IL NIVOLA RITROVATO: CON ANGELINO MEREU, AL GREMIO DEI SARDI DI ROMA, PER PRESENTARE IL LIBRO SULL’ILLUSTRE COMPAESANO DI ORANI

di LUISA SABA

Mi chiedevo, mentre ascoltavo durante l’incontro nell’accogliente sede del GREMIO dei sardi a Roma, introdotto dal presidente Antonio Maria Masia, il racconto di Angelino Mereu, ricercatore culturale e presidente ACSIT, Associazione Culturale Sardi in Toscana sulle vicende toscane della vita dell’artista Costantino Nivola, riportate nel suo libro: Il Nivola ritrovato. Cosa ci fosse di così intrigante, affascinante e ancora non detto nella storia di un sardo cosi famoso che in calce ad una sua grande composizione che copre una intera murata di ingresso della prestigiosa Università di Harvard vi è scritto semplicemente Antine Nivola, Orani Sardegna.

Da Orani era partito nel 1930, a 20 anni di età, Costantino Nivola per iniziare la sua esperienza professionale prima in un istituto professionale di Monza e poi crescere e confrontarsi con audaci artisti innovatori, pittori, disegnatori e architetti che in Lombardia, Parigi e Sud Europa portarono avanti, per qualche decennio, proposte e progetti estetici saldamente legati all’industria.

E a proposito del passaggio di Nivola all’ISAE, l’Istituto Superiore per le Industrie

Artistiche di Monza, progettato nel 1921 come Università per le Arti Decorative dall’Umanitaria, in consorzio con il Comune di Milano e di Monza, interessante e apprezzatissima la collaborazione all’evento della filiale di Roma della Società Umanitaria, con la presenza del suo direttore generale, venuto per l’occasione da Milano, avv. Alberto Jannuzzelli.

Lì, nel Convitto attiguo, ci dice il presidente dell’Umanitaria, con sede nella Villa Reale, avrebbero vissuto fianco a fianco, arrivando a diplomarsi con il massimo dei voti, tre giovani sardi arrivati con una povera borsa di studio in tasca di 3750 Lire. Loro erano: Giovanni Pintori di Nuoro (1912-1999), Salvatore Fancello di Dorgali (1916-1941) e Costantino Nivola fi Orani (1911-1988), e tutti e tre sarebbero stati spesso riconosciuti e apprezzati come “i tre sardi dell’ISIA”

Si trattava di progetti artistici che promettevano la modernità, guardavano all’orizzonte della razionalità funzionale e sembravano rompere con la marginalità e i ritardi storici dei territori da cui Nivola proveniva. Dalla biografia dell’artista, riportata in calce del testo dall’ Autore e arricchita nella prefazione dai contributi di Richard Ingersol e Giuliana Altea, si evince un itinerario fantastico, che parte dalla periferia del mondo, come era il paese di Orani in Sardegna nel 1911, anno in cui nacque Nivola, prosegue nella scoperta del continente europeo, da Monza a Parigi, e poi nella scoperta del mondo americano e dell’ America, dove Nivola si stabilisce prima dello scoppio della guerra mondiale per sfuggire alle leggi razziste che avrebbero colpito la sposa di origine ebraica. Nivola in Usa partecipa alle principali alternative artistiche del secolo passato, segue le correnti delle avanguardie funzionalistiche che volevano rimuovere le culture figurative del naturalismo romantico e dare all’ arte una dimensione razionale, vicina allo spirito dei tempi moderni che con l’industria e la tecnica stavano ridisegnando il mondo. Il linguaggio del maestro di Orani si forma nell’orizzonte delle avanguardie più avanzate, rapporti e scambi con Pollock, Calder, Steimberg, Le Courbusier, ma contemporaneamente risponde a quelle sollecitazioni che andavano recuperando i simboli del mondo arcaico protosardo. Negli Usa Nivola, che ha abbandonato il suo nome italiano Costantino per adottare quello sardo di Antine, si sintonizza con le correnti artistiche d’avanguardia ma segue anche forme di sensibilità alternative che criticano il “progresso“ e la razionalità funzionale dell’arte astratta. Nella coscienza di Nivola, come di molti sardi che emigrano, giace spesso una eredità che affonda i suoi beni nell’universo mitico e arcaico della preistoria isolana. Beni che quando affiorano, come nel caso dell’arte di Nivola, si mescolano con le tendenze moderne e realizzano mediazioni estetiche straordinarie, con segni sobri ed essenziali ma anche con linee trascendentali quasi mistiche che caratterizzano la maggior parte della produzione scultorea nivoliana. Dalla esperienza americana in poi la creatività artistica di Nivola si muove tra questi due poli simbolici, il modo di essere nella attualità, il coinvolgimento con le correnti critiche del presente ed il legame con i segni del passato più lontano. Disegnatore, grafico, scultore, pittore, architetto, Nivola si muove tra le Accademie, le Università, le Gallerie e le mostre più importanti di America ed Europa, tenendo caldo e immutato il suo nido di Long Island, il suo angolo di paradiso, il legame con il verde e il cielo, dove tra alberi e sculture riproduce un pezzo dell’arcaico Eden sardo, accoglie i suoi amici, crea quell’ambiente che mantiene viva la tensione tra natura e cultura, forma e significato, la “sintesi “ artistica che caratterizza tutte le opere di Nivola.

Cosa induce dunque Angelino Mereu a esplorare, ritrovare, come annuncia il titolo, quelle ragioni che portarono Nivola a scegliere una collina sperduta della Toscana come meta ideale e orizzonte estetico della parte finale della sua esistenza?

La risposta a questo interrogativo è folgorante nella sua semplicità: attraverso la ricerca di documenti, carte, messaggi, cartoline, disegni, testimonianze, raccolte con cura e devozione amorevole Mereu scopre e ci fa scoprire come “Il Nivola ritrovato”, sottotitolo dell’opera Un artista tra l’America e il Mugello, Nardini editore, 2012, rappresenti il summit della storia di un uomo che essendosi mosso tra la modernità più spinta, astrattismo e cubismo, nei contesti multi e pluri culturali più vivaci e ricchi dell’arte del 900, ha trovato infine il significato della sua arte, la sintesi delle sue esperienze, la perfetta armonia tra natura e ambiente nel recupero delle proprie origini in una collina antica, in un casolare isolato che ricordava la terra sarda tanto che non a caso Nivola lo battezzò come il suo Nuraghe toscano.

Se il periodo giovanile aveva rappresentato il riconoscimento dell’artista nelle spinte della modernità, se il periodo americano aveva rappresentato la mediazione tra la cultura moderna e quella tradizionale, il periodo toscano si connota come il ritorno alla identità originaria, madre natura, un cammino coscienziale -spirituale più che plastico e architettonico. E l‘artista libera le domande sulla propria identità,”Soe eo un’apostolu Kene discipulos? unu santu kene religione, unu zittadinu kene terra? Sono un apostolo senza discepoli? Un santo senza religione? un cittadino senza terra?

L’opera di Mereu, arricchita, nella circostanza, dalle letture di alcune pagine a cura dell’attore Alessandro Pala Greische di Alghero: un testo prezioso, ricco di immagini, illustrazioni foto e riproduzione di documenti d‘archivio, con un formato da biblioteca, realizzato in versione italiana e fronte inglese, ritrova e analizza quella parte della vita di Costantino Nivola, che può essere chiamato come quello di ricerca dell’identità, di “ritrovamento” delle origini. Furono questi sentimenti che spinsero il Maestro di Orani trovandosi negli anni ‘70 in Toscana, a investire in un mitico rifugio toscano, un casolare sperduto nel Mugello, le lire che aveva guadagnato facendo consulenze e il professore a Firenze.

Nel casolare, la casa del Colle, le forme primordiali della cultura sarda pastorale, la scelta dei materiali, degli arredi, la disposizione degli spazi, la cornice della natura, ricreano una aura mitica che porta ai confini remoti del tempo e annulla gli spazi temporali. L’opera di Nivola sceglie un approccio che mette la natura come luogo di origine e germe di tutto ciò che nella storia, nella cultura, nell’arte si crea e si manifesta. Come doveva essere quella Sardegna che l‘artista aveva sempre nel cuore, non come un Paradiso perduto, bensì come un fatto coscienziale che intreccia il mito con la cultura e la sacralità della terra.

In una lettera del 58 alla rivista il Provinciale l’artista scrive “… Non ho veramente l’impressione di aver abbandonato Orani da tanto tempo. Quelli che se ne vanno definitivamente dai luoghi nativi sono piuttosto coloro che pur restando li finiscono per non vedere più niente, voltano le spalle all’ambiente e volano con la fantasia in una nuvola torbidi di desideri verso luoghi inesistenti”. Tuttavia, la Sardegna nella quale ogni tanto Nivola ritornava non era quella dei suoi ricordi, quella che aveva un rapporto armonioso con la natura. La sua terra era diventata distratta, esterofila, rassegnata, consumista, senza dignità! In una significativa intervista concessa a Long Island nel 1978 a Mario Faticoni, giornalista, attore, protagonista della nascita del teatro in Sardegna, Nivola parlava del suo deludente impatto con la realtà culturale sarda, dove ad Ales l’amministrazione comunale aveva preferito un preconfezionato economico manufatto di Arnaldo Pomodoro al suo progetto di un monumento a Gramsci, oppure alla accoglienza critica riservata a Nuoro alla sua creazione di Piazza Sebastiano Satta. Nel celebrare un poeta molto amato e sempre vivo nella memoria dei concittadini nuoresi, a cui la piazza veniva dedicata, Nivola si era impegnato a renderne riconoscibili le origini in una terra di pietre, di rocce, severa, essenziale, con una genialità creativa ed una poetica potente che si ritrova anche nelle opere di Maria Lai. Le origini che i poeti cercavano di onorare erano però dimenticate in una Sardegna che, come si lamentava Nivola con Faticoni, aveva installato strutture militari al posto dei campi, aveva sostituito la plastica con i cesti, trattava gli ovili come dei porcili, aveva messo lamiere di metallo al posto del legno; il cattivo gusto si era impadronito dei sardi che fuori dell’ovile squallido e lercio parcheggiavano auto rosse fiammanti! Anche nei giovani crudeli scrittori naif (vedi “Padre padrone”) Nivola trovava qualcosa di rozzo e insensibile, un sapore di durezza e di caserma così lontano dai sapori che aveva conosciuto mezzo secolo prima a Orani. Fu forse tutto questo che aveva spinto Nivola ad acquistare, nel 1970, un podere in un luogo “isperdidu” (sperduto) in cima a un colle di Dicomano nel Mugello toscano. Qui l’artista ritrova se stesso, la casa del colle diventa il Nuraghe delle su origini, (pag 75). Un podere senza acqua né luce elettrica, dove si cucinava sui tizzoni del camino il formaggio alla griglia, come fanno i pastori sardi; dove si viveva con la luce del sole, lontano da ambienti intellettuali, dai rumori e dal frastuono delle città. Via dei Nuraghi verrà chiamata la strada impervia per arrivare alla casa del Colle, nuraghe e nuraghi come emblema dei legami tra i sardi paleolitici e la Toscana. Nella casa del colle arredi essenziali, spazi di socialità e convivio, un cammino, un lavello circolare realizzato in marmo sul modello di uno simile che l’artista aveva già fatto per la casa americana, a rappresentare il fatto che la pulizia dei cibi e delle stoviglie non va fatta con la faccia verso il muro ma davanti ad una finestra, alla vista di tutti perche azione quasi sacra di purificazione. Ovunque si trovasse, diceva di Nivola la sua sposa Ruth Guggheneim, cercava di fare della sua casa un angolo di paradiso, perché la casa nell’ universo simbolico del maestro di Orani rappresenta sia il ritorno alla sacralità delle origini sia il profondo riconoscimento di sè stesso, l’identificazione nell’alveo mitico di una terra mediterranea. Il rapporto di Nivola con la natura e con il paesaggio, i rapporti umani e la selettività delle opere prodotte, la ricchezza di testimonianze acquisite da Mereu, gettano una luce nuova sulla vita toscana dell’artista e permettono di leggerne l‘esperienza toscana come in assoluto la parte più significativa della traiettoria artistica del maestro di Orani. Fase Illuminata dalla amicizia con i semplici arcaici personaggi del piccolo paese ma soprattutto con Pietro Porcinai, architetto di paesaggi, mentore, socio, un Virgilio con il quale Nivola dialoga, discute, fa progetti, divide il valore, sacro per un sardo, dell’amicizia e dell‘amore per la natura.

“Sono certo, scrive a un certo punto Porcinai a Nivola. “… che la tua arte di ieri e del domani, continuatrice di indistruttibili valori trarrà beneficio dall’ ambiente del Colle”. Con Porcinai una corrispondenza fitta, degli incontri continui, dei progetti comuni, che vanno dalla messa a dimora degli ulivi alla cura della vigna e degli alberi, dalla cena con la regina Giuliana d’Olanda allo studio del sepolcro del figlio del fattore, Pietrino Rossi, dal rapporto caldo e sincero con la piccola comunità di Dicomano, fino al progetto formativo, mai realizzato, di un campus estivo in mezzo alla natura per educare i giovani allo sguardo .”..vedere non è un dono di Dio, sono sempre parole di Antine, ma una disciplina che si acquista, una grammatica che insegna a passare dall’utilitario al contemplativo.

L’artista deve rispondere alla bellezza gratuita della natura. L’effetto del sole e della luce, rispondono a cose che non hanno utilità o guadagno”. Nel Mugello l’artista ritrova il senso profondo della vita in sintonia con la natura, affinità con il clima, con le piante, con lo spazio, tanto che, richiamando l‘opera di Maria Lai dichiara “ognuno annoda fili nella salda trama del contesto e percorre il discontinuo percorso della sua avventura per essere se stesso, allontanandosi ma restando capace di riconoscersi sempre in qualcuno “.

Il riconoscimento di Nivola con le sperdute colline toscane era cosi forte e sentito, tanto da fargli dire, in uno dei ritorni ad Empton, che ”dopo aver applaudito le distanze ondulate delle colline del Mugello anche l’orizzonte dell’Atlantico sembra troppo vicino, quasi un ostacolo alla fantasia”. Durante una estate a Dicomano, dove l’artista si concedeva momenti di isolata e tranquilla solitudine, sfogliando un diario che teneva giornalmente, la figlia Carolina troverà uno scritto in tre lingue, inglese, italiano e sardo, scelte non casualmente a riflettere su quale delle esperienze, americane, toscane, sarde, che avevano caratterizzato la vita di Antine il poeta si riconoscesse. Di queste esperienze quelle in cui l’artista si identifica sono quelle che rappresentano la sintesi della sua arte. Negli anni 65-85 esplode infatti il Nivola scultore, pittore, disegnatore, poeta. I marmi di Pietrasanta, i colori delle colline del Mugello, gli alberi della casa del Colle, i volti degli amici di Decumano ispirano le opere in terracotta, i pannelli in bronzo, i disegni e le sculture che in quegli anni Nivola realizza. La sintesi più alta, Il Nivola… ritrovato, la raggiunge con le sculture, che compone stilizzando i simboli dei reperti archeologici della preistoria isolana sarda, il tema della fecondità raccordandoli con i codici linguistici delle avanguardie, creatività e sensualità femminili. Capolavori in questo senso sono le sculture realizzate nel laboratorio di Giorgio Angeli a Pietrasanta e le sculture destinate al palazzo della Regione a Cagliari. In una produzione che unisce l ‘arcaicità con la modernità Nivola riesce a inserire strutture compositive dell’artigianato, come le ceramiche di Nioi, o il recupero di valori etnologici e sociali cosi evidenti nel disegno di arredi e monumenti funebri (il figlio meraviglioso) che onorano i legami con storie di persone e famiglie. Un ulteriore segno della vicinanza dell’arte con le origini dei luoghi oltre che degli uomini fu la volontà di dedicare a Dicomano una opera da collocare davanti alla Chiesa di S. Onofrio, dove si trovava da anni il monumento che ricordava la abolizione della pena di morte da parte del Granduca di Toscana nel 1786!.

Angelino Mereu sardo di Orani come Nivola, vive a Firenze da quasi 50 anni, ci conduce con questo splendido lavoro, sulle orme di un artista le cui opere provocano, specialmente in un lettore sardo, riflessioni sui temi profondi dell’arte e della vita. Il cammino di Nivola assomiglia per molti aspetti a quello di molti sardi, artisti e non, che varcano il mare alla ricerca di mondi più estesi e meno ingrati nel riconoscimento di valori professionali o artistici, ma insieme alla ricerca di un senso del vivere e ad un recupero di identità non stereotipato. Identità che Nivola trova nell’arte e nelle origini dell’arte stessa, arte senza confini di spazio e senza cornici di tempo, arte che ti riporta all’inizio della vita, la dea madre, o alla fine della vita, una croce di cemento sulla nuda terra, che in mezzo possa crescere l’erba (sono le immagini delle più belle opere riportate nel testo). Nel cammino di Nivola la Sardegna è un punto di partenza ma non necessariamente un approdo di ritorno, perché la terra delle origini sta nella coscienza e nel cuore dei sardi, non nel cortile e nell’orto della casa natia. Grazie ad Angelino Mereu per accompagnarci in questo cammino dell’anima nivoliana, di cui ci ha fatto conoscere quei sentieri che invitano a una personale.impegnativa auto esplorazione.

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3 commenti

  1. Maria Giovanna Giua

    Mi ha fatto piacere conoscere un grande sardo e non solo lui ma anche il presentatore che mi è sembrato una persona di grande spessore!!! Complimenti agli organizzatori!

  2. Maria Giuliana Campanelli

    La figura di Nivola è davvero delineata con competeza ed emozione che viene trasmessa in modo magistrale un sardo per un sardo la dove cuore e cervello sono in perfetta sintonia e ciò che risuona è mirabile.
    Grazie

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