LA PARTE DELLA MEMORIA: STEFANIA MARONGIU AL ‘BOOK PRIDE’ DI MILANO PER LA PRESENTAZIONE DEL SUO LIBRO

Stefania Marongiu

di SERGIO PORTAS

Si legge a pag.157 sotto: “Ringraziamenti”: “ Grazie a Luciano Marrocu, per moltissime ragioni, ma sopratutto per avermi detto, in quel lontano giorno del 2014: “Perché non scrivi una biografia su Saverio Tutino?”. E oggi il libro c’è, l’ha scritto Stefania Marongiu: “La parte della memoria”, per i “Labirinti” di Alcatraz editore, storia privata di Saverio Tutino. Lo presentano qui a Milano, in occasione del “Book Pride”, fiera dell’editoria indipendente, tre giorni di incontri innumerevoli tra scrittori, editori, lettori, inframezzo ad un andare e venire di 18.000 visitatori, dicono loro, che si soffermano su bancarelle zeppe di copertine le più rutilanti e dei più variegati argomenti. Presente l’autrice, che nasce a Cagliari, liceo classico al Siotto Pintor, si è specializzata in Geografia all’Università di Torino e insegna questa materia in una scuola superiore del capoluogo sardo. Le piace molto insegnare, mi dice.  Quel  Luciano Marrocu di cui sopra è nato a Guspini come me , nel primo dopoguerra, come me ( ma con la famiglia se ne andato da piccolo, come me),  ha insegnato materie storiche alla “Sapienza” di Roma, poi Storia contemporanea all’università di Cagliari (dal 2005 al 2009 assessore alla Cultura dell’omonima Provincia), nel frattempo ha scritto miriadi di saggi e libri “importanti” ( uno per tutti: “Storia popolare dei sardi e della Sardegna”, per Laterza) e parecchi altri “minori”, tra cui i più fortunati: una serie di “gialli” che vedono a protagonisti due ispettori che operano in periodo fascista, uno dei quali è un sardo “emigrato” dall’isola. Luciano, gli do del tu come si fa tra compaesani, prima d’oggi non l’avevo mai incontrato di persona, ma un bel po’ dei suoi libri li ho letti e ne ho scritto, è anche lui a Milano per il “Pride”: “Stefania, mi dice, è come fosse mia figlia, la figlia che mia moglie Alessandra Piras ha avuto in un precedente matrimonio ( a pag.157 anche per lei i sentiti ringraziamenti: “ mi ha dato in eredità la capacità di seguire ciò che ci appassiona anche quando ci fa paura”) : è venuta su con noi”. Visto chi sia codesto “padre putativo” non stupisce che il soggetto trattato nel libro sia un giornalista, comunista anche se anomalo, che nell’incoscienza dei suoi vent’anni se ne è andato in montagna coi partigiani, a rischio della vita, tempi quelli in cui ad un “alto là, chi va là” di una mattina nebbiosa, ti sentivi rispondere: “Brigata nera!”, e allora tu tiravi una sventagliata di mitra, loro una bomba a mano, e poi tutti a scappare tra i boschi col fiato che ti congela la faccia, partigiani di qua, brigatisti neri di là ( da uno dei diari di Tutino). Non me ne voglia sorella Giorgia se, pur riconoscendo che di tutti ragazzi italiani si trattasse, voglio ricordare che i neri hanno combattuto insieme all’esercito tedesco, aiutandolo nel rastrellare i disertori, fucilando “chi prestava loro aiuto”, per lo più un piatto di minestra, senza far distinzioni tra donne, vecchi e bambini. Aiutandoli a “scovare gli ebrei”, italiani pure loro, ma da inviare coi treni inchiodati, verso i campi di sterminio. Che il loro Duce avrebbe continuato a marciare con Hitler sino a Piazzale Loreto. Saverio Tutino, che nasce in una famiglia di piccola borghesia milanese, era destinato a studi di giurisprudenza. Finirà per diventare un giornalista, e di quelli molto bravi. Mi sento di dirlo senza forzature di sorta perché, nel periodo che fece a “Repubblica”, quella di Scalfari, quella che metteva in prima pagina ogni magagna dell’allora presidente del consiglio Berlusconi Silvio, che continuamente ribadiva lo scandalo mondiale di un conflitto di interesse mostruoso: un imprenditore, padrone di partito politico e di tre reti televisive che avevano ripetitori in tutta la penisola, che era in grado di condizionare le nomine dei dirigenti Rai, che  quando il tribunale gli ha imposto che avrebbe dovuto vendere almeno uno dei suoi quotidiani…l’ha venduto al fratello, insomma in quello che allora è stato di gran lunga il miglior giornale italiano (Repubblica di oggi, neanche lontano parente) Saverio Tutino era una “firma” importante. Impagabili le sue corrispondenze da Cuba. Che già da quando iniziò a frequentarla, lui comunista iscritto al Partito già cronista all’”Unità”, presentava tutte le contraddizioni politiche che ancora oggi non si sono dipanate. Se ne accorge chiunque abbia avuto la fortuna di visitarla, anche per poco tempo, ci feci un viaggio di venti giorni qualche secolo fa. Rispetto a ogni paese dell’America latina è un esempio di come andrebbero trattate le persone: tutti i ragazzi vanno a scuola, i migliori all’università, praticamente gratis, la sanità è gratuita per tutti  e la ricerca scientifica raggiunge punti di eccellenza che a casa nostra ci sogniamo, non a caso Cuba ha sviluppato da sola i vaccini per il Covid e ha vaccinato pressoché tutta la sua popolazione, pochi i morti per la pandemia.

C’è una sorta di distribuzione di generi di prima necessità, riso, olio, carne di pollo, che fa sì che nessuno veramente è costretto a chiedere la carità, ma la gran parte della popolazione è davvero povera. E il sistema politico a partito unico, che in pratica tutto governa, fa sì che le merci che si vendono nei supermercati appaiano o scompaiano con una loro logica, di cui non è dato sapere. Chi ha la fortuna di avere parenti a Miami che spedisce alla famiglia anche solo 50 dollari al mese è un uomo ricco. Quando ci sono andato io un mio amico che insegnava all’università dell’Avana aveva uno stipendio di 10 dollari al mese. E un mojito alla “Boteguita del Medio”, il bar preferito da Hemingwai ne costava due. Stupisce che ogni turista dotato di carta di credito sia universalmente riconosciuto come “ricco da spennare” e che a questo sport si dedichino un po’ tutte le ragazzine cubane , dai quindici anni in su, capaci di far girare la testa a qualsivoglia “gringo”, e di “fidanzarsi” sera dopo sera con uno diverso? Eppure se avrai la fortuna di parlare in loco con qualsiasi sud-americano, sia guatemalteco che messicano che onduregno, tutti ti diranno che Cuba, se paragonata allo squallore delle favelas (innumerevoli) e alla violenza della criminalità organizzata nei loro paesi, è un vero e proprio paradiso sociale. Da dove però ancora oggi non sono pochi i giovani che se ne vogliono scappare via, per raggiungere gli agognati “States” e provare le sorti del turbocapitalismo “yanqui”. Auguri! Saverio Tutino che di queste contraddizioni ha riempito le sue cronache dall’isola passava in Italia per “comunista cubano”, troppo sentimentale, lui poi che si innamorava a ogni piè sospinto e perdeva di vista il fine ultimo di ogni rivoluzione che era naturalmente la presa del potere da parte della “classe operaia”. Bisognava essere accecati dall’idea di “rivoluzione permanente” di un “Che Guevara” per riconoscere nei contadini boliviani i rivoluzionari pronti a prendere il fucile se solo fossero stati opportunamente indottrinati. Tutino era a Cuba quando il “Che” fu ucciso e reso martire per sempre per ogni cubano che si rispetti, era lì quando Nikita Krusciov aveva in animo di mettere missili nucleari sovietici nel giardino di casa di J.F. Kennedy, ne fece cronache che dovrebbero essere studiate nelle scuole di giornalismo. Era lì e parlava con Fidel Castro. Insieme a Dacia Maraini e Alberto Moravia si recava a intervistare Salvator Alliende. E’ in Italia, Pajetta lo vuole qui (si porterà dietro una moglie cubana da cui si separerà presto) per tutto il periodo sessantottino di pseudo-rivoluzione europea. Vivrà in prima persona tutte le vicende chiaro-oscure degli anni ’70 italiani. Brigate rosse, rapimento di Aldo Moro, stragi fasciste con bombe in banche e treni, e stazioni ferroviarie. Aveva, dicono, la fissazione di vedere la CIA dietro ogni vicenda poco chiara. Per distinguere questa figura cristallizzata dai suoi articoli stampati sui giornali, Stefania fa un’operazione di scrittura magistrale usando i diari di Tutino, che scriveva sin dal periodo partigiano, e andando a intervistare le persone che bene lo avevano conosciuto, da Mario Dondero a Luciana Castellina, sino alla sua ultima compagna di vita Gloria e Barbara, la sua prima figlia (non aveva un buon rapporto con la sua identità, dice). Riesce in un’operazione di identificazione sorprendente per una giovane donna quale è e che niente ha potuto vivere davvero di quei tempi così perigliosi per la nostra democrazia. Tanto che molte delle pagine del libro paiono essere scritte da Saverio in persona, e che il flusso di pensieri che lei mette in testa al suo “eroe” non siano frutto di una immaginazione davvero al di sopra dell’ordinario, ma quelli che Tutino non avrebbe che potuto davvero esprimere. E’ un libro pensato questo, scritto in punta di penna perché le pagine si susseguano senza apparenti scossoni, un fiume che sbatte su pietre d’inciampo che hanno nomi incisi sui testi di storia: i Sukarno d’Indonesia  e i milioni ( sì milioni) di comunisti uccisi con l’aiuto indispensabile degli USA, e Ben Barka il marocchino di Rabat rapito in piena Parigi da mercenari francesi. Pierre Mulele, il congolese che andò in Cina a “imparare la rivoluzione” e quando tornò in patria per metterla in pratica con un pugno di “invasati”, fu catturato torturato e ucciso, il suo corpo gettato in un fiume, magari il Congo maestoso da cui prende il nome il paese. “Ho seguito un flusso interiore e individuato temi che mi interessavano, tutto è nato in maniera intuitiva, ho trovato chi intervistare attraverso il passa-parola. Anche se dinanzi a questi “mostri sacri” della politica ho sempre avuto un senso di inadeguatezza. Scrivere di Saverio è stato utile e terapeutico allo stesso tempo. In lui sentivo qualcosa che mi apparteneva. E ho sempre invidiato la sua vocazione alla libertà”. Risponde così Stefania a Sergio Vivaldi che cura la collana di Alcatraz quando le chiede cosa le è rimasto dentro del libro che ha scritto. Con lui c’è Lucio Demetrio, uno che avrà scritto almeno 50 libri (davvero non esagero, vedere Wikipedia) e che con Tutino ha messo su una sorta di biblioteca dei diari italiani, nella parte finale della vita del nostro giornalista. Lui che diari ne aveva scritto per tutta la sua vita aveva l’intento di non far spegnere la voce della “gente comune”. Comunista particolare che alle “masse”, preferiva le “persone” e di loro si innamorava continuamente. Stefania Marongiu riesce a scrivere un libro impossibile da scrivere: circoscrivere la vita di un uomo in una cornice definita. Ossessionata dalla verità, le dice bene Norberto Fuentes, scrittore cubano di fama: “Ti complichi troppo la vita con le parole, la vita è un’altra cosa”. La vita.

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2 commenti

  1. Stefania Marongiu

    Altra bella recensione di “La parte della memoria. Storia privata di Saverio Tutino”. Grazie davvero a Sergio Portas e Tottus in PARI.

  2. Sergio Vivaldi

    Durante la presentazione di “La parte della memoria. Storia privata di Saverio Tutino” al BOOK PRIDE a Milano, non ho avuto modo di conoscere quella persona in fondo alla che ha preso appunti tutto il tempo, entrambi travolti dai nostri impegni. Scopro oggi che quella persona si chiama Sergio Portas e che ha scritto questa recensione del romanzo di Stefania Marongiu per Tottus in PARI.
    “Tanto che molte delle pagine del libro paiono essere scritte da Saverio in persona, e che il flusso di pensieri che lei mette in testa al suo “eroe” non siano frutto di una immaginazione davvero al di sopra dell’ordinario, ma quelli che Tutino non avrebbe che potuto davvero esprimere. E’ un libro pensato questo, scritto in punta di penna perché le pagine si susseguano senza apparenti scossoni, un fiume che sbatte su pietre d’inciampo che hanno nomi incisi sui testi di storia.”

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