LA SCRITTURA TRA ISPIRAZIONE E TECNICA: CONOSCERE ANDREA FULGHERI ATTRAVERSO LE SUE ESPERIENZE PERSONALI

Andrea Fulgheri

di ANDREA RIPOLI

Scrivere è questione di ispirazione o di tecnica? Forse entrambe le cose. Lo scrittore, esattamente, quale percorso segue per diventare tale? In questa intervista Andrea Fulgheri, scrittore e docente di scrittura creativa, ci introduce al mondo della scrittura a partire dalla sua esperienza personale

Sei docente di scrittura creativa e scrittore. Ci racconti il tuo primo approccio con la scrittura? Certo, molto volentieri. Sono sempre stato un grande divoratore di libri, da quando ho imparato a leggere. Amo tutta la letteratura, dai classici alla narrativa di genere (Gialli, fantascienza, Horror…). Tuttavia, fin oltre i quarant’anni non avevo mai pensato di poter scrivere. Galeotto fu l’incontro fortuito con Giorgio Binnella, mio mentore, e il suo corso di scrittura creativa. Da quel momento ho scoperto che potevo e sapevo creare mondi e personaggi per abitarli. Oggi, due romanzi dopo e svariate antologie, sono diventato docente di scrittura creativa e socio, proprio con Giorgio Binnella, all’Accademia d’Arte di Cagliari.

Cosa significa essere uno scrittore oggi?  Dirò una banalità: per scrivere bene bisogna scrivere tanto, esercitarsi ogni giorno. La scrittura, come qualsiasi altra disciplina, va tenuta in costante allenamento. Ma questo non basta. Parallelamente all’esercizio bisogna leggere molto e, per leggere molto, intendo non meno di quaranta libri all’anno. È impensabile avere velleità di scrittore se non si è anche un accanito lettore. Tuttavia, neanche questo basta. Oggi escono centinaia di romanzi al giorno e solo meno dell’uno per cento riesce a campare di libri. Questo vuol dire che dobbiamo sudare, faticare, restare coi piedi per terra, essere predisposti ad ascoltare i consigli dei professionisti, quelli seri, e avere anche spalle larghe per ricevere critiche e rifiuti.

Quali sono gli argomenti che ti sono più affini? Bisogna fare una distinzione. Cioè, ciò che ci piace leggere non è necessariamente ciò che sappiamo scrivere o è editorialmente pubblicabile. Faccio un esempio. Personalmente sono un grande appassionato di Fantascienza, in particolare di Hard Sci-Fi, quella di Asimov per intenderci. Purtroppo, in Italia, non c’è molto spazio per quel tipo di Fantascienza e, sinceramente, non sono sicurissimo d’essere pronto a cimentarmi in un’impresa di questo tipo. Nello specifico, invece, non ci sono argomenti più o meno affini. Amo le belle storie, quelle dove emergono i personaggi, i loro conflitti, le loro fragilità, la loro ironia. Ecco, l’ironia direi che è un elemento che amo molto nei libri, se ben calibrata e funzionale alla storia. Penso a Benni o Pennac.

Scrivere cosa ti ha fatto capire di te? Sono fallibile, contradittorio, sono un beneficio di inventario, in altre parole, come tanti, vivo delle mie fragilità. Ecco, scrivere mi ha fatto capire che senza le mie fragilità non sarei me stesso.

I tuoi personaggi cosa sono per te? I personaggi sono amici fraterni, compagni di viaggio, ombre che mi seguono sempre. Senza loro, le storie sarebbero dei temi scolastici.

Quali sono le difficoltà che hai affrontato nel percorso di formazione della tua professionalità di scrittore? Nulla di tecnico, solo l’ego di tanti colleghi. Intendiamoci, tutti siamo un po’ egocentrici, altrimenti non ameremmo esibirci nelle presentazioni dei libri. Il danno lo fai quando perdi la consapevolezza del tuo ego e ti ergi a paladino della verità o, peggio, a dogma vivente. In altre parole, la difficoltà è stata, all’inizio, reggere l’onda d’urto di questi ego che hanno rischiato di sopraffarmi. Amici, anzi ex, che mi hanno bannato dopo un abbraccio e un sorriso. Non possiamo piacere a tutti, ma soprattutto, non mi devono piacere tutti.

Odissea Nerd, il tuo primo romanzo, di cosa parla? Odissea Nerd è un viaggio, un’odissea, appunto, di una genia di personaggi strampalati che si affannano alla ricerca di misteriose valigette ventiquattrore. Sono sette storie legate fra loro da personaggi che entrano e escono da un racconto all’altro. Ci sono i famigerati NERD (Nucleo Esterno Risoluzioni Definitive) una scalcagnata banda di agenti segreti, c’è Margherita, avvenente e procace ragazza che può parlare con i morti, c’è Arnaldo Fistemo, capo della Lived Corporation, Mr Bunker, Mister No, c’è il mistero di Zarcone, il primo disegnatore di Diabolik scomparso nel nulla. Ogni racconto è un genere narrativo differente. Trovate il giallo classico, il romanzo di formazione, la fantascienza, la spy story… Comunque, queste sette storie, lette assieme danno un affresco come un romanzo più ortodosso.

L’ingannevole cuore di un giovane vecchio, il tuo secondo romanzo, di cosa parla e quale messaggio vuole trasmettere? Il romanzo parte con me autore e personaggio che, nel mezzo del commino della sua vita, si è ritrovato nella selva oscura delle sue ansie. Decide quindi di rivolgersi a un professionista. Uno psicologo. Tuttavia, il me personaggio è un po’ stronzo, prende in giro il medico, gira attorno alle domande. Lo Psicologo, stanco di questa refrattarietà chiede al me personaggio di leggergli qualche racconto che ha scritto, per vedere se da quelle storie è possibile capire cosa turba il suo paziente. Sono dodici racconti che hanno come cornice questo dialogo diretto libero fra il me personaggio e lo psicologo, fino all’ineluttabile epilogo dove tutto… ma non posso aggiungere altro.

C’è un libro che ti ha fortemente influenzato? Sono tantissimi. Da Dante a Italo Svevo. Da Stefano Benni a Daniele Pennac per l’ironia. Da Verne a Wells per il senso del meraviglioso. I Malavoglia di Verga per i dialoghi e la struttura verista, la Trilogia galattica di Asimov per la creazione di mondi, Harry Potter per l’utilizzo e la scelta del tipo di narratore, tutto Pirandello per la satira spietata, Guida galattica per autostoppisti per i personaggi folli, La coscienza di Zeno, di ispirazione per L’ingannevole Cuore… e tantissimi altri.

In conclusione, come si scopre la propria Voce personale, quel tratto caratteristico che rende unico uno scrittore?  Come già anticipato, la propria voce si scopre scrivendo, sperimentando, studiando, leggendo, prendendo (rubando) piccole suggestioni da altri libri, sapendo ascoltare… dopo un po’ la voce non si scopre ma viene direttamente a bussare nelle nostre storie.

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2 commenti

  1. ma grazie di cuore, che meraviglia. Davvero grazie anche ad Andrea Ripoli, firma dell’articolo, per il tempo dedicato e per la passione che sempre dedichi a ogni attività culturale. Hai tutta la mia stima.

  2. Bravo Fulghy!

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