Cosa si nasconde dietro la "maledetta" area del Salto di Quirra?

di Massimiliano Perlato

 

Nell’altopiano comunemente conosciuto come Salto di Quirra, regione a cavallo tra le province di Cagliari e Nuoro, sorge il Poligono interforze salto di Quirra. Due grandi aree, di terra meglio conosciuto come il poligono di Perdasdefogu e di mare, nota come poligono di San Lorenzo. In pochi sono a conoscenza del fatto che il poligono di Quirra non ha rivali a livello europeo in quanto ad estensione territoriale, sia in mare sia in terra sia nello spazio aereo. I tratti del Mediterraneo soggetti a schiavitù militare impegnano aree che superano l’estensione dell’intera isola con quasi 24mila metri quadrati, arrivando ad occupare acque internazionali, mentre la dimensione degli spazi aerei soggetti all’attività del poligono sono incalcolabili. Ben 10 i comuni espropriati di propri territori, sia interni che costieri, per via dell’attività militare: Arzana, Villagrande, Villaputzu, Armungia, Ballao, Jerzu, Lotzorai, Perdasdefogu, Tertenia e Ulassai. Nella vasta area che comprende poligoni missilistici, si addestrano unità della NATO in attività di fuoco nelle combinazioni terra-aria-mare. Le zone interdette alla navigazione seguono quasi una linea retta che va da Siniscola a Castiadas, impegnano quasi 3milioni di ettari. Il Poligono nato nel 1952 essenzialmente per scopi scientifici, più precisamente per le ricerche meteorologiche spaziali, fu poi dedito all’operatività delle esercitazioni nella base di Perdasdefogu. Nel 1959, lo Stato Maggiore della Difesa, decise di rendere il Poligono di armamento "scientifico aeronautico" interforze assumendo l’attuale denominazione. Oggi è considerato un parco militare, un immenso supermercato dove aziende fabbricatrici di armamenti, invitano i potenziali clienti, eserciti stranieri su tutti, a partecipare alle dimostrazioni di funzionamento in previsione di un possibile acquisto, previo il pagamento d’affitto dell’area s’intende (le aziende pagano al Ministero della Difesa italiana 50mila euro per l’affitto di un’ora della terra e dell’aria del poligono sardo). La zona dello spazio aereo del poligono sovrasta anche una parte del Gennargentu proposta come parco naturale. Ora, considerando che in Sardegna, ma non solo nell’isola, numerose aree militari si trovano all’interno di territori successivamente diventati aree di interesse ambientale, e quindi soggette a tutela, come il Parco di La Maddalena con la Base di Santo Stefano e l’Area Marina Protetta di Tavolara anch’essa con presenza militare, è possibile trarre la conclusione che siti di rilevanza ambientale non diventino tali per la consapevolezza che preservare l’ambiente sia una necessità, bensì perché trattasi di superfici già sottoposte a vincoli paesaggistici restrittivi derivati dalla presenza militare e diventando aree protette, i confini di queste non potrebbero che allargarsi e prestarsi ancora meglio agli utilizzi sopra descritti. Questa potrebbe essere una possibile spiegazione alle forti pressioni provenienti da alti vertici e ai tentativi rivolti alle popolazioni locali affinché nasca il Parco del Gennargentu. La realtà è che i poligoni sardi, con i suoi 24mila ettari rendono al Paese più di un’industria bellica, anche perché l’obiettivo finale del ministero è quello di diventare un Centro di Eccellenza per favorire soluzioni tecnologiche e rendere maggiormente internazionale il proprio portafoglio ordini. E sono terre queste, "rubate" alla Sardegna, alle sue pecore e alle sue vacanze: tanti i terreni sui quali per anni si sono disseminati missili, razzi e proiettili all’uranio impoverito e che i pastori e gli agricoltori forse non potranno più rendere produttivi. E la cosa peggiore, messa a tecere, che la terra invasa dai materiali di scarto delle esplosioni di mezzo secolo di attività militare e dove i militari, che prestano servizio in quei posti, pian piano si spengono avvolti da malattie inguaribili.

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