CREAVA CON I SUOI INTERVENTI, UNA NUOVA COSCIENZA PER I GIOVANI SARDI: PERCHE’ SERGIO ATZENI CI MANCA VERAMENTE

di VITO BIOLCHINI

Ogni tanto capita che qualcuno mi chieda: “Ma tu Sergio Atzeni lo hai conosciuto?”. E io rispondo sempre così.

No, Sergio Atzeni non l’ho conosciuto.

Nella primavera del 1995, quando lavoravo al Teatro dell’Arco di Cagliari, avevo organizzato la rassegna “Cagliari, memoria e memorie”, all’interno della quale aveva debuttato il mio spettacolo “Rombo di Tuono, scudetto e petrolio 25 anni fa”.

“Invitiamo Atzeni”, dissi a Mario Faticoni, direttore artistico del teatro. Mario recupera il numero da Giovanni Dettori, poeta di Bitti da anni trasferito a Torino, amico fraterno dello scrittore. Eravamo ad aprile. Mario chiama Atzeni al telefono, io seguo il colloquio con l’emozione che un venticinquenne non può che avere in una situazione come questa.

“Ah, va bene… Non ce la fai… Ma vieni a settembre… Va bene, allora ci vediamo a settembre. Ciao Sergio, grazie”.

Atzeni non avrebbe partecipato alla nostra rassegna, ma ci aveva promesso che qualcosa per settembre si sarebbe potuto organizzare.

Il sei settembre di vent’anni fa su Cagliari soffiava un maestrale furioso, che spazzava le nuvole che correvano su di un cielo così azzurro da sembrare irreale.

Ero a casa della critica cinematografica Paola Ugo e con noi c’era anche Antioco Floris quando nel pomeriggio ci arrivò la notizia di ciò che era successo a Carloforte. Sconcerto, incredulità: restammo muti, non sapevamo che dire. Il vuoto di quel pomeriggio me lo porto ancora dentro.

Io penso che se Atzeni fosse stato ancora fra noi, Cagliari e la Sardegna sarebbero state meglio di quello che sono ora. Perché era un artista e anche un intellettuale (cosa rara), e i suoi interventi pubblicati dall’Unione Sarda stavano creando una coscienza nuova tra i giovani sardi.

Si poteva anche non essere d’accordo con lui ma i suoi interventi non erano mai banali, perché Atzeni non scriveva a caso e non amava apparire, non era il prototipo di scrittore rockstar (che poi abbiamo conosciuto, ahimè, anche alle nostre latitudini). Le parole di Atzeni avevano un peso: tutte.

Oggi in tanti ricordano banalmente lo scrittore, ma pochi rimpiangono l’intellettuale. Eppure è proprio in quell’ambito che Atzeni ha lasciato un vuoto che nessuno dopo di lui è mai riuscito a colmare. Perché si avviava ad essere per i sardi quello che per gli italiani è stato Pier Paolo Pasolini.

Atzeni stava creando quel ponte tra cultura e politica che serviva all’una e all’altra per essere realmente utili alla società. Il suo sforzo era teso anche a mettere in collegamento le ragioni della Sardegna urbana con quelle della Sardegna rurale, azione di mediazione straordinaria perché tra i due ambiti le incomunicabilità sono ancora troppe.

Sì, ne sono convinto e lo ripeto: se Sergio Atzeni fosse stato ancora fra noi, Cagliari e la Sardegna sarebbero state meglio di quello che sono ora. Ecco perché ci manca veramente.

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