CONOSCERE IL FUTURO, LA DIVINAZIONE IN SARDEGNA. IL FUOCO

di ALESSANDRA DERRIU

Conoscere il futuro è da sempre un’idea che affascina l’uomo, lo rapisce, lo illude. Dalla notte dei tempi diverse pratiche hanno accompagnato la Nostra Storia, tutte volte a svelare ciò che ancora doveva accadere. Non è nella natura umana sapere in anticipo il proprio destino, e se questo non accade, vi è una ragione. Conoscere la meta porta inevitabilmente ad influenzare il viaggio, a programmare le tappe, a gestire gli eventi, invece, la vita deve scorrere, il passato deve essere lasciato andare, il presente vissuto, il futuro arrivare.

Nonostante ciò la curiosità, il desiderio, l’amore, e spesso il dolore, la paura e la malattia, le sue debolezze, hanno spinto l’uomo a cercare di interpretare i segni del presente per avere premonizioni sul futuro. E di questo si tratta, di interpretazioni del futuro basate sul presente, letture della realtà, date, a volte, dalla conoscenza delle situazioni e delle persone, o da intuito e sensibilità particolari, intuizioni che possono mutare e mutano, come mutevole è il destino dell’uomo.

La divinazione, in Sardegna come altrove, ha avuto un’evoluzione storica e sociale. Prevedeva anche l’utilizzo di pre­ghiere-orazioni di varia natura e della meditazione: si ricer­cava la guida e l’aiuto degli spiriti dell’oltre tomba, vicini al mondo altro dove il tempo non aveva più segreti, dove non c’era più passato, presente e futuro; la necromanzia (dal greco nekros, defunto) si basava sull’interrogazione dei morti, ma questa invocazione era molto pericolosa e poteva aprire la strada all’in­tervento di demoni che si presentavano come spiriti di defunti. Dalla necromanzia si passò poi alla negromanzia (dal latino nigrum, nero) e la divina­zione assunse così una caratterizzazione più chiara di magia occulta. Praticata dai Babilonesi, dai Greci, dai Romani e dagli Ebrei, nonostante fosse condannata anche nella Bibbia, sopravvive alla caduta dell’Impero Romano e, seppure vietata dal Cristianesimo, dal Medioevo arriva fino al Rinascimento.

Da questa visione negativa della divinazione nasce l’idea delle profezie come inganni del demonio che si insinua nell’animo umano, illudendolo e deviandolo, attraverso le idee ed i pensieri che ac­compagnano ogni lettura e vaticinio. Il demonio (ognuno ha il suo o i suoi), diviene poi un’idea fissa, una risposta da sapere, che invece non deve essere rivelata, ed è giusto così.

La piromanzia era l’arte antichissima di interpre­tare il futuro attraverso l’osservazione delle fiamme del fuoco, la direzione ed il comportamento, la forma, il colore.

Grandi falò illuminavano le notti primor­diali dei tempi antichi nella Nostra Isola, nei quali si adoravano le di­vinità della Natura ed il fuoco, come l’acqua, era un elemento temuto e rispettato. Il fuoco, forte e vigoroso, era un dono degli Dei, da rubare agli Dei.

La luce è stata da sempre per l’uomo un simbolo di conforto, ma ancor più ha significato la rappresentazione di un grande potere divino: sim­boleggia la saggezza, l’illuminazione intellettuale, la conoscenza, opposta alle tenebre dell’ignoranza e all’oscurità del male.

È la stessa luce divina che l’uomo porta in sé, una scintilla che lo guida nella sua spiritualità, l’anima immortale che non si spegne con la vita del corpo: una luce a volte tremolante e lieve ma sempre presente, nelle difficoltà e avversità della vita. Dai poteri attribuiti al fuoco e dai significati che porta con sé nasce la pratica della sua osservazione e venerazione.

Inizialmente le sacerdotesse e le scia­mane interpretano grandi falò accesi di notte, dalle alte fiamme, e dalla potente forza. Secondo le leggende, le janas dominavano il fuoco e la sua potenza, ed avevano il dono della profezia. Rappresentazioni simboliche del fuoco si ritrovano all’interno delle domus de janas, elemento della vita quotidiana, finti focolari che ardevano nelle case per l’aldilà.

Quando la notte viene illuminata dai falò, e poi dalle torce e dalle candele, è dalla loro lettura che si prosegue a studiare i segni del futuro. Molti significati erano attribuiti al modo e alla velocità di consumarsi della cera, al fatto che la fiamma si spe­gnesse o durasse fino all’esaurimento.

La candela, fonte di luce e simbolo di conforto nell’oscurità delle tenebre, illuminava anche l’oscurità del futuro ed era più semplice del fuoco da utilizzare nei rituali, per questo divenne la pratica della divina­zione per eccellenza.

Le candele diventarono elemento principe nelle pratiche magico – religiose e in quelle religiose, pre­servando inalterato nei rituali l’elemento fuoco come lo era stato nella notte dei tempi, fino a noi.

Dalla funzione primaria di fornire luce nei riti che si svolgevano prevalentemente la notte, la candela entrava poi nell’uso comune diventando elemento guida, permettendo l’illuminazione dello spirito e la sua concentrazione. Il fuoco della candela viene in­terpretato e studiato ed è l’elemento che illumina la divinatrice e le permette di entrare in contatto con gli spiriti dell’aldilà, con i morti prima, poi con i Santi, con il mondo dell’oltretomba. La stessa luce che accesa indica la strada ai defunti, guida chi è chiamato a tornare, a parlare dal regno dei morti, indica la stra­da di collegamento tra i due mondi.

Il fuoco è dunque una porta di accesso, come, come le domus de janas, come le janas.

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