di Ignazia Scanu
Sono giunta alla conclusione che il più grosso problema della Sardegna del secondo dopoguerra è stato, è e sarà sempre l’assistenzialismo. Con ciò intendo tutte quelle manovre che convogliano soldi nelle tue tasche senza in cambio chiedere nulla in particolare, oltre che una respirazione regolare. Sessant’anni di assistenzialismo ci hanno sottratto anche la dignità. Perché spiegatemi che cosa oggi nell’Isola funziona di sua propria volontà. L’agricoltura? E’ moribonda, sopravvive solo in virtù degli aiuti europei che trasformano i contadini in potenziali cialtroni alla ricerca del soldo facile. Piove troppo? Contributo danni pioggia. Sole alto? Contributo siccità. L’agricoltore e il pastore aspettano che il politico si impegni per loro, ovvero che apra il borsellino. Questa e solo questa è la richiesta. Ma forse va meglio con l’industria. Sbagliato. L’industria sarda funziona solo in ragione delle scelte della politica di salvare o meno un’attività. Perché le aziende capaci di farcela da sole non ci sono. Ma almeno il turismo ci salva in corner. Neppure. Dopo mezzo secolo di tentativi a vuoto risulta chiaro e lampante ai più che non c’è umanamente alcuna possibilità di far decollare il turismo in Sardegna ad opera dei sardi e con capitali isolani. Non sto a discutere dei milanesi perché quelli ci riescono sempre. E sia ben chiaro che non vedo la possibilità di farcela neppure con l’aiuto della politica, che in tal campo si mostra semplicemente negata. Con questi presupposti io sono andata alle urne a votare, a scegliere chi possa ovviare a tale, disastrosa, situazione. E vorrei poter avere la possibilità di scegliere qualcuno capace di dire: adesso si fa sul serio, per troppo tempo vi abbiamo costretti a tendere la mano all’angolo di una strada, ora è giunto il momento di diventare grandi. Ci costi pure lacrime e sangue, ma non torneremo indietro. Voglio una scelta impopolare, lo so, ma onesta. E vorrei che tutti i sardi come me la chiedessero a gran voce. Altrimenti saremo sempre e solo ostaggio di una classe politica inetta e stupida che nasconde la sua dappocaggine dietro un’elargizione inutile.