IL FORNO A LEGNA IN CASA E I FIGLI DA SFAMARE: IL PANE DEI PASTORI SARDI

di MARIA ELENA COSSEDDU

Nel centro della Sardegna, negli anni ’50, ogni famiglia aveva in casa un forno a legna per fare il pane. In una famiglia di 10 figli, come la mia, il pane carasau e la carne non potevano mancare. Il pane si faceva ogni 20 giorni 0 circa un mese; il procedimento per farlo era molto laborioso: si comprava il grano dal Campidano, la parte più a sud della Sardegna, poiché nella nostra zona c’era solo pastorizia e vendita di bestiame.
Il grano poi si portava al mulino per essere macinato con un contenitore chiamato “sa corvula”, l’ho portato pure io poggiato sulla testa attraverso un telo da cucina arrotolato.

Solitamente si lavoravano 50kg di farina con acqua tiepida, sale e lievito.  Ricordo che quando ero piccola il lievito era lievito madre ciò da noi la chiamano “sa madrighe” che tenevano ben custodita e in segreto; poi pian piano si è passato al lievito di birra senz’altro più pratico e veloce.

C’erano delle donne anziane che andavano a fare il pane nelle famiglie numerose ed erano molto abili ed esperte; si chiamavano “sas coghidoras”; a fine lavoro “sas coghidoras” venivano pagate e si occupavano loro di tutto. Di solito erano necessarie almeno due persone oltre la padrona di casa; ci si svegliava alle 4 del mattino io ho iniziato ai dodici anni, ed essendo una ragazzina mi svegliavano un’ora dopo. Si iniziava impastando in un recipiente di terra cotta chiamato “su mesudianu” e poi si metteva sul tavolo la parte ottenuta e si lavorava allargando con i pugni fino a quando non diventava liscia. Dopo di che la pasta veniva separata in forme tonde riposte in teli speciali lunghi 5 mt.

Questi teli erano fatti di tela grezza e molte famiglie addirittura avevano dei segni, ciò delle lettere lavorate a ricamo con delle iniziali appartenenti alla famiglia originaria con nome e cognome. Dopo che le forme di pasta erano state tutte sistemate, si prendevano e si spianavano con il mattarello e questo passaggio l’ho iniziava la donna più piccola della casa e poi le sfoglie si passavano di mano in mano fino ad arrivare alla più esperta che assottigliava la pasta fino ad ottenere una sfoglia tonda sottilissima. Intanto si procedeva ad accendere il fuoco in modo da riscaldare la stanza per la lievitazione si metteva tantissima legna al centro del forno perché il fuoco doveva essere sempre “vivo” fino al momento della cottura del pane. Le sfoglie si facevano lievitare per circa tre ore posizionate a due a due su una tavola di legno e nei panni grezzi sopra citati con una copertina tenendoli al caldo. Prima di cuocere il pane il fuoco veniva spostato da una parte, per permetterne la cottura. Dopo due ore si controllavano le sfoglie se erano pronte per la cottura. Si adagiavano su una pala di legno grande quanto la sfoglia e con un manico lungo; se il procedimento era stato eseguito bene, le sfoglie diventavano come un palloncino. A questo punto le sfoglie venivano tolte dal forno con “sa frochidda” un forcone di ferro leggero e una persona li vicina lo prendeva e lo divideva in due; questa procedura serviva per fare le forme “de su pane lentu” che adagiate su una tavola di legno, venivano impilate e pressate le une con le altre, e allineate per non perdere la loro forma originale. Dopo che tutto il pane era stato cotto, si eseguiva una nuova infornata che consisteva nella doratura biscottata; da qui la denominazione del “carasau” o carta da musica per la sua sottigliezza e croccantezza.

Si conservava in una cassa panca di legno che teneva inalterata per almeno un mese il suo profumo e la sua qualità. Era una festa fare il pane in casa si chiacchierava si scherzava sui fatti del giorno che facevano clamore nel paese essendo un paesino piccolino… Si sapeva tutto di tutti ricordo che c’era una sorta di gelosia fra le anziane coghidoras; la mia soddisfazione era quella di infornare il pane anche se non era affatto semplice restare seduta di fronte al forte calore del forno, a me piaceva ugualmente farlo e per accontentarmi mi lasciavano un po’ di pasta alla fine del lavoro e per me era una gioia immensa. Con il passare degli anni anch’io ho imparato alla perfezione a fare il pane carasau, fino all’età di 25 anni; dopo di che sono andata via dal paese per lavoro quindi non ho più ripreso questa esperienza del pane fatto in casa; personalmente è stata una parte della mia vita un’esperienza unica e un ricordo delle mie radici indelebili a distanza di 45 anni e più ne sento ancora il profumo.

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