LA RELIGIOSITA’ NELLA DELEDDA: ATTRAVERSO LA SUA PRODUZIONE LETTERARIA, GLI ASPETTI E I LEGAMI CON LA FEDE

Grazia Deledda

di LUCIA BECCHERE

Il problema religioso e morale nella Deledda come in qualsiasi essere umano sono inscindibili seppure distinti. Essi attraversano ogni filosofia e ogni opera letteraria anche se nell’arte della scrittrice il pensiero religioso si coglie solo come un riflesso di quello etico, come momento di supporto e di testimonianza ad una legge morale che si manifesta attraverso la coscienza e la sensibilità degli uomini ancor prima che diventi fede radicata e quindi si possa definire dottrina consapevole e norma di vita. Seppur il sentimento religioso sia sempre presente nei suoi scritti, esso è ben lontano dal permeare l’intera vicenda in quanto funge da postulato per allentare la tensione nei momenti più drammatici del raccontare e appare soltanto come un rifugio, una giustificazione per placare colpe e inquietudini, un affidarsi a qualcosa di trascendente e onnipresente che premia gli onesti e i virtuosi.

La sua religiosità resta indefinita e non si possono certo trovare risposte esaustive nei personaggi che si identificano con l’autrice.

Nella sua prima produzione letteraria si avverte una visione pessimistica dominata dal senso del peccato e della punizione tanto da sommergere ogni morale per trovare conforto in una forza sovrannaturale dove il Dio diventa un giustiziere di una umanità vittima di un doloroso destino che da quel Dio la tiene lontana. Questo abbandono e questa sfiducia che si manifestano nei primi romanzi dove tutto è peccato a cui non ci si può sottrarre, viene poi superato da un sentimento di Dio che illumina la coscienza del peccatore al quale concede la possibilità di espiare col riscatto quel male fino alla redenzione.

Nel romanzo L’Edera (1906), Annesa dopo aver commesso il delitto non si rifugia fra le braccia di un Dio misericordioso, ma nell’abbandonare definitivamente il suo amante crede in una totale punizione al suo terribile gesto e questo esula da una Resurrezione.

L’immanente e il trascendente sono momenti che nella Deledda trovano un equilibrio proprio fra la rigidità di giudizio e la comprensione: la prima come regola e dovere, la seconda come giustificazione della legge morale senza mai assurgere a vera religiosità. La scrittrice attraverso i suoi personaggi non manifesta certezze di dogma. “C’è un misterioso potere che ci guida, anche se noi cerchiamo di resistergli. Dio? Il destino? Chissà” afferma Lia di Nel deserto (1911).

Così nel romanzo Il nostro Padrone il pensiero di Dio(Il Bene) e quello del Fato (Il Male) a cui l’uomo non sa resistere, si alternano senza che uno prevalga sull’altro e sussistono allo stesso modo nello spirito della Deledda.

Il postulato della scrittrice ammette una divinità trascendente in cui trovano origine e giustificazione tutti i misteri e i problemi dell’uomo, tanto che il credere in Dio non solo supporta la nostra debole morale ma è quasi una necessaria richiesta di aiuto e questo altro non sarebbe che una palese affermazione di un credo morale interiore pur non possedendo un dogma di fede.

“Io credo in Dio … ma fra me  e lui non esistono intermediari, e l’anima mia è davanti a lui nuda  e pura e non ha bisogno di vestirsi. Egli mi ha purificato col ferro del fuoco e del dolore, e riconosco e benedico la sua mano, ma respingo con orrore il giudizio di qualsiasi uomo, sia pure un sacerdote”. Parole queste pronunciate da Jorgi in Colombi e Sparvieri (1912). Il suo desiderio di approfondire una religiosità non convince il lettore più di quanto non ne fosse convinta lei a cui era sufficiente la fede di Lia e di Jorgi.

“Sono religiosa, sono nata per la casa e per la famiglia, sento l’arte come un dovere”. Quanto dichiarato dalla Deledda al “Giornale d’Italia” all’indomani dell’assegnazione del Nobel.

Secondo alcuni studiosi, tutto si limita alla semplicità di un credo religioso, semplicità che tuttavia l’ha messa al riparo da impeti di fervore mistico che associato al fervore romantico del tempo avrebbe potuto generare errori e deformazioni da cui si à salvata proprio per la misura del suo pensiero e del suo sentimento. Quell’impeto romantico del tempo generato nel cristianesimo che se da un lato aveva portato il Manzoni a vette altissime dall’altro aveva collocato altri molto lontano da una vera ortodossia.

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