Antonio Marras, protagonista a Milano, nella città della moda

di Sergio Portas

 

E’ noto che il nostro paese, scarso com’è di materie prime che contano in quest’era in cui il petrolio la fa da padrone assoluto, regge la competizione economica planetaria mediante esportazione di lavorati che inglobano la creatività e l’ingegno italiano, che ci è universalmente riconosciuto: in altre parole è il made in Italy che ci permette di sostenere la concorrenza di paesi ben più ricchi e popolosi del nostro. E in questo comparto la moda italiana, l’alta moda, sfoggia, è il caso di dire, fatturati da brivido e partite commerciali finalmente in solido attivo. Per avere un’idea dei soldi che girano in questo campo basterà citare che nella classifica dei"100 best global brand 2008" (i marchi a maggior valore economico, primo di tutti Coca Cola)un marchio come "Gucci" che è 45° è valutato 8,254 miliardi di dollari che, con l’attuale cambio fa  più o meno 10 miliardi di euro (ventimilamiliardi del vecchio conio). E a livello dei vari Armani, Prada, Dolce e Gabbana e compagnia bella è arrivato, da qualche anno anche Antonio Marras che, partendo dalla sua Alghero e anzi facendone stabile residenza della sua creatività, si divide normalmente tra Milano , Parigi e il Giappone tutto, da quando oltre al suo marchio si è preso la briga di rilanciare la nipponica maison Kenzo, che non stava attraversando un periodo particolarmente felice. Insomma l’algherese Marras è arrivato ad occupare una posizione di assoluta preminenza internazionale. E allora, visto che in a Milano c’è stata  la "Moda Donna primavera estate 2009" me ne sono andato in fiera a vedere la  sua sfilata, confidando che lo scrivere per una testata sarda fungesse da "passpartout", visto che di norma avrei dovuto accreditarmi almeno una settimana prima. Che qui, in questi ovattati e mochettati   ambienti si celebrano i riti apparentemente frivoli della nuova religione interplanetaria, che veste i suoi adoratori con questi esclusivi costumi così poco alla portata del medio consumatore, stretto com’è da aumenti di pane e pasta e benzina e gas e luce. Per i vestiti d’alta moda , agli italiani,tocca aspettare congiunture più favorevoli. Ma non per tutti è così, in questa specie di lotteria che vede petrolio e materie prime rincarare del 40, 50% in pochi mesi ci sono paesi e quindi abitanti che arricchiscono egualmente con queste percentuali da sogno ( o da brivido): da qui una folla di arabi, russi, orientali di ogni tipo che si accalcano e si spintonano  per presenziare alle sfilate di moda milanesi. Non parliamo poi del numero dei giornalisti e fotografi, come mi avvicino alla sala in cui ci sarà la sfilata di Marras uno sbarramento di ragazzi palestrati, il più piccolo sarà un metro e ottantacinque, tutti rigorosamente in giacca e cravatta, respingono cortesemente ma altrettanto fermamente tutti coloro che osano presentarsi senza l’invito di regola. Contando sull’assonanza del mio cognome con quello del padrone di casa: Portas-Marras e vantando una provenienza dal Campidano nostro riesco, fortunatamente, ad impietosire una gentile donzella che controlla uno sterminato elenco di testate giornalistiche che si sono prenotate per assistere all’evento, avrò un posto "standing", al mio sguardo perplesso segue una traduzione istantanea: un posto in piedi. Vi confesso che intanto non posso rimanere del tutto indifferente al fascino di cento e una modelle che passano ininterrottamente da un salone all’altro: vanno di moda alte, ahimè, con tacchi stratosferici che le fanno raggiungere ancora più impossibili vertici. Le modelle di Marras sono magre da far paura e truccate come se da un momento all’altro dovessero scoppiare a piangere, leggo su "Repubblica" a firma Laura Asnaghi che:" La storia che racconta Antonio Marras è, come sempre, colta e davvero speciale. Con i suoi abiti rosa antico e nero, verde e fucsia, plasmati con i fiori di stoffa, drappeggi e volute, ha potato sotto i riflettori la storia tormentata di Camille Claudel, allieva e amante di Auguste Rodin  che ha passato 25 anni in manicomio. Lo scenario della sfilata è un atelier di scultura dove campeggia una statua della venere di Milo che va in frantumi, come il cuore della sfortunata Camille". Sarà, ma davvero a queste ragazzine pallide con gli occhi pesti che sfilano a passo di marcia guardando il vuoto ti viene voglia di pagargli un caffèlatte con brioche, che questi sono i sentimenti che ispirano. A fronte della passerella illuminata a mò di strada risplendente, in una atmosfera in cui le musiche sono dolci e sommesse, stanno un centinaio almeno di fotografi assatanati, tutti muniti di cannoni oculari a sostegno di sofisticatissime macchine che sparano flash come mitragliatrici afgane. Il pubblico dei compratori e dei giornalisti riempie completamente i posti a sedere che fanno da ala alla passerella. Per quelli come me, in piedi, è un vero e proprio esercizio di equilibrismo riuscire a scattare qualche fotografia, perché tutti hanno almeno un telefonino di nuova generazione che esibiscono alzandolo in alto per cercare di superare le teste di quelli che li precedono, in pratica è come sparare a un bersaglio che sappiamo esserci ma che nessuno riesce bene ad inquadrare.  Dovrei dirvi degli abiti che davvero mi paiono molto belli, addirittura sprecati per queste anoressiche fanciulle, ma l’effetto è sicuramente ricercato, voluto. Michela Gattermayer che scrive solo di moda li definisce "iperdrammatici", in grigio e nero, con pochi tocchi di rosso fragola. Drappeggiati, tagliati al vivo, ripropongono una visione romantica della donna di inizio del ‘900 e ricordano il "non finito"delle opere di Camille. I materiali sembrano lavorati come la creta usata dall’artista, tridimensionali, e trasformano i modelli in vere e proprie sculture da indossare o anche solo ammirare. Come le bellissime gonne  dei veri e propri palloni che sembrano poter stare in piedi da sole. Lui, Marras, rilascia dichiarazioni ( a Rocco Mannella, su "Speciale sfilate donna") tipo:"Nelle mie sfilate cerco sempre e comunque di far confluire e dialogare le ispirazioni che mi derivano dalla mia grande passione per il teatro, il cinema, la musica e, soprattutto, la danza…". L’unica volta che gli ho parlato a tu per tu, in occasione di una presentazione di un libro di Niffoi, qualche mese fa, non ha mostrato alcuna altezzosità, con una giacca di velluto marrone, meno capelli di me, che è tutto dire, la barba incolta, l’avresti detto uno di quei connazionali che si incontrano nei bar di paese, l’ennesima birra in mano. Niente di più ingannevole, Luca Ronconi che metterà in scena al teatro Streheler di Milano il "Sogno di una mezza estate" di Shakespeare a fine ottobre userà dei costumi firmati da lui. L’ho scelto, ha detto il regista, perché uno degli stilisti più creativi e attesi a ogni stagione, al crocevia tra moda e arte, tra saperi tradizionali e progettualità contemporanea. Davvero uno di quei sardi che traghettano la nostra isola al centro della ribalta internazionale in grazia di un talento che, lui dice, è ispirato tutto dalla terra che gli ha dato i natali.

 

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2 commenti

  1. Max volevo complimentarmi per il blog. Bello, interessante e coinvolgente. Finalmente ieri mio padre (che ti saluta) dopo mesi, mi ha restituito il tuo libro. E come sempre, ho riletto le tue prime pagine.. quelle dedicate a Terralba e all’adolescenza passata in quei luoghi.. E mi sono ritrovata a piangere. Quelle pagine mi trasmettono un’emozione infinita. Soprattutto a chi come me, ha vissuto quei luoghi. Ricordi? Sono passati oramai 20 anni… quel gruppo di scavezzacolli che eravamo tra le dune di Torre, Pistis e Terralba.. Penso che siano stati davvero “i migliori anni della nostra vita”.. spensierati ed eravamo così giovani! Perché non inserisci quello scritto nel blog? Secondo me merita.

    Un caro saluto

    Ps: mi sorprende moltissimo sapere che non lavori nel giornalismo! Giornalismo sardo per la precisione. Tu hai sempre dato tanto alla Sardegna e poi hai sicuro talento e un entusiasmo incredibile nel fare queste cose..

  2. Ti saluto con affetto.. sia te che la tua famiglia. Al più presto inserirò nel blog quello scritto che di fatto è il mio primo articolo che un giornale ha pubblicato (Nuovo Cammino, 2002). Per il giornalismo ho sicuramente più entusiasmo che talento, credimi! E comunque, sono due componenti che oggi come oggi, non determinato alcuna certezza per entrare in quel campo. Contano, ahimè, altri fattori che non voglio nemmeno menzionare.

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