LA “NODOSA” QUESTIONE ADEMPRIVILE (1850 – 1863): UNA RIFORMA MANCATA ALLA BASE DELLA QUESTIONE SARDA

Goceano

di GIANRAIMONDO FARINA

“Nelle terre di Sanna Sanna” prima dell’Editto delle Chiudende: la complessa situazione socio economica del Gocéano fra XVIII° e XIX° secolo: la relazione viceregia  des Hayes (1770), la riforma dei consigli comunitativi (1771) e quella dei Monti frumentari (1767).

Una volta definito l’istituto ademprivile è, ora, fondamentale capire perché Giuseppe Sanna Sanna se ne sia occupato e quali siano stati i motivi, anche personali e professionali, che l’hanno portato ad affrontarne il tema con dovizia di particolari. Partendo, innanzitutto, dalla particolare realtà economica del Gocéano della prima metà del XIX° secolo. Parlare di usi civici e di ademprivio, quindi, ci riporta, a delineare meglio ed a tutto tondo la complessa figura del deputato anelese, definita sul tema, a torto, “ambigua e contraddittoria” da certa pubblicistica sarda del tempo, come La Favilla di Gavino Fara (n. 6 del 1856). 

Sanna Sanna veniva dal Gocéano, una realtà storica della Sardegna centro settentrionale, di assoluto rilievo istituzionale (era Contea regia), ma che era rimasta, sostanzialmente, ai margini di quel processo di rinnovamento economico avviato nell’isola dal governo sabaudo fin dalla seconda metà del XVIII° secolo. Un contesto territoriale che presentava una condizione di malessere sociale diffuso. La realtà economica e sociale che Sanna Sanna aveva conosciuto in adolescenza (era nato nel 1821) si presentava ancorata a modelli di produzione feudali basati sull’allevamento brado del bestiame. Questo aveva favorito il consolidarsi di una ristretta cerchia di oligarchia cosiddetta “armentizia”, avvantaggiata più che dalla perifericità, dal particolare status di feudo regio del territorio. Una posizione, quest’ultima, che favoriva tale classe sociale nel controllare indisturbata la zona, lucrando grandi profitti dal commercio clandestino di bestiame. Atteggiamento che, sostanzialmente, sviliva ogni tentativo governativo di promuovervi lo sviluppo dell’agricoltura, riducendo gli spazi destinati al pascolo. Un esempio per tutti era rappresentato dai provvedimenti adottati per la diffusione dell’olivicoltura, del tutto osteggiati dai pastori.

Un altro nodo centrale era caratterizzato dalla debolezza del ceto agrario locale che, purtroppo, in Gocéano, condizionava pesantemente lo sviluppo di importanti istituti come i “Monti frumentari” che, sorti con il preciso scopo di aiutare i più poveri, si dimostravano impotenti ad assolvere i compiti istitutivi. Questa situazione contribuiva ad accentuare nuovamente il contrapporsi tra ceto armentizio e ceto agrario, nuova forza sociale emergente nella gestione diretta della terra. La questione, infatti, della riforma dei monti frumentari, era diventata centrale.  Essi erano sorti in Sardegna nel XVII secolo con lo scopo di conservare le sementi e distribuirle ai contadini poveri e, di conseguenza, aumentare il reddito agrario, scongiurare le carestie e combattere l’usura.  Dietro richiesta degli Stamenti nel Parlamento Vivas (1624), durante il dominio spagnolo, si istituiva in ogni comune un monte granatico sotto la vigilanza di un censore con poteri di indirizzo e di controllo sull’attività agricola e sull’ammasso delle sementi. Ma, nonostante i reiterati provvedimenti viceregi, i risultati erano stati deludenti. Parallelamente la Chiesa aveva portato avanti iniziative analoghe: i monti frumentari ecclesiastici diretti da un rettore. La riorganizzazione dei monti granatici ed il superamento del dualismo, venivano realizzati con il regolamento pubblicato col pregone del già ricordato vicerè Des Hayes il 4 settembre 1767. In ogni villaggio veniva istituita una giunta locale; in ogni diocesi una giunta diocesana presieduta dal vescovo; al vertice la giunta generale presieduta dal Viceré.

Il tema dei Monti granatici (poi frumentari) in Sardegna aveva stimolato l’attenzione degli studiosi già nella seconda metà del XIX secolo, per poi godere di ampio spazio bibliografico nel corso del XX secolo. Tali stimoli erano nati dalla necessità di approfondire lo studio delle istituzioni creditizie e, in particolare, del principale istituto bancario dell’isola, il Banco di Sardegna. La nascita e lo sviluppo di tali istituti in un territorio complesso e dalla giurisdizione particolare come la Regia Contea di Gocéano, alla luce del contesto politico ed economico della Sardegna sotto il governo spagnolo e sabaudo, aiutano a capire come la produzione, l’approvvigionamento ed il commercio del grano siano stati storicamente fasi importanti per la sopravvivenza e per lo sviluppo dei territori. Motivo per cui il Gocéano e la Sardegna si inserivano nel più ampio contesto mediterraneo, subendo l’influenza e gli effetti del mercato frumentario dell’area.

Per capire meglio, quindi, l’applicazione del diritto d’ademprivio in un territorio particolare come il Gocéano, cercando di spiegarne le ragioni sociali ed economiche sottese, diventa importante fare un passo a ritroso fino alla seconda metà del XVIII° secolo, il momento delle prime, importanti, riforme piemontesi. In sostanza quelle in cui il governo di Torino iniziava ad accorgersi della Sardegna. Primo, breve, periodo in cui si era cercato, da parte sabauda (come abbiamo cercato di dimostrare con il popolazionismo e la questione demografica, altro tema “caro” a Sanna Sanna), a non guardare l’isola più come colonia.

Innanzitutto, quando parliamo di Gocéano, per il periodo considerato, dobbiamo intendere, soprattutto, l’antica Contea Regia del Gocéano. Questo territorio comprendeva i seguenti comuni: Bono, capoluogo, Anela, Bultei, Burgos, Benetutti, Esporlatu, Illorai, Bottidda ed Orune.L’istituzione della Contea avveniva, ufficialmente, nel 1339 e veniva riconosciuta in feudo dal sovrano aragonese Alfonso il Benigno al “donnicello” Mariano di Arborèa. Il Gocéano, pertanto, occupante l’area centro-settentrionale dell’isola di Sardegna, si presentava come territorio “erede” delle giudicali Curatorie di Anela e Bortiocoro, i cui confini arrivavano fino ad Orune, ora in provincia di Nùoro, comune che, attualmente, è da considerarsi goceanino, visto che fece parte di tale giurisdizione per quasi 700 anni. Nel 1353 scoppiava la guerra tra il Regno di Arboréa ed il Regno di Sardegna: al termine di tale scontro, nel 1420, la Contea di Gocéano, già appartenente al primo Stato, nonostante l’infeudazione nominale del 1378 a Valore de Ligia, passava more Italiae a Bernardo Centelles nel 1421 e, quindi, dal 1422 al 1470, apparterrà a Leonardo d’Alagon, ultimo Marchese d’Oristano. Nel 1477, a seguito della ribellione capeggiata da quest’ultimo, il Gocéano, essendo stato, assieme alle Barbagie, l’ultimo caposaldo delle aspirazioni indipendentistiche sardo- arborensi, passava sotto il diretto controllo del Regno di Sardegna, unito alla Corona d’Aragona, divenendo, così, un feudo regio. Lo stesso titolo di Conte di Gocéano, dapprima attribuito, dopo Mariano IV, agli ultimi regoli arborensi, successivamente, con l’unione dell’antico Regnum Sardiniae et Corsicae (poi solo Sardiniae) alle rispettive corone, andrà agli anzidetti sovrani catalano- aragonesi, spagnoli, austriaci e piemontesi del Regno di Sardegna ed, in seguito, a partire dal 17 marzo 1861, d’Italia. Se uno si guarda i titoli onorifici attuali dei Savoia, degli Asburgo e dei Borbone di Spagna, nota che gli unici due di provenienza “sarda” sono quello di “Marchese di Oristano” e“Conte di Gocéano”. Per l’esattezza, questi due territori venivano uniti nominalmente ed incamerati al Regio Patrimonio nel periodo 1481- 1560, per cui veniva appositamente istituita la carica di “ricevitore del marchesato di Oristano e contado di Gocéano”, carica sostituita, inseguito, da quella di “reggente la Tesoreria Generale del Regno (1560- 1720)”. Dal punto di vista temporale la Contea Regia di Gocéano (che non comprendeva Nule, unito ai domini degli Stati d’Oliva nel Monte Acuto, prima “parte ozierese”, poi nel Monte Acuto “parte gallurese”, n.d.r.) finiva nel 1839, durando ben 500 anni, con l’abolizione del feudalesimo, del “mondo” della Carta de Logu ed il completamento dell’estensione, contestuale a tutta l’isola, della legislazione feliciana (1821- 1827).

A questi accadimenti non si potevano, poi, escludere, quelli, fondamentali, del Triennio Rivoluzionario Sardo della fine del XVIII° secolo (1793-1796) che avevano il territorio dell’Alta Valle del Tirso al centro. E’ goceanino, di Bono, Giovanni Maria Angioy (1751- 1808), ex magistrato della Reale Udienza, peroratore delle istanze sarde, prima autonomistiche e, poi, indipendentistiche, morto esule a Parigi nel 1808. E’ contro Bono, patria e centro del partito rivoluzionario angioyano, capitale del Gocéano che, nel luglio del 1796, si consumava la più cruenta rappresaglia viceregia con il saccheggio del paese.

Senza dubbio questi avvenimenti hanno contribuito a segnare la storia e le vicende di questo “remoto territorio del Regno” che, all’epoca (XVIII°-primi del XIX° secolo), viveva, come descritto in varie relazioni governative, in uno stato economico e sociale di completo abbandono. E questo, nonostante il territorio fosse assurto alla dignità di feudo regio ed avesse avuto, nella sua capitale, Bono, già capoluogo di Provincia o Sottoprefettura dal 1807 al 1821 (una delle prime province d’Italia, per intendersi, essendo il Regno d’Italia diretta emanazione amministrativa del Regno di Sardegna), nel 1829, l’onore di poter ospitare il futuro Re di Sardegna (e Conte di Gocéano) Carlo Alberto. Tutti aspetti che, comunque, avevano visto nella zona, rispetto alle aree limitrofe e contigue, l’affermarsi d’importanti ed estese aree demaniali adibite ad usi civici per la collettività, garanti di esenzioni fiscali ed amministrative tali da considerare l’area, proprio perché “territorio regio”, un unicum.

Molto importanti sono stati, in merito, gli studi di alcune relazioni socio-economiche sul Contado, volute appositamente dal governo sabaudo, fondamentali per analizzare le future politiche d’intervento e di assistenza comunitaria intraprese al fine di combattere l’isolamento, la povertà, l’abbandono ed il dilagare della delinquenza, rappresentata da furti di bestiame, grassazioni ed omicidi,

Si tratta, occorre precisare, di relazioni intraprese tutte a partire dalla seconda metà del XVIII° secolo, in pieno riformismo boginiano, quando, finalmente, a Torino, rinunceranno, ad ogni possibilità di permuta dell’isola.

Una prima relazione, riguardante anche il Gocéano, ma redatta sui confinanti Stati d’Oliva (Monte Acuto a nord e Marghine ad occidente) è quella di Vincenzo Mameli De Olmedilla del 1769. Per la precisione, don Antonio Vincenzo Mameli, avvocato fiscale patrimoniale regio dell’Insinuazione del capo di Cagliari ed intendente economo delle miniere, è il trisavolo del patriota Goffredo.

La seconda relazione, invece, ancor più importante, perché svolta anche in Gocéano, era quella, datata 1770, redatta dal viceré des Hayes e raccolta dallo studioso Francesco Loddo Canepa in Archivio Storico Sardo, vol. XXV, fasc. 3-4. Testo molto interessante per ciò che concerne la critica situazione economica della Contea, in cui si possono avere utili notizie sui nomi dei sindaci e dei censori di alcuni paesi, oltreché, naturalmente, dei ragguagli relativamente alla loro amministrazione ordinaria in vista dell’emanazione del regio editto di riforma dei consigli comunitativi, avvenuta nel 1771, primo, importante atto di riforma di avvicinamento dell’isola agli Stati Sardi di Terraferma.

Il regio editto del 24 settembre1771 istituiva per tutto il regno i primi consigli comunitativi, per cui, nei territori regi come il Gocéano, a differenza di quelli baronali, la carica di sindaco e di consigliere era elettiva e seguiva i seguenti parametri: il consiglio era composto da sette elementi nelle ville sorpassanti i 200 fuochi; da 5 in quelle tra i 100 ed i 200 fuochi e da tre nelle rimanenti ville. I consiglieri venivano scelti tra i tre ordini sociali: primo, mezzano ed infimo. Tra i requisiti vi era l’età, non inferiore ai 30 anni. I consiglieri dovevano essere “noti per probità e buon discernimento, zelanti del pubblico bene, non idioti per quanto possibile”; inoltre, non dovevano avere liti pendenti con il comune, ed era necessario “… che non fossero banditi o criminali processati”. Potevano essere eletti anche i non nativi, purché fossero residenti nella villa di elezione da almeno dieci anni.

Il primo degli eletti fungeva da sindaco, rappresentante e difensore della comunità che lo aveva espresso. Dalla quasi contemporanea (1770) relazione della Visita del viceré des Hayes in Sardegna, raccolta dallo studioso Francesco Loddo Canepa in Archivio Storico Sardo, vol. XXV, fasc. 3-4, molto interessante per ciò che concerne la critica situazione economica della Contea si potevano avere utili notizie sui nomi dei sindaci e dei censori di alcuni paesi del Gocéano, oltreché, naturalmente, avere dei ragguagli relativamente alla loro amministrazione ordinaria in vista dell’emanazione del regio editto di riforma.

Questo documento é, altresì, di fondamentale importanza, poiché ci fornisce alcune, dettagliate notizie cronologiche relative al viaggio: si conosce, infatti, che il Viceré visitò il Gocéano dal 28 marzo al primo aprile 1770 proveniente da Orotelli e che tale sosta, forse, viste le difficili situazioni sociali ed economiche del territorio, risultava essere stata fra le più lunghe dell’intera ispezione nell’isola.

Si conosce, pertanto, che i sindaci di Bono, Benetutti, Bottidda, Illorai, Orune e Bultei erano, rispettivamente: il dottor Giovanni Angioy (Bono), Giovanni Maria Angioy (Benetutti, solo omonimo dell’ Alternos, n.d.r.), Giovanni Masala (Bòttidda), Costantino Ortu (Illorai), Giuseppe Antonio Sequi (Orune) e Pietro Costantino Querqui (Bultei).

La condizione amministrativa delle nove comunità, cosiccome emerge dalla relazione, poneva già Bono al centro del sistema politico goceanino: il capoluogo poteva contare su un sindaco nominato ed eletto da una terna e su un consultore delegato di scelta governativa, che doveva sovraintendere all’amministrazione penale e civile del contado.

La nomina del primo cittadino doveva, poi, avvenire previo parere del consultore delegato per la Giunta di comunità, composta da tre persone: colui che riportava più voti diventava sindaco ed assumeva la procura. Questo metodo d’elezione, in Gocéano, valeva per i comuni più popolosi, ossia Bono, Benetutti ed Orune, come, peraltro, attestavano i medesimi rappresentanti davanti al Viceré des Hayes.

Il sindaco di Bono esercitava l’impiego senza alcuno stipendio, né godeva di esenzione, se non come cavaliere; il sindaco di Orune, invece, recepiva, come salario, sei scudi annui.

Le spese di tutti i comuni dovevano, volta per volta, essere rendicontate al consultore delegato.

Il lavoro d’amministrazione di quest’ultimo si presentava particolarmente oneroso, poiché, sebbene residente in Bono, era “sovraccarico di moltissimi affari” ed, essendo il Gocéano feudo regio, doveva sovraintendere all’amministrazione in tutto il territorio in rappresentanza del governo viceregio.

Al fianco del sindaco, dei consiglieri e del consultore delegato, operava un censore o segretario per ogni comune, le cui funzioni erano, soprattutto, di rendicontazione dell’amministrazione e dello status oeconomicus delle ville. La famosa relazione viceregia ci fornisce i nomi di questi ufficiali: Nicolao Gaya, cavaliere, a Bono, Tommaso Latte a Illorai, Pietro Cosseddu a Bòttidda, Giò Domenico Fadda a Bultei, Giuseppe Sotgiu Minutili a Benetutti.

Per quanto riguardava gli altri istituti, ogni villa aveva un proprio monte granatico, con la seguente consistenza: Bono, 115 starelli su un fissato di 2400 (!), Orune 130 starelli, Illorai 32 su un fissato di 132, Bultei 24, Bottidda 55.

A Bono stazionava il comando della Barracelleria. A tal proposito erano emerse due “emergenze”: in primo luogo, si constatava che sarebbe stato utile e meno gravoso, a seguito dell’abigeato, da parte delle milizie, pagare subito al derubato almeno i buoi e le vacche “così da poter continuare nell’agricoltura”; in secondo luogo, a Benetutti, i miliziani si lamentavano, invece, di “essere tenuti al bestiame selvatico”.

Gli archivi comunali non erano molto ben tenuti: in particolare a Bono era in cattivo stato poiché, lo straripamento di un piccolo torrente aveva distrutto la casa del sindaco, perdendo, quindi, molti documenti ed atti processuali.

Già dal 1767 era, poi, sorto un contenzioso amministrativo fra le comunità di Burgos, Esporlatu ed Illorai contro gli arrendatori, i quali si erano impossessati di un salto della villa di Bortiocoro, già distrutta e disabitata dopo il censimento del 1698.

Particolarmente triste era la situazione riguardante l’amministrazione della giustizia. Al consultore delegato facevano capo i maggiori di giustizia, residenti in ogni villa.

In primo luogo, come consta da altre fonti, era alquanto critica la condizione delle regie carceri di Bono: stando alla relazione del Viceré vi erano molti prigionieri ed erano “tenute in malo stato”.

Esse consistevano in una sola stanza pessimamente tenuta senza carceriere, e la custodia era affidata a due uomini delle altre ville del contado, ad eccezione degli abitanti di Bono.

I banditi goceanini che infestavano il territorio, ricercati per omicidi e furti di bestiame nel Nuorese erano 16 a Benetutti, 8 a Bultei, 2 ad Illorai, 1 a Bono. Particolarmente critica era la situazione nel villaggio di Bultei, al quale il Viceré riservava due fittissime pagine della sua informativa.

In questo paese, si erano già verificati quattro omicidi ed i suoi latitanti, assieme a quelli di Bono, Bottidda e Benetutti si segnalavano per i reati commessi nei salti di Orotelli, Oniferi e Nùoro.

Sempre da Nùoro era partito, per ordine viceregio, l’ordine di cattura, commissionato con patente ad Ignazio Satta delegato d’Orani, dei banditi Giovanni Bacucu di Bultei, Nicolao Antonio e Michele Dechola di Benetutti, accusati “di furti continui di bestiame in territorio di Nùoro”.

La relazione riporta, poi, le notizie relative alla morte in Bono di un tale soprannominato Pedecanna Peddecane, avvenuta a seguito di una spedizione collettiva in quel di Bultei, cappeggiata dal bandito salvacondottato (cioé munito di salvacondotto) Angelo Passeu allo scopo di “cercar banditi” per assicurarsi l’impunità.

Sempre a Bultei si era verificata una vera e propria sommossa popolare contro i parroci ed i curati di Bultei ed Anela a seguito di una scomunica ottenuta da Antonio Rubatta contro dei ladri dai quali era stato derubato, ottemperando, in questo modo, ad un’antica consuetudine. A seguito di questo tumulto, suscitato nella chiesa parrocchiale, venne colpito alla testa con delle pietre un sacerdote.

Prima di ripartire alla volta di Mores, il De Hayes, lasciando alle sue spalle il Gocéano ed i “fattacci” di Bultei, che tanto lo avevano colpito, scriveva: “(…) Il cattivo stato del contado di Gocéano tanto nell’amministrazione della Giustizia pella sua languidezza, che in altre cose riguardanti il pubblico, non era pienamente, in così breve tempo rimediabile”. Si aspettavano altre, imminenti, riforme che, purtroppo, non sarebbero avvenute.

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4 commenti

  1. Mi aspettavo un approfondimento sugli ademprivi… Tutte le altre cose mi erano già note!

    • Gianraimondo Farina

      Probabilmente non ha letto i pezzi precedenti. Capisco poi che,per un cultore di storia locale ozierese,decantatore della c.d. “cultura del cavallo”, queste notizie e storie sulla REGIA CONTEA DI GOCEANO possano “stonare”. Sempre il sedicente storico dovrebbe sapere che si sta facendo un’accurata e precisa disamina critica storico-economica dell’importante opera del deputato anelese GIUSEPPE SANNA SANNA dal titolo “LE GRANDI UTOPIE SULLA SARDEGNA”. Sanna Sanna fu il primo deputato isolano ad aver posto la Questione Sarda in seno al Parlamento italiano. Un po’ di rispetto, di attenzione e di sensibilità verso l’azione che il sottoscritto sta’ compiendo. Concludo con un consiglio: ben vengano le critiche, soprattutto se oneste e fondate sulla buona fede. Quelle “boriose”, malevole e prive di fondamento, le rimandiamo al mittente. Cordialmente

  2. Adriana Valenti Sabouret

    Articolo interessante. Grazie, Gianraimondo Farina!

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