LA GUERRA IN UCRAINA: LA CRISI DEL PANE E LE CONSEGUENZE PER LA SARDEGNA

di GIANRAIMONDO FARINA

Una delle più gravi conseguenze economiche che questo conflitto in Ucraina sta’ creando è connesso, inevitabilmente, al settore agroalimentare e, per la precisione, a quello cerealico. È l’amara constatazione che la crisi di questo “granaio” d’Europa ed “Eurasia”, sta’ privando il mondo di un importante fornitore di cereali, soia e risorse energetiche. Per gli esperti del settore è diventato, ormai, un problema di sicurezza alimentare. L’Italia, per quanto ci riguarda, al momento, non parrebbe interessata per i grandi volumi, in quanto il grano è importato in gran parte da Ungheria e Serbia. Paesi, però, che ora, vista la crisi in atto, stanno provvedendo a bloccare i propri export al fine di alimentare i magazzini nazionali. Tuttavia, anche da storici economici non possiamo non essere preoccupati per quanto, effettivamente, sta’ avvenendo lungo le sponde del Mar Nero con conseguenze anche per la Sardegna, ovviamente. Ed è una paura ben legittima, viste le ricadute che il drastico calo delle offerte agricole produrrà in Ucraina.  Un indice chiaro di questo andamento è legato al mercato ed ai titoli che scommettono sui prossimi raccolti.  Tutti orientati al rialzo, con la prospettiva, peraltro non peregrina, di una carestia mondiale, già in atto in Africa. Il tutto, ovviamente, a partire dal grano, di cui Ucraina e Russia sono fra le maggiori fonti di approvvigionamento nel mondo. Lo scenario, peraltro ormai reale, è quello di restrizioni non riguardanti solo gas e benzina (aspetto più legato alle sanzioni contro la Russia, il gas, e più alle recenti erronee politiche governative italiane, la benzina), ma anche e soprattutto il pane (legato, questo, alla guerra “tout court” ed al blocco navale su Odessa, maggiore porto commerciale ucraino sul Mar Nero). Con una differenza molto evidente rispetto al periodo pandemico. In questo caso, infatti, la globalizzazione continuò a rifornire i mercati e le mense nonostante la “chiusura” generalizzata. Ora, invece, è la globalizzazione a portare nelle case l’ “onda lunga” della crisi alimentare mondiale. Giungendo, purtroppo, a bloccare i meccanismi di garanzia d’approvvigionamento delle derrate alimentari. Ed è iniziato tutto con la forte impennata dei prezzi di grano e mais. Se sul primo fronte (prezzo del grano), vi è già una rivolta in atto in Africa, sulla falsariga di quelle della “primavera araba 2011”; sull’ altro lato, il mais, il discorso coinvolgerebbe da vicino anche la Sardegna. E vediamo perché. Nel caso dell’aumento dei prezzi del grano, la conseguenza più esplicita, purtroppo, si sta verificando in Africa. E questa è una storia poco raccontata, che ci riguarda da vicino. La guerra sta’ certamente portando alla riduzione delle esportazioni di grano russo ed ucraino con conseguenze catastrofiche per l’Africa. È su questo che si fonda anche la rilettura del passaggio manzoniano dell’assalto ai forni, la famosa rivolta del pane di Milano. Quando una persona ha fame si lascia sopraffare anche dalla violenza più estrema. Ad avvalorare queste conclusioni, aggiungiamo che l’Istituto per l’economia mondiale di Kiel in Germania fa sapere che la guerra in Ucraina potrebbe mettere in ginocchio il continente africano, che importa una grandissima quantità di grano. Russia ed Ucraina, per questo, sono i due più grandi esportatori di grano, sementi ed anche fertilizzanti al mondo ed in particolare verso il bacino del Mediterraneo, inclusi molti paesi africani: Egitto, Algeria, Tunisia su tutti. Nello specifico, trattasi di paesi che hanno una modesta quantità di terra arabile e per questo sono forti importatori di cereali. E la Sardegna? Nell’ isola, più che il grano, il problema sarebbe il mais, di cui vi è una maggiore importazione per l’allevamento. La guerra sta’ producendo effetti negativi per l’agricoltura isolana e per gli allevatori, che si ritrovano con prezzi alle stelle e con il rischio di non avere mangime per via del blocco navale imposto ad Odessa. Una situazione non più supportabile, neppure dalla Regione, che sta cercando di ottemperarvi con politiche di sostegno all’ agricoltura. Vi potrebbero, però, essere delle proposte come l’attingere agli accordi di filiera per cui il c.d. PNRR possa destinarvi un miliardo di euro annui.  E questa è una linea della Coldiretti. Quest’ associazione ha presentato alla Regione, nell’ambito del “Progetto Sardegna”, l’idea di ricoltivare l’isola, a partire dal recupero di 100 mila ettari irrigui non utilizzati per la coltivazione di mangimi di qualità, all’ interno di accordi di filiera tra agricoltori ed allevatori sardi, con la garanzia, per entrambi, di un prezzo giusto. Progetto che, per Coldiretti, sarebbe da incentivare con un contributo di 100 euro ad ettaro per un totale di 20 milioni di euro. Per la Sardegna, come nel caso di alcuni paesi africani, è un controsenso avere dei campi incolti e dipendere da un altro paese. Un paradosso che, purtroppo, ora sta’ emergendo con prezzi record ed il rischio di lasciare gli animali senza cibo, oltre ad essere alla mercé delle speculazioni che, in queste situazioni, purtroppo, non mancano. Ed a cui si devono aggiungere le recenti ed eclatanti proteste degli autotrasportatori sardi nei porti isolani per via dell’aumento ingiustificato del costo del carburante. Questo a conferma, purtroppo, come scritto più volte in precedenza dello “status” indefinito di una continuità marittima da e per la Sardegna ancora “azzoppata”

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Un commento

  1. La Sardegna era il granaio dell’antica Roma, abbiamo migliaia di ettari di campi incolti da sfruttare per la produzione interna di cereali che sono stati abbandonati decenni fa.

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