alcuni sono invece registrazioni ‘fai da tè, con telefonini e videocamere. Su Internet e in particolare sui social network, Facebook e Twitter (il micro-blog anche via cellulare), si sono susseguite richieste di notizie su amici e parenti, non solo tra i più giovani. Ai primi messaggi, di spavento e disorientamento, sono presto seguite le domande: cosa è successo, dove, ci sono danni o vittime. Accanto a commenti per lo choc subito, anche Internauti che si sono premurati di riportare e anche di tradurre in inglese le prime informazioni che giungevano dai canali tv ‘all news’ e dai siti web di giornali e agenzie. Poi le prime, drammatiche, testimonianze. Su Facebook e’ nato fra gli altri il gruppo ‘’Aiutiamo l’Abruzzo”, in cui gli iscritti si scambiano informazioni utili come i numeri di telefono per l’emergenza, i riferimenti per donare il sangue o le segnalazioni per organizzare ‘’aiuti concreti” per la popolazione sfollata.

Massimiliano Perlato

VOLONTARI SARDI IN ABRUZZO, STUDENTI ABRUZZESI NEGLI ATENEI ISOLANI

TUTTA LA SOLIDARIETA’ DELLA SARDEGNA

Lo "scambio" è sbilanciato ma giusto e doveroso: 480 sardi in Abruzzo, in quattro turni da 120 uomini, per contribuire ai soccorsi; e 50 studenti abruzzesi ospitati negli atenei sardi a spese della Regione, per completare l’anno accademico. Sono solo alcune delle iniziative messe in campo dalla Sardegna dopo il terremoto che ha sconvolto L’Aquila e i paesi vicini. C’è anche quella del sindaco di Cagliari Emilio Floris, sposata dal presidente dell’Anci regionale Tore Cherchi: un emendamento da proporre nella finanziaria 2009 per consentire ai comuni isolani di manifestare concretamente la propria solidarietà. Ci sono la Provincia di Cagliari e quella del Medio Campidano che mettono a disposizione mezzi e uomini, in particolare tre psicologi dell’emergenza: gli stessi che hanno fatto esperienza sul campo a supporto della popolazione di Capoterra, colpita dal nubifragio nello scorso ottobre. E poi le iniziative delle diocesi, a Cagliari e Oristano. Con Ugo Cappellacci a Roma, impegnato nella conferenza straordinaria Stato-Regioni, spetta all’assessore regionale all’ambiente Emilio Simeone spiegare il lavoro della Giunta: sono 100mila gli euro stanziati per permettere la partenza e l’operatività immediata della colonna mobile isolana. Pronta a partire, spiega Simeone, ma si attende il via libera della Protezione civile nazionale: «Siamo in attesa della chiamata da Roma», spiega, «ma i nostri 480 uomini, 120 per turno, sono pronti a partire sin da subito. Per il tipo di interventi richiesti, siamo ampiamente attrezzati. Aspettiamo solo l’ok». Dalla Sardegna partiranno unità cinofile, mezzi e attrezzature per la movimentazione delle macerie, autobotti per il trasporto di acqua potabile, un ambulatorio mobile, ambulanze, una cucina da campo, torri faro, gruppi elettrogeni, tende da campo, strutture mobili per l’allestimento di postazioni mediche avanzate e altre attrezzature per la logistica. Per l’assistenza alle popolazioni sfollate, anticipa la Regione, il contingente sardo è dotato di cucine da campo in grado di preparare e servire non meno di 200 pasti l’ora. L’equipe del 118 è composta da 15 professionisti, fra medici e infermieri specializzati: «Ringrazio sia il nostro personale che si sta prodigando in queste ore per la partenza, che i volontari che stanno aderendo numerosissimi alla missione, contribuendo a garantire il pronto intervento», conclude l’assessore Simeone. La squadra sarà composta da volontari della Protezione civile, uomini del corpo forestale regionale dell’Ente Foreste e personale del 118 oltre che di uffici, enti e agenzie regionali come Enas, Arpas e Genio civile: sarà guidata da un funzionario delegato nominato dal dirigente del Servizio Protezione civile e antincendio della Regione. L’altra iniziativa della Regione era stata anticipata da Cappellacci: «Oltre ai gesti di solidarietà e generosità dei singoli», spiega il governatore sardo, «la Regione si è immediatamente attivata per accogliere 50 studenti iscritti all’università di L’Aquila. Gli atenei sardi sono a disposizione dei giovani abruzzesi per consentire loro di concludere l’anno accademico in corso. In stretta collaborazione con la chiesa sarda, la Caritas e le associazione del volontariato siamo quindi pronti ad aprire le nostre case a questi giovani. Le istituzioni isolane, e ancora prima ogni donna e uomo di Sardegna, vogliono contribuire attivamente alla rinascita dell’Abruzzo, terra oggi martoriata ma che deve trovare le energie e le forze per rinascere. Siamo al vostro fianco».

 

MIGLIAIA DI OPERAI DELLA SARDEGNA HANNO MANIFESTATO A ROMA

L’ODISSEA DEL SULCIS IGLESIENTE

Un Circo Massimo gremito approfitta del sole primaverile, la gente dai vari cortei dislocati per la città confluisce davanti al palco, la moltitudine ascolta i discorsi che si susseguono, dal medico di Palermo che lancia un appello contro il razzismo, alla pensionata che nonostante l’età non poteva mancare. Colpisce la varietà della gente che indossa cappellini rossi e che tiene alti striscioni, ci sono tantissimi immigrati, anziani, donne, gli accenti si mescolano. Una fetta molto grande d’Italia si incrocia in questo giorno di protesta. L’odissea dei sardi è iniziata un giorno prima, quando dai diversi territori i pullman sono giunti al porto di Olbia e la nave gremita ha salpato alla volta di Civitavecchia. Come solo i sardi sanno fare, il sacrificio di una traversata lunga e sfiancante, si tramuta in una festa, in un momento di condivisione. Durante i controlli al porto sul nastro trasportatore passavano cassette di carciofi, maialetti arrosto, malloreddus alla campidanese. Il banchetto è iniziato quando si era già in alto, mare, perchè come dicono loro, nessuno deve restare a digiuno Tutti si scambiano ciò che hanno cucinato e subito dopo si innalzano i canti che allieteranno fino alle quattro del mattino i pochi che son andati a dormire. Nonostante la baldori
a, tutti sanno che non si tratta di una gita. Si scende in piazza ancora una volta per motivi molto seri, ci sono tutte le categorie tra le 1600 persone che riempiono la nave, dai chimici alla scuola, dai pensionati ai metalmeccanici, non mancano mai gli elmetti dei minatori che le dure battaglie le hanno vinte e che non si stancano di essere presenti ancora una volta. Gli elmetti gialli e rossi sulle teste di questi uomini mi ricordano le marce per lo sviluppo del Sulcis Iglesiente, i cortei verso la capitale al grido di "Berlusconi son dolori, son tornati i minatori". Ed eccoli ancora una volta, coloro i quali avevano dovute lasciare le miniere per l’industria. I lavoratori del polo industriale di Portovesme, pressati dalla crisi in maniera schiacciante. La presenza della crisi nel settore dell’industria primaria d Sulcis sta attraversando un intero territorio con conseguenze nefaste per migliaia di famiglie. La produzione di alluminio, piombo e zinco ha subito tragicamente la ricaduta della crisi dell’auto. Attualmente si è fermato metà del settore dell’alluminio, la linea produttiva dello zinco è ferma come anche quella del piombo destinata alla costruzione delle batterie delle auto. Tutto ciò in numeri si può tradurre con 1200 lavoratori in cassa integrazione e altri 500 che nelle prossime settimane rischiano di vedersi abbandonati al medesimo destino. Una situazione difficile che ha portato questa vertenza anche all’attenzione dei media nazionali, in seguito all’appello lanciato dal papa durante l’angelus. Partecipare alla manifestazione per loro significa anche chiedere al governo di assumersi la responsabilità di una crisi diversa, scoppiata già tempo addietro, quella dell’energia, attraverso politiche che possano agevolare le industrie energivore anche in territorio sardo. La Portovesme srl chiede, ormai da tempo, la realizzazione di un parco eolico che possa soddisfare il fabbisogno energetico dei propri impianti, un progetto ambizioso che diventerebbe uno dei primi esperimenti di questo tipo in Italia e che nonostante le continue richieste delle parti interessate, tarda ad ottenere autorizzazioni. Come sostengono gli stessi lavoratori, a volte la burocrazia fa più danni della crisi stessa. Hanno sfilato per le strade di Roma, stanchi ma speranzosi, avrebbero voluto parlare dal palco del Circo Massimo,  ma non è stato possibile, eppure giurano che stanno attivando tutti i canali possibili per far tornare alla ribalta la loro vertenza. Dopo il discorso del segretario Guglielmo Epifani sono già costretti a tornare indietro, verso i pullman che li condurranno alla banchina del porto di Civitavecchia dove la nave partirà nel tardo pomeriggio. Per poche ore di manifestazione hanno attraversato due notti di viaggio ma per loro ne è valsa la pena, hanno dimostrato ancora una la tenacia la loro tenacia, come solo i sardi sanno fare.  

Elisa Cappai

 

IL PREMIO NOBEL ARGENTINO ADOLFO PEREZ ESQUIVEL IN SARDEGNA

UN TOUR PER PARLARE DI UN MONDO SENZA VIOLENZA

Le sonorità delle musiche di Pinuccio Sciola, la passione per la musica e l’integrazione dei popoli hanno accompagnato il Premio Nobel per la pace Adolfo Perez Esquivel nella sua visita in Sardegna. Il progetto "Acquarium", patrocinato dal comune di Oschiri e dai circoli degli emigrati sardi in Argentina, nella sua tappa sarda ha previsto un "concerto per la pace" musicato da Amanda Guerreno. Il Premio Nobel ha protratto il suo impegno per il sostegno ai diritti umani incontrando le amministrazioni di Olbia, Bitti, San Teodoro, Arzachena con concerti ai quali hanno partecipato i cori e i gruppi folk dei vari comuni. La prima tappa del progetto è stata lo scorso ottobre, quando il coro di Oschiri, insieme con i rappresentanti dei circoli degli emigrati sardi, aveva tenuto il primo "concerto per la pace a Buenos Aires" all’interno del Palazzo del Senato argentino in presenza anche del vice Presidente della Repubblica Argentina, Julio Cesar Cobos. Esquivel iniziò la sua battaglia per i diritti umani sotto la dittatura di Rafael Videla, finendo per essere incarcerato, senza processo, e torturato per 14 mesi nel 1977. L’impegno pacifico nella lotta per la libertà e difesa dei diritti umani gli vennero riconosciuti nel 1980, quando l’Accademia di Stoccolma gli attribuì il Premio Nobel per la pace. Da allora Adolfo Perez Esquivel ha continuato il suo impegno. La sua associazione "Pace e giustizia", opera prevalentemente nel Sud America, dove è presente in 15 Stati, ed è impegnata in diversi programmi per l’educazione dei più giovani, per la non violenza e per la pace. In quest’ultimo periodo si sta occupando della Colombia, dello sfruttamento dei campesinos oppressi dalle grosse multinazionali che, appoggiate da forti gruppi di potere locale, impediscono qualsiasi pratica reale di democrazia.

 

LA MORTE DELL’EX GRANDE MAESTRO DELLA MASSONERIA

ARMANDINO CORONA, UN SARDO VERACE

Si è spento venerdì 3 aprile 2009 l’ex Gran Maestro della massoneria Armandino Corona, uomo di grande intelligenza, rettitudine e umanità, un uomo che aveva fatto dei valori della «buona fede, del buon costume, del rispetto dei principi di libertà, uguaglianza e fratellanza» il leit motiv della sua lunga militanza a contatto con il potere, anche ai livelli più alti, principi che lo metteranno in rotta completa con Licio Gelli, il grande intrallazzatore. Repubblicano dal 1964, grande amico di Spadolini, arrivò alla segreteria nazionale dell’Edera, divenendo anche presidente della Giunta regionale. Antifascista, figlio di un esattore anarchico, era nato a Villaputzu il 3 aprile del 1921. Un sardo vero, appassionato cultore dell’autonomia sarda, grande amico di Emilio Lussu e promotore dell’accordo elettorale tra i sardisti ed il Pri di Ugo La Malfa, con cui «ci accordammo quando ci diedero la garanzia di mantenere la nostra autonomia, anzi di rafforzarla». Di famiglia poverissima, confessò, nel suo libro autobiografico "Dal bisturi alla squadra", di aver vissuto sempre a contatto con i poveri. Questa battaglia combattuta accanto ai più deboli indusse il clero a considerarlo comunista. Vinse un concorso per medici e venne mandato nella condotta nella zona di Senis, Assolo, Nureci ed Asuni. «Un angolo di terra più povero e deserto dei paesi del terzo mondo, senza acquedotto, fogne, energia elettrica, scuole». Riceveva uno misero stipendio che gli passava il Comune, ma per suo merito (1949) furono realizzati l’acquedotto, una scuola, l’ambulatorio. Nel 1955 vinse il concorso per la condotta medica di Ales, patria di Gramsci, dove arrivò con una solida nomea di
mangiapreti. Ad Ales esercitò fino al 1969. Forse fu per quello e per la valenza sociale della sua attività che in tre anni quella diocesi divenne la più rossa d’Italia, dove "ho avuto occasione di conoscere sacerdoti che in Dio non credevano assolutamente». Prammatico e teorico del dialogo, aveva un rigoroso senso dell’amicizia e una capacità innata di dialogare, a prescindere dalle militanze politiche o religiose degli interlocutori. E’ nota la sua amicizia sincera col grande vescovo Tedde (1948-1982), che era arrivato ad Ales preceduto dalla fama di grande amico dei poveri, e lui stesso era povero, poverissimo. «L’ho annoverato – dice Corona nella sua autobiografia – tra i miei pazienti per circa vent’anni e l’ho sempre visto con le mutande rattoppate… Arrivava a piedi nel mio ambulatorio per far vedere e far capire a tutti che lui continuava a rimettere la propria salute nelle mie mani. Era una prova e una testimonianza d’amicizia e di stima che non dimenticherò mai. Tra me e monsignor Tedde esisteva una comune base culturale: egli aveva uno spiccatissimo senso di giustizia sociale e di tolleranza che solo successivamente, come massone, io ho imparato ad applicare in tutte le mie azioni.»

Vitale Scanu

 

SI E’ ROVESCIATA LA BARCA DEI DUE FRESI CHE HANNO TENTATO IL GIRO DEL MONDO

A CAPO HORN, FATALE UNA TEMPESTA VIOLENTA

Anche su "Tottus in Pari", sette mesi fa, avevamo accompagnato l’inizio della grande avventura di Paolo e Vittorio Fresi, padre e figlio, navigatori sassaresi per il giro del mondo senza scalo con la barca a vela Onitron Autoprestige. Purtroppo la stessa, ha disalberato in pieno oceano Pacifico a circa tremila miglia da Capo Horn. E’ stata rovesciata dalle ondate durante una tempesta e ha perso la parte superiore dell’albero, che si sarebbe spezzato. Piero e Vittorio stanno bene e hanno lanciato col telefono satellitare. E’ stata subito allertata la capitaneria di porto di Porto Torres che ha rilanciato l’allarme al comando generale di Roma. Sono già stati presi contatti con la guardia costiera neozelandese per un’eventuale operazione di soccorso. Durante la scuffia della barca – non è escluso che abbia fatto un giro di 360 gradi finendo con l’albero giù e la chiglia su – è andata persa anche l’antenna esterna del satellitare e parte dell’attrezzatura del rollbar che sovrasta il pozzetto. Non è nota la sorte dei pannelli solari e del generatore eolico. Onitron si trovava praticamente a metà strada tra la Nuova Zelanda e la punta meridionale dell’America del Sud. Resta l’amarezza, dopo 210 giorni di viaggio, per la grande avventura che sfuma. Ma il Pacifico meridionale è un mare terribile. Le onde, sospinte da tempeste che si susseguono, creano onde mostruose. A volte tanto alte da sventare le vele. Fare una "capriola" – in avanti o in dietro – in queste condizioni è un’eventualità che tutti i navigatori temono. Soprattutto con una barca lenta come Onitron. Pare che la barca sia restata rovesciata per lunghi terribili minuti prima di ritornare in assetto.

Massimiliano Perlato

                                                                                                                                                                                      

TANTE OFFERTE DI "PEZZI AUTENTICI" MA ANCHE MOLTI RISCHI

A CACCIA DI BRONZETTI SU INTERNET

Un viaggio in piena regola ma di sola andata, con soste in località spesso esotiche e tappe finali che vanno dai musei britannici a quelli americani alle gallerie d’arte. Mentre l’inizio del tour per il mondo è quasi sempre lo stesso: l’Italia. Il ritrovamento casuale di un bronzetto nuragico del IX-VIII secolo a.C., messo all’asta alla mostra mondiale del commercio d’arte Telaf di Maastricht in Olanda, ha rimesso sotto i riflettori un mercato che non conosce recessione. Certo il compratore corre dei rischi: di acquistare, o un oggetto che è arrivato in maniera illecita alla casa d’aste, o una patacca clamorosa. E nel caso del commercio dei bronzetti nuragici il numero dei falsi è notevole. Anche se su internet le case d’aste assicurano autenticità e legalità, con tanto di schede di garanzia. Basta fare una richiesta via mail, la risposta arriva subito, gentile ma vaga, con promesse di sconti per chi acquisterà più oggetti. Non è il caso del bronzetto messo all’asta in Olanda, la cui autenticità è stata confermata dai carabinieri del nucleo di tutela per i beni culturali di Sassari, che verificheranno se è stato portato via in maniera legale o meno. Ma gli esempi contrari non mancano. Il caso più eclatante si verificò agli inizi degli anni Ottanta, quando durante una mostra sulla preistoria e protostoria della Sardegna a Karlsruhe, in Germania, furono esposti numerosi bronzetti provenienti da collezioni private. Buona parte risultarono essere dei falsi clamorosi. Ben pochi gli autentici, e tra quei pochi vale ricordare un pendente con una doppia protome di ariete che era stato trafugato dall’Antiquarium Arborense di Oristano nella seconda metà degli anni Sessanta e che "magicamente" era ricomparso alla mostra vent’anni dopo. Insomma spesso il cammino dei falsi si intreccia con quello del mercato clandestino, mischiando ancora di più le acque. Se aggiungiamo Internet, dove puoi vedere i pezzi solo per fotografia, queste acque si fanno ancora più mosse. Per esempio una galleria statunitense con una filiale a Londra, la Royal Athena, propone ai suoi potenziali acquirenti ben sei bronzetti sardi: un arciere, quattro colombelle, un arpista, un cervo, un bue, una mucca (?) e una figurina in terracotta di cui non si capisce granché. I prezzi vanno dai 55mila dollari dell’arciere ai circa 2mila della statuina in terracotta. Abbiamo interpellato la galleria fingendoci possibili acquirenti: hanno garantito che sono pezzi autentici, comprati seguendo leggi rigorose. La casa d’aste peraltro ha credenziali di tutto rispetto: ha venduto a musei come il Metropolitan di New York, il Louvre, il British Museum e segue codici deontologici precisi. Allora ci si può fidare? Alcuni docenti dell’Università di Sassari dopo aver esaminato i materiali su internet pensano che siano "tarocchi" ben costruiti. In breve siamo in un vicolo cieco. Non aiutano le informazioni di presentazione: descrizione sommaria, datazione non sempre corretta ed elenco telegrafico delle eventuali collezioni di cui l’oggetto faceva parte. Nel caso del bronzetto messo all’asta a Maastricht si citava un certo Carlos Blacker, amico di Oscar Wilde, e poi sua nipote Thetis. Per alcuni di quelli messi in vendita dalla Royal Athena si parla di generiche collezioni svizzere o nel caso del bronzetto dell’arpista di Charles T. Seltman, uno storico inglese dell’arte classica. Un bel rompicapo che in alcuni casi del passato ha nascosto storie di commerci illegali con tanto di documenti di provenienza e di proprietà creati dal nulla. L’esempio più famoso non riguarda un bronzetto sardo, ma il cratere di Eufronio (515 a.C.), uno dei capolavori dell’arte greca, comprato per un milione di dollari dal Metropolitan Museum di New York e proveniente dal saccheggio di una tomba etrusca di Cerveteri. Il vaso era stato acquistato dal museo da un mercante d’arte americano, che aveva dichiarato di averlo comprato da un mercante libanese: secondo i dati riportati, il vaso sarebbe stato in possesso della sua famiglia sin dal 1920. Peccato che dalle indagini venne fuori che la storia del mercante era una "balla" e che il vaso sia stato in realtà acquistato nel 1972 da Giacomo Medici, mercante d’arte italiano condannato poi nel 2006 per commercio di oggetti d’arte rubati e ora nell’occhio del ciclone per le vendite illegali al Paul Getty Museum di Malibu in Florida. Il lavoro dei vari nuclei di tutela sparsi nel nostro Paese è davvero difficile. La presenza di più tappe lungo la strada serve a far perdere le tracce a reperti esportati illegalmente, ma anche a dare il tempo di creare un certificato di autenticità per i falsi. Creare una storia credibile, con esperti consenzienti, è un processo lungo che può richiedere anni. Ma come si suol dire "il gioco vale la candela" perché i profitti possono essere molto alti. Nel caso specifico dei bronzetti non è difficile trovare metallo da fondere e spesso si può anche sacrificare un bronzetto autentico, magari in pessimo stato di conservazione. "L’antica" statuina è pronta a superare anche la più attenta analisi allo spettrografo. Poi ci sono i casi di materiali che circolano da più secoli. L’esempio più curioso sono le feretrine nuragiche spuntate fuori negli anni Ottanta in una pubblicazione negli Stati Uniti. Con molta probabilità facevano parte di un lotto di reperti, battuto all’asta da Christie’s, di Gaetano Cara, direttore del Regio Museo di Cagliari e abile mercante d’arte oltre che falsario. Il direttore, sotto il falso nome di Olivetti, li aveva portati nella seconda metà dell’Ottocento a Londra nel tentativo di venderli al British Museum, come aveva fatto già altre volte. Ma in questo caso il museo rifiutò e Cara fu quindi costretto a metterli all’asta. Il confronto puntuale fatto con altre feretrine comprate dal museo londinese dal Cara non lasciò dubbi. La strada percorsa per riapparire dopo una sparizione durata un secolo invece sì. Questa insomma è la posta in gioco di un business in cui il banco (il mercato) sembra vincere quasi sempre, a sprezzo di crisi mondiali e di etica.

Francesco Bellu

 

I GRANDI MERITI DEL FESTIVAL DI GAVOI

L’ISOLA DELLE STORIE

Di festival in Sardegna se ne fanno parecchi. Per alcuni anche troppi, anche se non sempre è chiaro il parametro per definire il presunto eccesso. Io sono piuttosto tra quelli che pensano che di buoni festival non ce ne siano abbastanza. Per questo saluto con favore i primi squilli mediatici sull’Isola delle Storie, il festival della letteratura di Gavoi, che quest’anno ha lasciato trapelare con molto più anticipo del previsto diverse indiscrezioni su quello che sarà il programma di questa edizione. Baricco, si dice. Bignardi tra gli esordienti. Niffoi, annuncia l’Unione Sarda, e altri nomi di sardi ancora segreti. Mauro Evangelista, l’illustratore dei sogni, per il festival dei piccoli. E Petra Magoni, la nuova icona della musica indie, ad inaugurare la serata d’apertura. Naturalmente ci saranno polemiche sul programma, ci sono sempre: c’è chi vorrebbe più sardi, chi più stranieri, chi più giallisti, chi più nomi mainstream, chi più firme elitarie, chi più sedie e chi più tende da sole. E’ fisiologico, sarebbe strano il contrario. E’ invece veramente strano il fatto non emerga mai che, al di là dei meriti culturali, Isola delle storie in cinque anni ha quadruplicato i posti letto dei comuni del bacino imbrifero del Taloro, generando un indotto economico che fa di quei giorni di cultura un’attività produttiva vera e propria. Non è questo il parametro di valutazione, certo. Ma è un argomento più che valido per tutti quei comuni poco sensibili ai valori non monetizzabili, e che non ritengono economicamente conveniente investire in cultura, convinti che sia vuoto a perdere. Non viene mai fuori nemmeno il fatto che per i nove mesi curricolari le scuole del circondario lavorano con i ragazzi intorno ai testi degli autori che verranno al festival, e che le bibliotec
he del circuito locale hanno registrato movimenti di prestiti tra gli under 18 mai visti prima che esistesse la manifestazione. Pochi sanno anche che, a differenza di altri festival in Sardegna e altrove, gli scrittori che accettano di intervenire non sono retribuiti, e che oltre alla presenza si chiede loro di condividere il festival come esperienza complessiva, vivendolo per intero da partecipanti, non solo da ospiti. Tutti invece possono vedere che il festival si regge principalmente sull’operato gratuito di centinaia di persone, dai membri del comitato ai moltissimi volontari con le magliette rosse che sono il vero segreto del successo di questa manifestazione: Isola delle storie non è tanto il festival a Gavoi, ma è il festival di Gavoi, e la preposizione fa tutta la differenza.

Michela Murgia

PROPOSTA AI CIRCOLI DEGLI EMIGRATI SARDI

L’ARTE DELLE PALME INTRECCIATE

Il sacerdote don Ignazio Orrù della diocesi di Ales – Terralba e la professoressa Nevina Dore, docente di lettere, studiosa di tradizioni popolari, possiedono una collezione privata di circa 200 palme intrecciate in Sardegna di varie epoche.  I due studiosi hanno iniziato la loro attività di ricerca nel 1995, hanno scoperto tantissimi manufatti in palma nelle più disparate zone della Sardegna. Affascinati dai numerosissimi, stili, tecniche, ornamenti, simboli dell’arte della palma , con pazienza certosina hanno raccolto, conservato, smontato e ricostruito antichi manufatti, per impadronirsi dei segreti degli anziani intrecciatori . I loro studi si sono allargati alla storia della tradizione, alla religiosità e a tutti gli aspetti simbolici e apotropaici . La loro collezione e la loro ricerca è immortalata in un libro ricco d’immagini che i due studiosi hanno pubblicato grazie al patrocinio della provincia di Oristano nel 2000, in occasione del Giubileo. "Le palme intrecciate nella Provincia di Oristano" è Il lavoro dei due ricercatori che è proseguito con la curiosità propria di chi ama la propria terra e le proprie tradizioni e hanno allargato la ricerca dei manufatti ad altre province della Sardegna e regioni d’Italia come la Liguria, arrivando a conoscere l’arte dell’intreccio delle palme spagnole, onde compararla con quella sarda. La loro raccolta è divenuta un punto di riferimento per chiunque voglia istruirsi o esercitarsi in quest’arte meravigliosa, attraverso conferenze con immagini inedite e mostre dei manufatti. Dopo la pubblicazione del libro "Le palme intrecciate nella Provincia di Oristano", numerose mostre si ripetono, ogni anno nelle località più disparate, con sempre maggiore successo ne elenchiamo alcune :

– La prima mostra a Gonnosnò (OR), nel 1995

– Mostra ad Oristano nel 1996 con ITALIA NOSTRA – Mostra presso il circolo dei sardi di Pavia nel 2000

– Mostra presso i comuni di Uras, Furtei, Albagiara, Cabras, Seneghe, Milis, Norbello, presso le scuole e i centri culturali.

– Mostra a Sanremo, in occasione della "Dies Palmarun"  IV Biennale europea della palma, nel novembre del 2005.

– Ad Ales (OR) durante la settimana nazionale dei musei, presso il museo diocesano, nel 2007. I ricercatori si propongono ai circoli dei sardi degli emigrati, ad associazioni culturali, a centri di cultura che volessero conoscere e diffondere l’arte dell’intreccio, attraverso mostre e conferenze sulla storia della religiosità popolare e sulle tradizioni della palma in Sardegna. Nevina Dore (Oristano) tel 0783 -72458

 

SPETTACOLO TEATRALE DEL REGISTA ORRU’ CON IL TESTO DI ANNA CRISTINA SERRA          

ELEONORA, UNA VISIONE, PREMIATA A LANUSEI

Oscar Wilde in epoca vittoriana affermò: "Fornite alle donne occasioni adeguate e le donne potranno fare tutto." Se pensiamo ad Eleonora d’Arborea non possiamo che dare ragione allo scrittore irlandese. Eleonora d’Arborea figlia del grande giudice Mariano IV fu una abile stratega molto prima di divenire judikessa. Sul finire del ‘300 grazie ad un ottimo disegno dinastico si impose nel gioco della politica europea. Nel momento in cui si ritrovò per un caso fortuito a guidare il regno d’Arborea questa donna mostrò tutto ciò che si poteva fare. Vera statista, ottima legislatrice, basava la sua legittimità del regnare nel popolo. Fu sempre lei a porre regole e ordine quando la violenza dilagò nel regno a causa degli aragonesi. Fu sempre lei che aggiornò e ampliò la Carta de Logu (1392 ca.) dopo appena 16 anni dalla promulgazione ad opera del padre. Le regole, le leggi garantirono la pace, cioè l’ordine nel tempo, il futuro del regno. Lo spettacolo, costruito a partire da un soggetto teatrale del regista Giampietro Orrù e un testo poetico di Anna Cristina Serra, è articolato in quattro quadri scenici con musiche e ballate originali. Nell’arco temporale di una giornata come avveniva per il teatro greco classico, vediamo all’interno del lazzaretto la figura di Eleonora e lo scorrere di immagini, pensieri e sogni di questa donna che nella sua vita s’impegnò con tenacia  per l’idea di una Nazione sarda.  Soltanto per "malignità della fortuna" cioè per quella peste che la colpì duramente dovette rinunciare a quel cammino di civiltà. "Eleonora, una visione" si apre con la regina in uno scranno rovesciato.  La regina capovolta, tiene il suo piede dritto e verticale quasi ad indicare il cielo. Uno spazio antitetico alla quale presu
mibilmente si sente più vicina proprio in quel momento che la malattia, la peste, la divora. Eleonora e la sua visione rimanda così all’iniziazione passiva o mistica detta anche femminile o ionica, quella che mira all’annullamento totale dell’Ego illusorio e che fa dell’iniziato un ricettacolo di forze superiori. La  regina capovolta si sacrifica in nome di un bene più grande ed inizia ad invertire la rotta, prima che giunga al punto di non ritorno; è colei che si svuota per divenire spazio contenitore di forze luminose e opposte. Il guerriero capovolto dei menhir, la Tanit fenicia ma rovesciata nella tomba di Monte Sirai, il ballerino di San Michele Arcangelo di Siddi. Una pratica regressiva che capovolge i modelli convenzionali dei cicli temporali capaci di abbracciare in una sottile linea fra spazio e tempo il passato, il presente e il futuro. Figure capaci di invertire la direzione del tempo, così come fa la regina Eleonora in questa visione poietica : desiderosa di apprendere, porta con sé la conoscenza del futuro e una diversa comprensione del passato.  E così che vedrà con estrema lucidità nelle maglie della rete che avvolge il suo corpo lo dispiegarsi e l’incedere malfermo del suo Popolo. La regina per mostrarci il mondo deve rovesciare la prospettiva e presentarci così la verità attraverso la sua folle visione. Eleonora è qui simbolo, perché i simboli, come vuole  l’etimologia syn-ballein = "mettere insieme" sono un supporto di saldatura di pezzi in precedenza separati, frantumati fra loro. Ed Eleonora come elemento simbolico contiene quegli elementi della ripetizione e della differenza, della ripetizione annunciata nel differimento del destino e del differimento di volta in volta riconfermato nella ripetizione dell’origine. Elementi della ripetizione e della differenza. Vive una tensione insopprimibile fra un polo sottrattivo ed uno addizionale della produzione di senso.  Così come nel Castello dei destini incrociati di Italo Calvino, Orlando, pazzo per amore, verrà appeso al contrario affinché ritrovi il senno, lui stesso chiederà di essere lasciato così perché solo in quel modo gli è tutto chiaro. Quando il desiderio è così forte da sfiorare la follia si è disposti a capovolgere la prospettiva. E con questa follia si porta con sé la conoscenza del futuro e una nuova comprensione del passato.

Non dimenticare : « Il seme nascosto » e ….. allora sollevo la testa e il mio sangue, come un fiume, non è più melma  ma grido. E il mio sangue come un fiume in piena si fa’ grido: Arbarèè! Arbarèè!!

Motivazione con la quale l’opera Eleonora, una visione della Compagnia Teatrale "Fueddu e Gestu" di Villasor è stata premiata al Premiu Marianu IV – Unu gigante.* "Eleonora, una visione"partendo dalla biografia storica e politica della judikessa Eleonora, traduce con un affascinante intreccio di poesia e mito la cultura, la storia e la società sarda in labirinti simbolici universali. L’opera sviluppa e avvia, grazie al gioco-percorso della memoria, la dinamicità del pensiero dell’Uomo e in particolare quello dei sardi che intravedono attraverso la forma della visione e del sogno di un archetipo femminile il raggiungimento della pienezza dell’Esistere nella loro Terra.

Ornella Demuru

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