TENUE CROMATISMO: CINQUANT’ANNI DI DIPINTI PER MARIO ZEDDA

di TONINO OPPES

Quadri ben meditati raccontano la pittura di un artista maturo che ama dipingere feste e paesaggi ma sa osservare anche i drammi dell’uomo e le cose minori della sua vita. L’intensa produzione del sassarese Mario Zedda, che si sviluppa per oltre cinquant’anni, si esalta da alcuni anni nelle marine silenziose e nelle processioni della Settimana santa dove si intrecciano religiosità e penitenza, fede e tradizione.

Dalla solitudine interiore ai luoghi della partecipazione collettiva: l’artista non disdegna le piazze, come quelle affollate della Barbagia nei giorni caotici del carnevale, o quelle sagre che esprimono la vita dei paesi dell’Interno e trovano il momento di maggiore intensità nelle spericolate ardie. Nei quadri di Zedda – cresciuto, come tanti della sua generazione, al prestigioso Istituto d’arte guidato da Filippo Figari – cavalli e cavalieri diventano un tutt’uno. Osservateli con attenzione e vi sembrerà di essere in mezzo alla festa e sentire i suoni forti degli zoccoli che picchiano sulla terra dura mentre attorno si sollevano nuvole di polvere.

Storie quotidiane ispirano la sua arte e diventano, con i ricordi, appunti su cui si muove un percorso pittorico cominciato all’inizio degli anni Sessanta nella sua città, Sassari. Si è appena diplomato quando viene chiamato dallo scultore algherese Tilloca a lavorare al grande pannello decorativo a bassorilievo nella sede della Società Elettrica Sarda in via Roma. Poi è un susseguirsi di mostre collettive e tante personali che lo porteranno in giro per l’Isola e in molte città della Penisola.

Alla fine degli anni Sessanta risalgono le stazioni ma, in particolare, le ciminiere della vicina industria: “Era una forma di denuncia per una realtà che, io intuivo, avrebbe creato effimeri posti di lavoro prima di lasciare il deserto. Avevo paura di quello che sarebbe accaduto poi… Ecco quei quadri appartengono a un determinato periodo storico e culturale. In Sardegna era in atto un profondo cambiamento sociale che ho cercato di raccontare, o se vuoi, di interpretare con le immagini impresse su tela. Così sono nate le periferie degradate e le ciminiere…e tutti quei quadri sono stati dipinti con colori cupi – caratteristici di un espressionismo violento – che rimarcano lo stato d’animo del momento.”

A metà degli anni Novanta un’altra svolta: Mario Zedda lascia l’insegnamento e si avvicina ai grandi temi della tradizione sarda e del folklore. Dipinge feste e traduce in immagini vecchi racconti popolari perché, dice, “tra la gente emerge il bisogno di stare insieme, di creare comunità” e questa esigenza viene documentata con colori quasi sempre tenui, con qualche tratto di astrattismo o di impianto metafisico, che soppiantano i quadri cupi della prima fase. Questa rimane la nuova cifra stilistica dell’artista che pure sperimenta altre forme di pittura riconoscibile per la grande varietà cromatica e la continua ricerca della luce che predomina in tutte le tele. Comprese quelle dedicate anni fa a Cagliari nella mostra ospitata nella ex galleria di viale Regina Margherita.

#lacanas

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