“IL LENZUOLO SARDO”, UN ROMANZO DI ANTONIO TUVERI DI PABILLONIS

di ANNA LUISA GARAU

“Il lenzuolo sardo” è un romanzo di Antonio Tuveri, nato a Pabillonis nel 1922 e vissuto a Milano. Tenente dei carabinieri e decorato Cavaliere della Repubblica, per trent’anni lavorò come giornalista pubblicista e pubblicò anche il romanzo “Le mie cugine”, anch’esso ambientato in Sardegna.

La storia si svolge, infatti, a Pabillonis (Pillonis nel romanzo) nel corso del Ventennio fascista dove Gonario Uccheddu, privo d’istruzione e d’indole pigra, trascorre una vita tranquilla. L’unica iniziativa presa nella sua vita è sposare Marietta, incontrata presso la famiglia Matta, una delle più abbienti di Pillonis, con la quale diventa capostipite di una famiglia numerosa le cui vicissitudini sono al centro della vicenda.

La vita povera, tra carestie, tisi e invasioni di locuste, mette a dura prova gli Uccheddu che perdono, nel corso degli anni, cinque figli impedendogli di arrivare a ottenere il “lenzuolo”, la banconota da mille lire che il partito fascista prometteva a chi aveva dieci figli vivi e che diventa un’ossessione.

In queste condizioni difficili Gonario e Marietta decidono di mandare sotto padrone tutti i figli per sopravvivere: solo uno, Caino, si ribella all’imposizione per frequentare la scuola. Un’altra tra le figlie, Anna, mandata a servizio presso una delle famiglie ricche del paese, diventa oggetto di attenzioni da parte del padrone di casa Fulgenzio, che la corrompe facendo leva sulle paure e con la prospettiva del “lenzuolo” tanto agognato. Quando comunica ai genitori l’accaduto, dopo giorni di tormenti, lo stupore per aver ottenuto le mille lire in questo modo si mescola al timore di una maledizione legata a questa somma: la sera in cui Gonario va a cambiare la banconota viene ucciso un uomo.

Questa storia s’intreccia con la gravidanza di Marietta, che scopre di essere in attesa di ben tre gemelli che le permetterebbero di raggiungere i dieci figli richiesti dal partito alle “lupe profiliche”, soprannome che si guadagna. Questa fama porta molte persone a recarsi in visita portando doni, convinte che portasse bene, che le chiedevano quale voto avesse preso: la fama di Marietta convince Gonario di avere un certo peso in paese. Ma anche in questo momento favorevole, in cui finalmente il lenzuolo promesso sembra a portata di mano, la durezza della vita si mostra ancora una volta: a uno dei figli, Benito, viene diagnosticata la tubercolosi in stadio avanzato. La sua morte impedisce ancora una volta la vincita del premio, ormai diventata l’ossessione di Gonario.

Nonostante la morte di Benito la nascita dei tre gemelli, chiamati Benito uno, Benito due e Benito tre, convince il partito a versare metà della somma promessa a un negoziante di alimentari. Questo permette agli Uccheddu di saldare i debiti con Michele Tuveri, gestore del negozio di Pillonis, che in passato era stato gentile con loro. Nel frattempo la fama di santità di Marietta si allarga sempre di più, al punto che Gonario chiede al parroco, don Mariano, se sia possibile sciogliere il voto della moglie: non è possibile. Il figlio Caino al contrario continua a rinfocolare la fama al punto tale che la famiglia per un periodo può sostenersi grazie alle offerte e perfino ottenere qualche agio nella sua condizione di povertà, come dei letti veri o una bicicletta per raggiungere Guspini per studiare.

Ma all’affievolirsi delle visite e delle offerte Caino decide di sfruttare ulteriormente la fama della famiglia concentrando l’attenzione della gente e della stampa sul padre Gonario. In un primo momento questo stratagemma funziona ma per via di alcune malefatte Caino è costretto alla fuga senza dare più notizie di sé. Forse per il dolore e sicuramente non aiutati da una vita dura, prima Gonario e Marietta poco dopo, muoiono di malattia.

Un epilogo non bello per una coppia molto povera che aveva fatto di tutto per ottenere la banconota da mille lire senza mai riuscirci. In una Sardegna primitiva, feroce, dolcissima, ingenua e crudele in cui la speranza era qualcosa controcorrente, ricca comunque di quella umanità che oggi forse non esiste più, dove tanta era la povertà, l’ignoranza e dove l’unico modo per riscattarsi era quella di studiare od ottenere le mille lire che il partito dava a chi riusciva a mettere al mondo dieci figli. Un libro da leggere per un salto nel passato, per vivere le emozioni di un tempo lontano in un mondo di superstizione e pseudo-religiosità in cui la maggior parte delle persone pativa la fame, le carestie, le malattie, nonostante lottassero con tutte le loro forze.

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