
Raffaello Marchi
di LUCIA BECCHERE
Con l’acquisizione da parte dell’ISRE (Istituto Superiore Regionale Etnografico), dal 2019 l’archivio Raffaello Marchi- Mariangela Maccioni fa parte del patrimonio culturale pubblico. Il fondo, per tanto tempo custodito nella villetta di via Deffenu a Nuoro, abbraccia la cultura popolare sarda dalla seconda metà dell’800 ai primi 50 anni del 900 e comprende oggetti, lettere, documenti, manoscritti, materiale fotografico, bobine audio di canti a tenore, perfino una lettera inedita di Grazia Deledda datata 1932.
Intellettuale versatile, Raffaello Marchi (1909-1981), pur senza alcun titolo accademico, per i suoi studi antropologici è stato un punto di riferimento culturale per l’intera isola.
Nel 1930 “Preambolo alla simpatia” (31 poesie e 8 racconti) segna il suo esordio letterario. Sul libro, dove i racconti vengono considerati più maturi e più congeniali all’autore rispetto alla poesia, cala presto il silenzio nonostante meritasse maggiore considerazione per la carica di sensibilità e l’originalità dei contenuti. L’autore riprende a scrivere versi nel ’38, poi ancora una lunga pausa fino agli anni 40-50. Poesia crepuscolare e decadente quella di Marchi, “spirito malato di solitudine, alla ricerca di fantasmi emotivi misteriosi” dirà la Maccioni. “Preambolo alla simpatia, ovvero il “libro taciuto” viene riportato alla luce dai depositi della biblioteca Nazionale di Roma mezzo secolo dopo da Luisa Selis Delogu. Quelle pagine rivelano solitudini e tormenti del giovane scrittore, esperienze sofferte colte nella civiltà tradizionale barbaricina.
L’impiego presso la galleria Il Milione di Roma (1931-1935) lo mette in contatto con il mondo dell’arte, frequenta il Centro Sperimentale di Cinematografia dove conosce Germi.
Nel ‘35 sposa Mariangela Maccioni maggiore di lui di 20 anni. Subisce il fascino intellettuale “della maestra resistente”, animatrice di un cenacolo antifascista in via Deffenu e direttrice della biblioteca Satta dal 1943. Con lei, alla fine degli anni 40, fonda e dirige la rivista culturale “Aristocrazia”. Varie le sue collaborazioni giornalistiche, studia usi e costumi della Sardegna, conduce ricerche sul carnevale in alcuni centri del nuorese e nel ’51 pubblica “Le maschere Barbaricine“ sulla rivista “Il Ponte”. Di pregio la sua analisi linguistica in merito al componimento antifeudale di Francesco Ignazio Mannu (1758-1839), “Su patriotu sardu a sos feudatarios sardos”, conosciuto anche come “Procurade ‘e moderare”. Approfondisce tematiche etnografiche sarde, teatro, sociologia, etnologia e antropologia, riguardanti soprattutto la Barbagia, con ricerche mirate sul territorio. Il cinema, la critica d’arte e l’antifascismo nuorese in particolare, lo coinvolgono in maniera totalizzante. Frequenta Nivola, Emilio e Joyce Lussu, Guttuso, e Quasimodo. Nel 1977 viene nominato vicepresidente dell’ISRE fondato nel 1972.
In memoria della Maccioni (1891-1958), contribuisce alla pubblicazione del testo “Memorie politiche” e dell’autobiografia “Il mio romanzo. La mia famiglia”. Nel 2006 vengono pubblicate postume le sue ricerche sulle pratiche magiche della Sardegna a partire dagli anni cinquanta.
Marchi si dedica anche alla scoperta di giovani artisti che accompagna fino alla piena affermazione.
“Sono stato per lui un figlio a tutti gli effetti – dichiara con molto affetto Giovanni Canu, affermato pittore e scultore, suo unico erede. – Una figura molto importante per me. Tutto quello che sono lo devo a Raffello Marchi che mi ha indicato la strada e con le sue straordinarie capacità intuitive ha saputo cogliere in me tutto il potenziale umano e artistico di cui ero dotato” conclude l’artista nato a Mamoiada e residente a Milano dove svolge la sua attività.