di Gianfranco Pintore
Appare evidente che in questa campagna elettorale che volge alla fine, la "questione sardista" ha acquistato una centralità che negli anni aveva perso. Non penso tanto alla sardità, che è uno status esistenziale carsico (emerge o si nasconde a seconda del grado di autostima che di sé si ha), quanto proprio all’affermazione positiva della coscienza di sé. La sardità si manifesta nel modo di vestire, nella musica sarda che fa da sottofondo ad alcuni spot elettorali di parti politiche fra loro avversarie e soprattutto nella rivendicazione che tutti (o quasi) fanno dell’essere sardi. Per il sardismo la questione è diversa: qui si parla di coscienza.
Paradossalmente intacca anche chi sente il bisogno di dichiararsi antisardista ("Addio ai fantasmi. Critica del sardismo" è il titolo della conferenza di un leader indipendentista). Contrariamente a molti cari amici, non solo non mi angustia il fatto che il Partito sardo si sia diviso fra i due schieramenti che hanno le maggiori possibilità di governare la Sardegna, ma anzi mi pare un normale fare chiarezza intorno alle diverse sensibilità. Che non sono quelle che ruotano intorno ad obsolete categorie di "destra" e di "sinistra", quanto piuttosto a visioni "democratiche" o "liberali". (I due aggettivi sono virgolettati perché nessuno degli schieramenti si definirebbe antidemocratico o antiliberale). L’importante – è solo un mio punto di vista, chiaro – è che, quale che sia lo schieramento che vinca, porterà al suo interno poco o molto di sardismo; non una polivalente sardità di cui nessuno è disposto ad ammettere di poter fare a meno, ma proprio il sardismo.
Durante la campagna elettorale, fatta per guadagnare consensi spesso senza badare alla verità delle cose, si sta sentendo di tutto, relativamente alla "questione sardista" che evidentemente è sentita più centrale di quanto i numeri possano dire. C’è, così, chi introduce l’inedita categoria politica di "s’ischiffu" per la scelta del Psd’az che, essendo il sardismo "un fantasma", poco dovrebbe angustiarlo. C’è chi vuol fare un viaggio fino ad Arcore per riprendersi una bandiera, quella del Psd’az donata a Berlusconi, che non è sua, rischiando la brutta figura della appropriazione indebita. E c’è chi, fresca di militanza nel Psd’az, pensa che la storia cominci con la sua adesione e si inventa una storia che non c’è stata. Il Partito sardo "sempre" di sinistra afferma, senza neppure avere una pallida idea di che cosa dicesse la sinistra del Psd’az alleato della Dc. La quale Dc, per propria comodità e a babbo morto, è oggi detta non di destra; si legga, chi oggi lo afferma, che cosa della Dc diceva, per dire, "Il lavoratore". Povero Psd’az, etichettato di destra, di sinistra, di centro a seconda delle sue alleanze e la contiguità o la lontananza dal Pci prima e dagli eredi di quel partito poi. In realtà – e questa non è una dichiarazione di voto né un’apologia della sua politica, semplicemente una oggettiva constatazione – il Partito sardo ha fatto la scelta che un partito nazionale sardo è obbligato a fare: rompere con la sindrome di Stoccolma che lo ha inchiodato dal 1989 alla pregiudiziale scelta di schieramento e attuare una politica di alleanze secondo l’adesione di altri al proprio programma.
In Catalogna, presa a modello da quanti pure contestano la scelta del Psd’az, è quello che storicamente fanno i partiti nazionalisti. Così, ad esempio, Erc, Sinistra repubblicana catalana, partito non solo indipendentista ma repubblicano in una Monarchia, non prova "ischiffu" ad allearsi con il Partito socialista cui va benissimo la Monarchia. Ma, ripeto, siamo in campagna elettorale e Machiavelli impera. Quando la sbronza sarà finita e la capacità di intelligere riaffiorerà, in molti si accorgeranno che il Parlamento sardo sarà diverso, più sardista di quello che ci siamo lasciati alle spalle. Chiunque vinca.
W SORU, W la SARDEGNA!
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