UN LUNGO SILENZIO CHE PARLA: TRE ANNI FA, LA SCOMPARSA DI PAOLO PILLONCA

Paolo Pillonca

di TONINO OPPES

“…Il silenzio parla e Paolo ne è profeta…” con questa dedica mi era stato regalato anni fa il libro “Sardegna segreta Cronache del villaggio”, che Paolo aveva scritto per la Newton Compton nel lontano 1986. Lo avevo messo da parte, ben conservato, ma chissà per quale ragione non era finito insieme agli altri suoi lavori. Ritrovarlo, quasi per caso, è stato come avere tra le mani un’opera da leggere per la prima volta. E, allora, sfoglio, guardo le foto in bianco e nero di Marina Anedda e Banneddu Ruiu; infine, leggo lasciandomi guidare dai titoli.

C’è tutta la Sardegna dell’Interno, la parola villaggio compare più volte con le sue storie minime o “cellulari” come le chiamava Andrea Camilleri. Ci sono i nomi dei paesi ma potrebbero non servire, importano poco perché “le storie nella sostanza sono tutte riconducibili a un’unità economica e antropica”; eccoli alcuni titoli: Latte di mufla, Il figlio del pastore, Il villaggio al lavoro, L’ovile stregato, Il diavolo e le buone maniere, Il vento della barbarie, Le favole tristi, Il colore della speranza, ….

C’è nel libro la testimonianza di un cronista attento e capace di indagare fin negli angoli più remoti della notizia ma c’è soprattutto la sua idea di Sardegna e, insieme, un invito alla riflessione rivolto a chi (sardo ma non solo) vuole conoscere meglio un’isola misteriosa, ancora oggi “in bilico tra tradizione e civiltà tecnologica”.

Chiudo il libro e rileggo la dedica che cattura ancora la mia attenzione: il silenzio parla (dunque: silenzio e parola) e, poi, profeta.

Per ricordare Paolo, a tre anni dalla sua scomparsa, si può anche partire da qui.

“Il silenzio e la parola” è anche il titolo di un suo libro che si muove sui sentieri dell’anima sarda in cui i protagonisti, settimana dopo settimana, compaiono, tra la fine degli anni Novanta e il Duemila, sulle pagine della Nuova Sardegna.

Il silenzio è indispensabile perché apre le porte alla riflessione, è utile per ragionare e aiuta a non agire d’impeto; mentre la parola è dono che esce dal cuore e lui, come aveva ben sottolineato Franco Siddi, “dal silenzio di una vita ha tirato fuori le parole più giuste.”

Paolo Pillonca aveva tante passioni, due su tutte: il giornalismo e la poesia, che ha saputo coltivare con dedizione e professionalità, sempre ai livelli più alti. Da giornalista ha lavorato a lungo nella redazione nuorese de L’Unione Sarda fino diventarne il responsabile in uno dei periodi più bui per la nostra Isola legati al fenomeno del banditismo e dei sequestri di persona. Poi è stato capo ufficio stampa della Regione con ben quattro Presidenti, quindi collaboratore de La Nuova Sardegna, ancora de L’Unione, della Rai e dell’emittente Sardegna Uno, dove ha partecipato a dirette sull’ardia di Sedilo e a programmi sui temi della lingua. Ha scritto decine di libri, i più importanti li ha dedicati alla poesia estemporanea, ai protagonisti della poesia “a bolu”: nessuno ha fatto più di lui e nella materia è stato il più esperto e prolifico di tutti. Basti pensare alle numerose biografie, quasi tutte pubblicate con la sua casa editrice Domus de janas, a cominciare dall’opera omnia dedicata a Remundu Piras, il grande poeta di Villanova Monteleone, per finire con “O bella Musa ove sei tu?” cui ha lavorato fino agli ultimi giorni della sua esistenza.

Studioso di poesia, tanto da essere chiamato a svolgere una lunga serie di lezioni, sempre affollatissime, alla Facoltà di Lettere dell’Università di Sassari, ma poeta egli stesso, come confermano i suoi versi resi immortali da alcuni dei più apprezzati cantanti sardi, a cominciare da Piero Marras e Franco Madau.

Paolo Pillonca e Tonino Oppes

Era il ventisei maggio e la “sua” campagna profumava di timo quando Paolo ci ha lasciato.

Tace da tre anni la voce del cronista e molti premi di poesia, di cui è stato a lungo presidente di giuria, sono orfani della sua presenza. Tace la voce ma non la sua idea; non il suo lascito culturale che ancora vive nei suoi scritti, nelle tante testimonianze documentate in rete e nei racconti dei suoi amici più cari: i poeti, le donne e gli uomini dei paesi protagonisti assoluti, e spesso inconsapevoli, delle numerose Cronache del villaggio: questa è stata una delle sue battaglie più grandi.  Far parlare la periferia lontana, raccontare le vicende del popolo in presa diretta, fare emergere protagonisti nascosti e comprimari, spesso con storie di fatica, ma senza filtri o mediazioni esterne.

Insomma tutto questo si traduceva per lui in una cosa sola, una missione da compiere fino in fondo: dare voce al villaggio.

Perché la Storia della Sardegna, come diceva il suo amico Giovanni Lilliu, è storia di villaggi. E senza di essi l’Isola non sarebbe più la stessa.

PS. Un giorno un amico mi ha chiesto: “Ma, secondo te, Paolo, come avrebbe vissuto quest’ultimo periodo, se fosse ancora qui con noi?”

Credo con sofferenza, come la grande parte di tutti noi prigionieri del virus, ma anche con serenità e speranza. Lui era uomo paziente e saggio; avrebbe saputo attendere momenti migliori per riprendere la vita di sempre fatta, oltre che di studi, soprattutto di incontri e di relazioni. Di certo gli sarebbe mancato il contatto con la sua gente che, ovunque, lo ha sempre accolto con affetto e grande stima. Donne e uomini di ogni età lo ascoltavano volentieri, tutti gli facevano domande sui piccoli e grandi temi dell’identità e ottenevano risposte perché Paolo Pillonca era (e resta) un profeta di sardità.

Avrebbe impiegato il tempo “sospeso” che stiamo vivendo per scrivere ancora di poesia perché trovava sempre qualcosa di nuovo da proporre ai tanti lettori. Ma sarebbe stato severo con quanti, irrispettosi delle regole antiCovid, con il loro comportamento, mettono in serio pericolo la vita degli altri. Non avrebbe avuto parole tenere neppure nei confronti di quei pochi operatori sanitari che- nonostante il giuramento di Ippocrate e l’impegno solenne preso per la salvaguardia e il benessere dei malati – si oppongono al vaccino che pure la scienza medica ritiene indispensabile per sconfiggere il coronavirus.  Nella sua rivista Lacanas, avrebbe chiesto il silenzio ai tanti virologi dell’ultima ora che, sui social, continuano a pontificare su tutto con espressioni offensive e sgrammaticate che spesso fanno anche scempio della parola; ma si sarebbesoffermato, di sicuro, sulla gestione iniziale dei vaccini da parte della Regione che ha accumulato preoccupanti ritardi e stabilito primati  di cui non poter andare fieri; e, in uno dei suoi editoriali avrebbe invitato i lettori a riflettere –magari ripercorrendo i pensieri di Seneca e Sofocle, che lui aveva tradotto in Sardo – sul dolore della morte in solitudine come è accaduto, ahimè troppe volte, a chi, in piena pandemia, è andato via, per sempre, senza il dono dell’ultima carezza da parte dei propri cari.

E poi…, beh, avendolo frequentato, credo che avrebbe occupato parte del tempo libero a seguire il calcio e le vicende della sua Juventus. Chissà quanto avrebbe gioito alla notizia dell’acquisto di Cristiano Ronaldo (si è spento qualche mese prima che il fuoriclasse portoghese arrivasse a Torino) ma quanta sofferenza per i mancati successi in Champions! Per non parlare dei risultati al di sotto delle aspettative di quest’ultimo campionato. Ecco, credo, che in questa fase avrebbe spostato maggiormente le sue attenzioni calcistiche sul Cagliari che, dal punto di vista sportivo, rappresenta l’Isola intera. Un simbolo unitario di una Terra che lui ha sempre raccontato con grande amore. E pure con sofferenza, perché, a volte, nella vita, quello che ami ti fa soffrire.

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5 commenti

  1. Grande uomo il mio Paolo!!!

  2. Indimenticabile e ricorderò per sempre i suoi consigli. È stato un onore ogni volta c’era lui in giuria. Grande

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