di Gianfranco Pintore
Ne ho viste tante di campagne elettorali, in oltre cinquanta anni che voto, da farmi diventare uomo di mondo, restio a meravigliarmi della crudezza delle accuse incrociate. La faccia di Garibaldi (Fronte popolare) che rovesciata si trasformava in quella di Stalin, i manifesti con lo Scudo crociato sormontati da enormi forchette (dc=forchettoni), e poi i comunisti che mangiavano i bambini, i Dc dal governo assassino e via via.
A parte il gusto non proprio raffinato di chi, su Facebook, augura a Berlusconi un infarto, o il blog di Di Pietro che definisce l’avversario un nazista e, di converso, le accuse di vetero-comunismo lanciate sui Democratici, le nuove tecnologie nella comunicazione non aggiungono molte novità, al di fuori del mezzo impiegato. Tanto, finite le elezioni, non credo che l’accusa di nazismo da un lato e di stalinismo dall’altro avrà lo sbocco naturale, consono a tali denunce: la resistenza armata e la guerra civile fra fazioni naziste e fazioni staliniste.
La novità sta nel fatto che a suscitare principalmente l’incarognimento non sono elezioni governative riguardanti tutta la Repubblica, ma le elezioni politiche in Sardegna, vale a dire in una parte della Repubblica. La Sardegna, insomma, è trasformata in un campo di Marte fra principi alla Corte di Madrid. Non è solo questo, va da sé, e comunque ai sardi interessa eleggere un loro presidente che, al di là di chi ha designato la loro candidatura (Veltroni Soru, Berlusconi Cappellacci), dal 17 di questo mese ci governerà. Ciascuno con alleati che cercano di entrare nel Parlamento sardo con una forte profferta di sardità e di sardismo (un aspetto nuovo ed incoraggiante) e ciascuno – questa è almeno la mia speranza – con terzi incomodi, espressione del mondo indipendentista senza se e senza ma. Comunque vada, quale dei due schieramenti vinca, non ci sarà alcuna catastrofe: la Sardegna non sarà consegnata né al Bene assoluto né al Mostro del male, categorie assolutamente fungibili da qualunque parti si osservi. Resterà ai sardi che dovranno dimostrare a loro stessi che i richiami alla loro dignità di popolo e alla loro sardità, che in modo bypartisan sono stati rivolti e accolti, faranno la differenza fra un passato più di autocolonialismo che di colonialismo e un futuro di capace autodeterminazione. Sullo sfondo c’è la devoluzione alla Sardegna di più ampi poteri (impropriamente chiamata federalismo, ma anche l’enfasi può servire) e un processo di revisione della Costituzione in senso davvero federalista e contro lo statalismo di cui è ancora impregnata. Lo è non solo perché a dirigere i lavori della Costituente era un uomo, come Umberto Terraccini, comunista e sostenitore del primato dello Stato, ma anche perché, obiettivamente, subito dopo la guerra, il diritto internazionale circa l’autodeterminazione dei popoli ancora non esisteva. Solo le vestali della Costituzione come totem intangibile e il segretario del Pd (spero solo per questioni elettorali di contrasto con il suo avversario) che si appella alla piazza per contestare l’Eversore, possono pensare che una Costituzione nata sessanta anni fa possa essere del tutto attuale oggi. Senza che, per esempio, adotti il principio universalmente riconosciuto e sottoscritto dal Parlamento italiano del diritto dei popoli alla autodeterminazione (articolo 1 del Patto dell’Onu sui diritti politici e civili, 1966); o senza che, appunto, il rapporto Stato-Cittadini sia più bilanciato e, semmai, sbilanciato a favore dei secondi. In tempi di normalità, queste questioni sarebbero affrontate come problemi seri. In tempi di elezioni, no: è quasi una guerra di religione. Ma siamo fiduciosi: Ha da passà ‘a nuttata.
Max, Hia finito di andare a scrocco on Sardegna ?
speriamo ciao