GAS RUSSO, SARDEGNA, PROGETTO “GALSI” E GRANDE INGANNO: GLI INCREDIBILI AUMENTI DELLE BOLLETTE SULL’UNICA REGIONE EUROPEA ALIMENTATA A CARBONE

di GIANRAIMONDO FARINA

La Sardegna sarà la terra d’Europa che pagherà più di tutti, in termini economici, la crisi del gas dovuta al conflitto ucraino. Non è una “fatwa”, ma una semplice constatazione. Peccato, però, che in pochi lo abbiano, fin’ora, detto e scritto. Per spiegarlo occorre, partendo dall’attualità, fare, successivamente, un “excursus” storico che ci porta alla tormentata vicenda del gasdotto bloccato “GALSI”  (Ageria, Sardegna, Europa). Progetto arenatosi per le pressioni di varie lobbyes. Ma veniamo alla realtà, che è abbastanza dura da far digerire. Il quadro è stato ben descritto dalla guerra e dai mercati, quelli della domanda e dell’offerta. Una minaccia che porta dritto in Sardegna per colpire settori trainanti dell’economia come quello agro-pastorale. Ma perché la Sardegna dovrebbe pagare di più questa crisi? Semplicemente perché nell’isola, purtroppo, si sta’ realizzando uno dei più grandi inganni della storia energetica europea. Altra domanda: cosa c’entra la Sardegna con il gas russo? Già, perché le bollette alle stelle sono arrivate anche qui,unica realtà europea alimentata a carbone, occorre ribadire. Perché, infatti, se si dà un’occhiata alle reti di addizione primaria, quelle che connettono i grandi produttori ed estrattori di energia con l’Europa e con l’Italia, si nota subito dell’enorme buio che circonda la Sardegna, veramente “isolata” dal mondo. Nessun metanodotto costruito o in fase di costruzione, in grado di metterla in comunicazione con le realtà più lontane. Il metano, in quest’isola battuta dal vento, riscaldata dal sole e circondata dal mare, non è mai arrivato. Anzi, come vedremo, si è bloccato per via dei grandi interessi ruotanti attorno al tema del gas. Eppure i sardi appaiono, più che mai, le vittime di questo “grande inganno”, avendo pagato bollette esorbitanti. La domanda, ora, verrebbe spontanea: Perché, non avendo mai avuto il metano, la Sardegna dovrebbe pagare l’aumento mondiale del gas? Si tratta, veramente, di un paradosso incredibile per cui l’isola paga fino al triplo delle bollette di gas, avendo, però, la propria energia ancora prodotta, per l’80% dal carbone dei propri impianti minerari.  Praticamente la Sardegna paga gli aumenti del metano non avendolo mai avuto. Questo, soprattutto negli ultimi trent’anni, ha danneggiato sensibilmente l’economia isolana. Nell’ ambito, poi, di questa sconsiderata guerra energetica (perché anche di questo si tratta) imbastita dal governo draghiano, dall’Europa e dagli USA contro la Russia (la Russia ha invaso, militarmente, l’Ucraina, ma la guerra energetica parallela è partita da Occidente,n.d.r.),la condizione d’insularità produrrà, poi, ulteriori sovraccosti alle bollette dei sardi. Altra nota dolente è dettata dalla sudditanza della classe politica isolana, di entrambi gli schieramenti, rispetto all’alleanza dello Stato centrale con le consorterie energetiche, al fine d’impedire che l’isola avesse una politica energetica autonoma. Aspirazione, questa, certamente dettata dalla particolare situazione geografica. Ed un’altra cosa bisognerebbe dirla e sottoscriverla: come già denunciato qualche giorno fa da Mauro Pili, ex presidente della Regione Autonoma della Sardegna, sulle colonne dell’ “Unione Sarda”.  Ossia che, a questo punto, sarebbe necessario che il “governo dei migliori” rivedesse il proprio PNRR in tema di costruzione di nuovi rigassificatori. Vale a dire, in parole povere: impedire che i terminali di rigassificazione, che si sarebbero dovuti realizzare in Sardegna con l’ormai vecchio “decreto energia”, siano dirottati verso gli “hub” nazionali, dove già esistono le reti di distribuzione. In secondo luogo, un’altra strada da percorrere subito, come già evidenziato, sarebbe quella di mantenere aperte le centrali sarde a carbone, garanzia per non fare rimanere la Sardegna al buio. “Centrali che”- come osserva ancora Pili- ” certamente avversate dalle lobbyes energetiche, però, garantirebbero l’installazione di tecnologie moderne di cattura e stoccaggio di carbone, sia a Portovesme che a Porto Torres”. Il tutto, ovviamente, in grado di dare all’ isola una prospettiva energetica stabile ed autonoma per almeno venti o trent’anni, tempo necessario per costruire una vera alternativa sull’utilizzo delle rinnovabili. In terzo luogo, proprio perché in Sardegna non si continui a pagare più di altri scelte che non le appartengono, si dovrebbe ripensare a “rimettere mano” al famoso “dossier” riguardante la realizzazione del gasdotto GALSI, il metanodotto Algeria- Sardegna- Europa, bloccato, purtroppo, a suo tempo, dalle potenti consorterie del gas e del petrolio. E questa, in breve, è tutta una storia da raccontare. Una storia che ci porta anche alla prima metà del XIX secolo quando si cercò d’istituire il cordone di collegamento sottomarino con l’Algeria, in cui un ruolo di primo piano venne svolto dal deputato anelese Giuseppe Sanna Sanna (Anela, 1821- Genova, 1874), di cui lo scorso anno, nel silenzio pressoché generale (non nostro, né di “Tottus”, né di pochi altri), si sono celebrati i duecento anni della nascita. Partiamo, dunque, dal progetto GALSI. Questo metanodotto, che avrebbe dovuto portare il gas algerino in Europa attraverso la Sardegna non è stato mai completato a causa dell’offensiva del colosso GAZPROM, che voleva mantenere le quote di gas russo nel continente.  Un colosso che, in questo mese di guerra ucraina, si badi bene, si ha visto chiudere, dall’oggi all’indomani, su decisione unilaterale americana (sempre loro), la “linea diretta” Germania- Russia, da altri ribattezzata come la riedizione della “Ribentropp- Molotov”. Il rilancio di questo metanodotto, però, richiederebbe, da parte UE, un congruo finanziamento. Della ripresa del progetto GALSI ne hanno dato conferma anche siti ufficiali algerini. Questi ultimi, tra l’altro, rilanciano le varie “lettere d’intenti” già firmate, a suo tempo, fin dal 2005 a Milano. In una di queste, per fare un esempio, firmata dall’ allora presidente della Regione sarda Renato Soru, si faceva riferimento ad una quantità sino a due miliardi di metri cubi di gas da utilizzare nell’isola.Ma cos’era realmente questo progetto GALSI? Si trattava, nel concreto, della realizzazione di una condotta sottomarina di 284 km,con una profondità massima  di 2880 metri. Dal punto di Kondiet- Drauche, nord-est dell’Algeria, sarebbe dovuto arrivare a Porto Botte, comune di Giba, nel Sulcis, attraversare tutta l’isola fino ad Olbia (ipotesi, allora, osteggiata dalle associazioni ambientaliste) e da lì a Piombino, con il collegamento alla rete nazionale italiana di circa otto miliardi di metri cubi di gas l’anno. Per l’intento era stato costituito un consorzio con un capitale iniziale di dieci milioni di euro, che al suo interno annoverava la presenza della Sfirs (finanziaria della Regione Sardegna con l’11.6%, oltreché dell’Enel e della Somatrach algerina che vi avrebbe partecipato con il 41.6%. Anche la Francia aveva dato il suo assenso, con l’impegno di collegarvi anche la Corsica. Fra il 2011 ed il 2014 iniziarono i primi problemi del progetto che si materializzarono nel 2014 con la sospensione “sine die”, a causa dell’accordo fra GAZPROM ed Italia, anche se le motivazioni ufficiali riguardarono l’instabilità politica algerina. La stessa giunta regionale sarda, poi, guidata dall’economista Francesco Pigliaru con quello che sarebbe dovuto essere il “governo regionale dei migliori”,se ne tirò indietro, proponendo, dal canto suo, altre alternative di ricorsi a piani energetici . Dal 2017, quindi, che la Regione Sardegna abbia messo una “pietra tombale” su tale progetto. Progetto che ora, vista la crisi attuale, potrebbe tornare di pressante attualità. Di una sua ripresa se ne parla, come già rimarcato, dal lato algerino, fronte che, peraltro, continua a fornire l’UE tramite l’apposito gasdotto di collegamento con la Spagna e che non vedrebbe affatto di “cattivo occhio” la riapertura del “canale sardo” con GALSI. Il tutto, ovviamente, sperando che non faccia la fine del primo, famoso, cavo sottomarino telegrafico delle metà del XIX secolo che collegò, per poco tempo, l’Algeria, allora francese, al Regno di Sardegna. Una grande questione, quella, che aveva visto, in prima linea, impegnato il nostro parlamentare anelese Giuseppe Sanna Sanna e che rientrava nel disegno più generale di evitare l’isolamento totale della Sardegna nei collegamenti. Il progetto del cavo sottomarino fra le due sponde del Mediterraneo, con l’avvallo ed il sostegno economico francese, avrebbe contribuito a porre la Sardegna al centro del “Mare Nostrum”. Motivo per cui venne visto bene ed appoggiato da tutta la stampa democratica sarda e da chi, come Sanna Sanna, già direttore della “Gazzetta Popolare”, ma allora deputato nella VII legislatura del Regno di Sardegna, vi avrebbe visto un aspetto fondamentale per lo sviluppo economico dell’isola. Ecco, si spera che la possibile ripresa del progetto di gasdotto fra Algeria e Sardegna non faccia di nuovo la fine di quel primo cavo sottomarino che cercò inutilmente di essere immesso per ben tre volte: nel 1855, nel 1856 e nel 1857. Un progetto che, iniziato bene, sotto i migliori auspici, con anche gli accordi economici sulla suddivisione dei costi tra Francia e Regno di Sardegna, ed il coinvolgimento della “Societe’ du telegraphe electrique sousmarin de la Mediterranee” gestita dal dinamico e visionario ingegnere inglese lord John Watkins Brett, purtroppo, finì male. Ma questa è un’altra storia.

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5 commenti

  1. Giuseppe Mureddu

    Bisognerà fare qualcosa, tutt’insieme, per risolvere questo grave problema del gas.
    Mi sembra che questo governo stia peggiorando, piuttosto che risolvendo il problema. Peppino Mureddu.

  2. Tutto questo dobbiamo dire. Mea culpa che abbiamo scelto sempre i peggiori sulla politica

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