SUPRAMONTE: LE IMMAGINI DELLA MOSTRA FOTOGRAFICA DI GIANLUCA CHIAI

Gianluca Chiai

di FRANCESCA BIANCHI

La mostra fotografica Supramonte del fotografo paesaggista Gianluca Chiai è un viaggio nel cuore di un’isola, un luogo misterioso e selvaggio, di grande bellezza, un viaggio di ricerca e scoperte durato venticinque anni, racchiuso in venti immagini in bianco e nero. Chiai ha raccontato la storia di un territorio di superba bellezza, con i suoi paesaggi aspri e selvaggi, le testimonianze preistoriche, i vecchi ricoveri dei pastori, i ginepri secolari piegati dal vento e dal tempo, ma vivi, resistenti, forti, tenaci, proprio come la gente sarda, come i tanti centenari che vivono in quelle zone. Territorio immacolato situato nel cuore della Sardegna, culla della cultura sarda più antica e autentica, il Supramonte custodisce un mondo arcaico caratterizzato da un rapporto simbiotico tra gli uomini e la natura. Nelle sue parole la speranza che il piano oltre il monte, lontano dagli uomini, più vicino al cielo – così il fotografo ama definire il Supramonte – possa aiutarci ad alzare lo sguardo al cielo e a sentirci parte della bellezza infinita che ci circonda.

Gianluca, quando è nata questa mostra? La mostra è nata nel 2019 in collaborazione con la dott.ssa Chiara Manca. In quell’anno è stata esposta presso il Centro Fotografico di Cagliari. Subito dopo avremmo dovuto trasferirla a Nuoro, ma la pandemia ha bloccato tutto. Nuoro, centro culturale della Sardegna, è la destinazione più felice per una mostra del genere. Nella mostra sono esposte venti foto di un progetto che è partito nel 2017. Nei miei oltre vent’anni di frequentazione del Supramonte ho raccolto molto materiale, ma per la mostra abbiamo scelto le foto scattate nel corso delle mie ultime frequentazioni, subito prima dello scoppio della pandemia. Il percorso espositivo è un viaggio in molte tappe, un itinerario che parte dal mare e si dirige verso la montagna, nel cuore della Sardegna. In Sardegna la montagna e il centro hanno una valenza forte e meritevole di essere vissuta. Questo viaggio è una metafora della vita: lungo il tragitto si fanno soste, si vivono esperienze nuove, fino al momento in cui, sfiorando il cielo, raggiungo le vette più alte del Supramonte. Tutto ciò che incontro viene fotografato. Spesso percorro sentieri e terreni non battuti, a volte anche particolarmente impervi. Questi ultimi rappresentano un riflesso delle difficoltà che ognuno di noi incontra nella vita di tutti i giorni.

Ha parlato di un progetto nato nel 2017. Si tratta di un percorso studiato e curato nei minimi dettagli. Cosa rappresenta per lei la fotografia? Questo progetto è il risultato di una maturità, di una evoluzione interiore. Nel Supramonte sono sempre andato e tornato per capire meglio i dettagli dei posti che visitavo. Questo progetto è un percorso di approfondimento, per il semplice fatto che per me la fotografia è una relazione: io scatto fotografie perché ho una relazione con gli oggetti che fotografo o con le persone, non scatto mai foto alle persone che non conosco. Solo quando ho instaurato una relazione o una conoscenza a mio avviso sufficiente con una persona, allora mi permetto di fotografarla. Mentre vado in montagna scatto fotografie: questo per me è un modo di fare ricerca. Piante e rocce mi affascinano: fotografare rocce e piante è un modo per studiare e spiegare l’ambiente. La fotografia come relazione nasce da una maturità: dalla diapositiva sono passato alla pellicola perché avevo necessità di stampare le immagini, poi sono passato al digitale, pur continuando sempre a stampare. Infine sono passato al bianco e nero.

Ecco, perché ha scelto foto in bianco e nero? Il bianco e nero annulla la dimensione temporale: le foto potrebbero essere state scattate in qualsiasi momento negli ultimi cent’anni. Mi sono reso conto che nelle fotografie che facevo non c’era quello che stavo cercando; avvertivo sempre la necessità di fotografare meglio per eliminare una serie di cose superflue, così, alla fine, mi sono concentrato sul segno: è stata una sintesi della sintesi.

Quando è nato il suo interesse per il Supramonte? Quando ha iniziato a frequentarlo? Ho iniziato a frequentare il Supramonte a partire dall’inizio degli anni Novanta grazie a un gruppo di amici a cui sono molto legato. Ormai posso dire di conoscere più che bene l’Ogliastra e il Nuorese: frequento il territorio non solo per lavoro, ma anche nel tempo libero, avendo dedicato tanti fine settimana ad escursioni che mi hanno condotto nelle zone più interne, quelle completamente disabitate. Lì ho conosciuto allevatori e anche diversi centenari ultimamente. Ho fatto un lavoro fotografico su tziu Battista, proprietario di un gregge di capre nella zona di Baunei, uno degli ultimi pastori del Supramonte; mi ha portato a vedere i pinnetti dove ha vissuto da bambino. Nel Supramonte ci sono tanti contrasti, in quanto c’è tutto ciò che ci collega a periodi arcaici, lontani da noi; ci sono zone senza strade, senza abitazioni, senza manufatti: non c’è nessun legame con quello che è il nostro vivere contemporaneo. Questa lontananza può aiutarci a riflettere e a ritrovare il collegamento con noi stessi; soprattutto, può indurci a dare il giusto valore al tempo e allo spazio. La conservazione totale dell’ambiente rende questo territorio uno dei più intatti e unici in Europa. Per me il Supramonte è sinonimo di libertà, è un ritorno alle origini. Ricade negli ambiti territoriali dei comuni di Oliena, Orgosolo, Urzulei, Dorgali e Baunei, ma io l’ho sempre visto come un territorio unico, non l’ho mai concepito nelle sue suddivisioni geografiche. Mi auguro che le amministrazioni concertino azioni condivise di tutela di questo grande territorio.

Le immagini sono accompagnate da didascalie molto soggettive in cui non indica mai i luoghi immortalati. Come mai questa scelta? La fotografia per me non è rappresentativa, ma fortemente interpretativa, per questo nelle didascalie non ho messo i toponimi dei luoghi, ma altre denominazioni suggeritemi dai luoghi stessi. Nel Supramonte ho immortalato tanti dettagli e sfumature dei diversi posti visitati: dettagli che a me suscitano determinate emozioni e chiamo in un modo, mentre un’altra persona potrebbe chiamarle in maniera completamente diversa. Una fotografia è accompagnata dalla didascalia “per aspera ad astra”, che sintetizza bene il concetto di cui parlavo sopra: nel nostro incedere attraverseremo asperità e situazioni difficili, ma alla fine arriveremo a toccare le stelle. Ho rappresentato fotograficamente questa idea attraverso il percorso chiamato “sa pedra nascendo”, letteralmente ‘la pietra che nasce’, che rappresenta lame di calcare che sembra emergano dalla terra. In realtà si tratta di una caratteristica della roccia sedimentaria che, in certe condizioni, emerge dalla terra formando lame affilate radicate in profondità. È uno dei percorsi più difficili e pericolosi: lo evito sempre.

C’è un’immagine a cui tiene particolarmente? Due foto mi sono particolarmente care: quella dell’ginepro e quella del sentiero. Entrambi si somigliano: l’albero ha il suo sentiero curvo, simbolo di un incedere difficile e contorto, proprio come il sentiero di ogni essere umano, che spesso è pieno di ostacoli e difficoltà. Queste due foto vanno lette insieme.

Quale messaggio si augura possa arrivare ai visitatori della sua mostra fotografica? Innanzitutto vorrei che capissero che la Sardegna non è solo mare; il turismo non può fermarsi alle coste, che indubbiamente sono meravigliose, ma non possono non essere legate al centro: le coste dovrebbero ruotare attorno al centro, rappresentato dalla Barbagia e dal Supramonte. Il turismo intelligente può esserci soltanto legando il mare alla montagna: il visitatore dovrebbe godere di entrambi in egual misura. Questa mostra mette in primo piano l’ambiente, il territorio, che io, in qualità di operatore agropastorale, vivo anche per lavoro. In Sardegna sappiamo realizzare prodotti genuini, di ottima qualità. Non bisognerebbe permettere che queste tradizioni vengano meno e i nostri giovani si allontanino dalla Sardegna per trovare lavoro; occorrerebbe un’azione di tutela e valorizzazione maggiore dell’ambiente isolano. Tenga presente, poi, che il Supramonte è una zona impervia: non consiglio mai di avventurarsi in escursioni fai da te, ma di affidarsi a guide locali. Per questo penso sia importante che i giovani del posto formino delle cooperative che possano accompagnare i visitatori a fare trekking in maniera sostenibile. Spesso non siamo consapevoli della ricchezza che abbiamo: il nostro territorio è unico e dobbiamo averne cura. Questa mostra vuole sottolineare che ci sono altre possibilità di vivere la contemporaneità, ad esempio rallentando e connettendoci al nostro ambiente, al territorio che ci sostiene. Pensiamo di essere connessi con il mondo grazie al web, invece siamo oltremodo scollegati dalla realtà. Ecco, mi auguro che questa mostra possa essere una sosta utile per formulare idee fruttuose per il territorio e il nostro rapporto con esso e con noi stessi.

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