LA MEDICINA PALLIATIVA: L’ONCOLOGA DENISE VACCA E L’ENERGIA DELL’ANIMO PER ALLEVIARE LE SOFFERENZE DEI MALATI TERMINALI

Denise Vacca

di FEDERICA CABRAS

Mettere tutta se stessa nella cura dei suoi pazienti: ecco il motto di Denise Vacca. Sono quindici anni che l’oncologa, esperta in vite palliative, dedica forza ed energia a far star meglio gli ammalati. E non si occupa solo, con grande dolcezza e professionalità, del loro corpo, affinché abbiano meno sofferenze – come spiegheremo, la medicina palliativa si rivolge alle persone che purtroppo non torneranno mai alla vita di prima –, ma offre un costante supporto alla loro mente, seguendoli in un percorso difficile senza lasciar mai loro la mano.  Parliamone con lei.

Il tuo è un lavoro straordinario. Ci spieghi quando e come hai deciso che avresti dedicato la tua vita alla porzione più fragile di persone, quelle che vedono scomparire ogni speranza dietro una diagnosi spesso molto tragica? Il mio lavoro è un lavoro. La straordinarietà ce la mettiamo noi, ad iniziare dalla concezione che abbiamo dell’essere umano, dal valore che gli attribuiamo in ogni sfera esistenziale (fisica, psicologica, spirituale, sociale) e del rispetto che riusciamo a conferire alla persona per ognuna di quelle dimensioni. Ho conseguito la specializzazione in oncologia, per l’idea iniziale di contribuire a curare e qualche volta guarire le persone con patologia tumorale. In realtà poi, un’opportunità lavorativa nel Nord Italia all’indomani della specializzazione (per assistere pazienti con bisogni assistenziali di cure palliative a domicilio) mi ha fatto calare in un mondo che ho deciso fare mio e nel quale identificarmi professionalmente.

In che modo offrite sostegno? So che le cure palliative non comprendono solo farmaci, ma anche grande vicinanza e sostegno sia per il malato che per la sua famiglia.  La medicina palliativa offre cure a chi non può più guarire. E nella fase terminale della vita, momento più o meno breve ma molto molto intenso, gli strumenti devono per forza attingere da un armamentario molto fornito. L’accudimento deve essere globale, e quindi globale l’approccio. Un’assistenza in cure palliative non può essere una distratta risposta sanitaria a situazioni disperate. Deve prevedere un approccio multiprofessionale. Deve saper impostare terapie farmacologiche, deve bilanciare la proporzionalità delle cure con la fase di malattia, la volontà dell’ammalato e il punto di vista della famiglia o comunque delle persone di riferimento per quella malato (che diventano insieme unità di cura). In questo processo o percorso di cura la parte relazionale con un’attenzione smisurata alla comunicazione risultano fondamentali.

C’è stato un momento difficile dove hai pensato: “Questa volta non ce la faccio”? Sì, ci sono i momenti difficili. Ma non sono legati al mio quotidiano interfacciarmi con la malattia severa e con la morte. Se non avessi avuto un’appassionata motivazione, un percorso formativo indirizzato e un incessante desiderio di conoscere meglio e sempre di più, avrei rinunciato a essere medico palliativista dopo una settimana…Le mie difficoltà nascono da quelli che sono i limiti strutturali, dal gap certe volte culturale, e quindi mentale tra ciò che so sarebbe giusto fare e ciò che riesco a fare o non fare.La non conoscenza del significato e del campo di applicazione reali della medicina palliativa ne impedisce la reale attribuzione d’importanza anche nelle strategie aziendali della realtà sanitaria, a scapito delle insufficienti risorse di operatori e di strumenti necessarie ad impedire diseguaglianze assistenziali anche sulla qualità di morte delle persone.

Il momento più bello, quello più colmo di gratificazioni? Posso fare un collage di momenti… Ottenere un soddisfacente (per il paziente) controllo di sintomi difficili da trattare o di disturbi ai quali non era stata data la giusta importanza. Lo stupore dinanzi agli ammalati coi quali si instaura una relazione empatica tale da poter ascoltare le loro paure, le loro eredità morali, le loro riconciliazioni con la vita. Il senso di sollievo che percepisci e che spesso viene verbalizzato nel momento in cui una famiglia vede entrare nella loro casa l’équipe di cure palliative. L’armonia con i colleghi e con gli infermieri. Le occasioni nelle quali posso dedicarmi alla mia formazione e ne esco arricchita di nuove conoscenze e stimoli. Il riscontro positivo delle persone nelle occasioni in cui mi cimento a divulgare la buona medicina delle cure palliative…

Spostiamoci sul fronte Covid-19. In che modo il vostro lavoro si è complicato, con l’avvento di questa pandemia? Se sì, in che modo? A marzo del 2020 siamo stati messi a dura prova. Si apriva uno scenario in cui sembrava dovessimo sovvertire l’essenza stessa del lavoro degli operatori in cure palliative: distanza, filtri, nelle strutture sanitarie solitudine. Ci siamo dovuti cimentare per colmare il nostro senso di frustrazione ma soprattutto sanare le prevedibili paure di chi non ci vedeva entrare nelle loro case con la stessa frequenza di poche settimane prima. Abbiamo intensificato i contatti telefonici, trascorrendo ore e ore al telefono, potendo contare sui preziosi infermieri miei colleghi, che nelle situazioni particolari continuavano ad andare dai pazienti. Noi stessi medici abbiamo sempre salvaguardato le visite a domicilio che ritenevamo necessarie.

Come vedi il tuo futuro?  Più che vederlo, cerco di prepararlo per la quota che può dipendere da me. Mi auspico che si raggiunga un livello omogeneo di cura in tutto il territorio con servizi capillari e operatori sufficienti, in un sistema integrato di rete di servizi di cure palliative che il buon senso ma anche le disposizioni di legge prevedrebbe (mi riferisco alla legge 38 del 2010, riguardante il diritto di accesso per tutti i cittadini italiani, alla terapia del dolore e alle cure palliative).

Per ragioni di sicurezza sanitaria, molte sono le persone che non hanno potuto presenziare al funerale dei propri cari. Nonostante venga vissuto con grande ansia, è un momento importante perché è un modo per dire addio a chi non c’è più, per fare propria la consapevolezza che il proprio amico/familiare è dall’altra parte e non tornerà. Queste persone avranno un senso di vuoto per sempre o è possibile lenirlo in qualche modo? Le restrizioni legate al rischio sanitario in corso hanno innescato una serie di ricadute che ci trascineremo per anni e forse per sempre. La difficoltà di assistere i propri cari ricoverati nelle strutture sanitarie ha amplificato il senso di impotenza e la sofferenza del distacco.  L’impossibilità di organizzare le cerimonie funebri ha contribuito a non realizzare parte di quei riti che servono all’uomo per elaborare gli eventi.  Sarebbe importante (ma in parte di sta facendo) che anche a distanza di tempo dalla morte si “celebri il lutto” per elaborarlo meglio.

Le donne hanno ancora molto da combattere per l’uguaglianza con gli uomini sotto l’aspetto lavorativo – e non solo. Tu sei una donna in carriera, hai dei bambini e riesci a far combaciare il lavoro con la famiglia egregiamente. Ti sei mai sentita additata o sfavorita? Cosa diresti ai datori di lavoro che negano un posto o una promozione a una donna che vorrebbe conciliare le due cose? In che modo questo antiquato e sciocco modo di pensare può essere cambiato? La mia non è una branca della medicina dove si assiste a una diseguaglianza di ruolo legata al genere, o per lo meno non l’ho mai percepita io. Non mi sono sentita sfavorita e io voglio essere diversa, perché lo sono, non pari, non più, non meno… Diversa. Forse si può tentare di cambiare qualcosa modulando anche la tensione su questa questione. Io non riesco a parlarne con facilità. L’essere donna non è un valore aggiunto… Capita! Il valore aggiunto è tutto ciò che contemporaneamente o in più spesso e volentieri riusciamo a fare.

Parlaci della Società dei Sogni, di cosa vi occupate – siete in tre a portare avanti il progetto – e di cosa quest’associazione rappresenta per te.  Società dei Sogni è la l’associazione di promozione della cultura che ho fondato con Barbara Corrias e Domenico Renna. È causa e conseguenza di molto di me da due anni a questa parte. L’ambizioso obiettivo è quello di promuovere cultura attraverso propagazione di “onde d’arte”, espressa in tutte le sue forme. I destinatari sono uomini e donne in ogni fascia d’età ed in ogni condizione sociale, anche laddove situazioni di fragilità creerebbero annichilimento, noi crediamo nella possibilità di un riscatto personale con ricaduta su chiunque manifesti la sensibilità di accostarsi.

In che modo arte, filosofia e medicina possono aiutare chi è in grave difficoltà? L’arte parla e ascolta allo stesso tempo (a chi la fa e a chi ne fruisce), la filosofia fornisce il pensiero critico utile a sviluppare le domande che ci attanagliano, la medicina noi la intendiamo nell’accezione più vicina all’uomo, in quella che veramente si prende cura anche quando non guarisce, che preserva, perché intrisa di umanità, la dignità della persona anche quando “il corpo -macchina” non funziona più tanto bene.

La domanda che non ho fatto è…? Esiste una maniera universale per perseguire il senso compiuto della nostra vita?

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14 commenti

  1. Ho letto l’intervista sentendo la sua voce che spiega sempre in modo esaustivo tutto. Ancora e sempre GRAZIE Denise!

  2. Grazie a te Silvia ❤️

  3. Grazie a Tottus in PARI per la costante attenzione. Grazie perché si fa “strumento” di divulgazione di argomenti che devono necessariamente essere affrontati. Anche questo è approccio di cultura, per la Sardegna e oltre ❤️.
    Grazie a Federica Cabras ,che per la seconda volta è mia generosa intervistatrice e come la prima volta attenta ad esplorare tematiche importanti ❤️

  4. Complimenti per l’articolo, che tratta un argomento delicatissimo e poco conosciuto, se non da chi ne ha avuto esperienza diretta. Complimenti a te Dottoressa Denise, per quello che sei e per quello che fai. ❤️

  5. Bellissime parola esperta in VITE PALLIATIVE e non in “”cura “” …argomento molto delicato e poco trattato …dottoressa Denise è un angelo che arriva nei momenti più neri della vita di chi resta e di chi và , è un arcobaleno di colori , per aiutare nell impotenza e alleviare la sofferenza ,non solo della vita che cura ma anche di quella che resta ,lo fá con un grande cuore , con tutta se stessa , con coscienza, tatto e gentilezza . Le parole sarebbero tante e tutte vane per quello che sei e per quello che fai …C è solo tanto da ringraziarti grazie …grazie ..grazie ❤❤

  6. Io ho avuto modo di incontrarla ad un convegno…..concordo un ciò che dice l articolo persona professionale ma allo stesso tempo dolce e premurosa .

  7. La fortuna dei pazienti e loro parenti che sono nelle sue mani è la fortuna mia, e non solo, di lavorarci insieme ❤❤❤ Non so molto ma quel che so è grazie a te Denise

  8. Pubblicate sempre articoli di spessore

  9. Io l’ho conosciuta quando veniva a casa mia per mia moglie, assieme alla dottoressa Carla de MONTIS due bravissime dottoresse.
    Soprattutto la dottoressa Denise Vacca è una bella persona è io le sono sempre riconoscente e orgoglioso di essere suo amico. Ciao dottoressa sei sempre brava in tutto quello che fai. Sei unica in tutto!!

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