LE ‘RADICI’ DELLA ZONA FRANCA, GLI ALBORI DELLA ‘ QUESTIONE SARDA’: IL PENSIERO DI GIUSEPPE TODDE, OSSIA ‘LA SARDEGNA COME HONG KONG’

busto in ricordo di Giuseppe Todde

di GIANRAIMONDO FARINA

Per affrontare il complesso discorso in merito alla zona franca in Sardegna siamo partiti dalla ricostruzione della battaglia politico parlamentare che ha visto, in prima linea, l’on. anelese Giuseppe Sanna Sanna nella cruciale, prima, legislatura del Regno d’Italia con il suo progetto per la riqualificazione del porto di Terranova Pausania (Olbia). Per avere, invece, più concretamente e scientificamente, le prime notizie in merito all’istituzione di una moderna zona franca nell’isola in età contemporanea, bisogna andare avanti rispetto alla summenzionata e famosa prima legislatura unitaria (1861- 65), arrivando agli ultimi decenni del XIX secolo, in piena età crispina. Momento in cui, con l’inchiesta Pais Serra, la Questione Sarda, da nazionale (come lo era stata per la prima volta grazie a Sanna Sanna nel 1862), diventerà governativa. Nel senso che sarà la prima inchiesta d’indirizzo governativo ad occuparsi delle reali condizioni economiche e sociali della Sardegna nell’Italia postunitaria. Ed il ‘perno’ e centro di tale indagine saranno le teorie economiche di uno studioso ora, purtroppo, avvolto dal ‘male oscuro’ dell’oblio e della dimenticanza: quel Giuseppe Todde, teorico ed ideatore, in tempi non sospetti, di una Sardegna “tipo Hong Kong”. Ma chi era; in realtà Giuseppe Todde? Si trattava, senza dubbio, del più grande economista sardo in età moderna, docente a Sassari e Cagliari (di cui sarà rettore) e primo a denunciare il protezionismo italiano che aveva chiuso i mercati esteri alla Sardegna. E’ stato anche il primo ad aver portato avanti una critica costruttiva all’Editto delle Chiudende ed, appunto, a teorizzare quel modello di zona franca per l’isola, secondo la dottrina “un Paese, due sistemi”. Tutte posizioni che gli valsero le simpatie e l’amicizia di personalità del calibro di Vilfredo Pareto. Todde, nato a Villacidro nel 1829, si laureò in giurisprudenza a Cagliari e andò a specializzarsi a Torino, dove incrociò Francesco Ferrara, futuro ministro delle Finanze della Destra Storica ed allora, docente di una materia semisconosciuta come l’Economia politica, intriso delle idee liberiste di Smith e Bastiat. Come ribadito, egli fu il primo ad aver evidenziato le storture del protezionismo italiano arrecate alla Sardegna, quando il governo Crispi, impegnato nella guerra doganale con la Francia, aveva chiuso ai sardi ed al loro commercio l’attivo mercato di Marsiglia. L’Editto delle Chiudende, altro ‘nodo’ della sua analisi, veniva, invece, criticato non in quanto strumento di introduzione della proprietà privata, ma perché la sua disequilibrata adozione, a suo avviso, aveva come unico obiettivo quello di aumentare la base imponibile della fiscalità regia, tartassando la nascente imprenditoria locale e causando, inoltre,nefaste sperequazioni ambientali. Questo portò, di conseguenza, al suo attacco ai vertici governativi del Regno di Sardegna accusati, sostanzialmente, di imbrigliare, “con vincoli e centralismo paternalista la forza dei nostri investitori privati”. 

Fu questa consapevolezza che spinse l’autore a proporre il primo progetto di zona franca della Sardegna. Idea molto originale per l’epoca che portò lo stesso Pareto a commentarla in questo modo: “Le proposte del prof. Todde sono oggettivamente ottime. Sono deduzioni perfettamente logiche della scienza economica […] Ma soggettivamente le proposte del prof. Todde sono pessime, perché egli non ha pensato alla greppia dei nostri politicanti”. Osservazione alquanto realistica e, purtroppo, veritiera nella parte riferita alla “greppia dei politicanti”. In altri termini, il merito intellettuale dell’ economista sardo era stato  quello di aver profondamente innovato anche le proposte di risanamento sulla situazione sarda, ma non aveva tenuto conto di un contesto politico e culturale che andava in altra direzione, portando, purtroppo, ad uno stallo dell’economia regionale (ecco, ‘sic et simpliciter’, definita la ‘greppia’ paretiana dei nostri politicanti).

In merito alla sua teorizzazione concreta di zona franca per la Sardegna, le sue idee possono benissimo essere sintetizzate da questi passaggi, desumibili dai suoi discorsi: “La guerra di tariffe ci ha rovinato pure l’industria armentizia, togliendoci lo sbocco ai prodotti nel commercio così ben avviato con la Francia; e mentre si suole accusare il sardo di neghittoso e apatico, conviene sapere che il proprietario del circondario d’Ozieri, ne’ tempi floridi di quel commercio, andava lui con vapori da lui noleggiati per portare a Marsiglia e di là talvolta a Parigi il bestiame da vendervi, spedendo in Sardegna valori in oro non indifferenti. Questo traffico dopo il 1888 cessò. […] Le disdette subite produssero molte rovine, determinando naturalmente un ribasso nel prezzo dei pascoli”. Da segnalare, in quel periodo, la puntuale e non casuale menzione del circondario di Ozieri, allora centro dell’allevamento e del commercio del bestiame isolano. Todde, poi, proseguiva queste valutazioni con dati economici alla mano, osservando l’impatto che generarono questi fenomeni sul crollo del credito, ormai incapace di supportare l’imprenditoria, e anche sui trasporti e sulle infrastrutture, causandone un ribasso del valore e cancellando di fatto il bisogno di investirvi.

Ed aggiunse, per contestualizzare il momento storico che si viveva, che: “Il risorgimento vero dell’isola non si può attendere da una lenta evoluzione delle nostre forze proprie […] serve afflusso e contatto di nuovo capitale e gente nuova, e da un diverso indirizzo nell’opera legislativa che dia campo all’iniziativa privata, con poco dispendio dello Stato […] occorrerebbe un efficace concorso di capitale nelle molteplici sue forme, pecuniario e d’intelligenza […] e più che tutto il concorso del credito, semplicemente scomparso”.

Queste conclusioni, oltre ad introdurre il contemporaneo concetto di “capitale sociale”, lo porteranno ad inoltrarsi nel computo del rapporto tra costi e benefici, in relazione alla fiscalità, per ogni unità di prodotto. 

Uno studio, quindi, che articolato in un progetto di 17 punti, da sperimentare per venti anni, avrebbe dovuto inquadrare la Sardegna come entità autonoma (includente, tra i vari, l’abbattimento delle imposte indirette e il contrasto ai monopoli). Nel mondo contemporaneo, appunto, si è avuta una distinzione istituzionale ed economica simile in due precise realtà: Taiwan (praticamente indipendente) e, soprattutto, Hong Kong, secondo la dottrina “un Paese, due sistemi”. Per la Sardegna, ovviamente, questo progetto, purtroppo, dovette rimanere “lettera morta”.

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2 commenti

  1. Perfetta analisi del Todde pensiero sulla istituzione della fiscalità speciale, franca o altro la voglia chiamare, per la Sardegna. Il ruolo di tutore che l’Italia si è attribuito sull’isola però, e di fatto, non lo ha permesso nei decenni…anzi, seppur in talune fasi potevasi credere diversamente, il ruolo degli stessi attori della politica regionale, anche a tinte 4mori, ha peggiorato lo status economico della Sardegna, con provvedimenti confusi e disarticolati dalla realtà, un esempio gli attuali applausi alle ZES o al, solo, reinserimento in costituzione dell’insularità.. La Zona franca tutt’altro è…le condizioni geografiche, demografiche ed economico-sociali ne avrebbero consentito il sicuro riconoscimento dallo Stato italiani con il beneplacito dei seppur ostici “nordici” della UE…..Ma tant’è.

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