UN TEMPO GENTILE, L’ULTIMA FATICA LETTERARIA DI MILENA AGUS

Milena Agus

di SERGIO PORTAS

Ci voleva l’incosciente (si fa per dire) coraggio di Milena Agus per dare al suo ultimo libro il titolo di: “Un tempo gentile”, visti i tempi che ci tocca di vivere. Ma lei è notoriamente una scrittrice, una che sogna le storie e se ne innamora scrivendole. Seguendone gli arcani meccanismi che le fanno muovere, per vie traverse di percorsi autonomi, con digressioni e sottolineature che seguono per lo più i misteri che l’inconscio custodisce, sino che i sogni della notte non trabocchino per sazietà d’immagini e si palesino in sfuocati ricordi al sole del mattino. La scrittrice cagliaritana ( per la precisione nata a Genova da genitori sardi emigrati, ma ritornati presto nell’isola assieme a lei bimba) è capace di tingere la sua scrittura di un alone  di soavità, di leggerezza, mi verrebbe da dire di sonnambulismo, per riallacciarmi alla metafora freudiana di cui sopra, uno stato comunque che l’abilita a trattare argomenti di stretta attualità, a volte anche scabrosi, senza che i toni del suo discorrere si alzino di livello, quasi che la drammaticità del vivere abbia in sé sufficienti argomenti per esprimersi, senza che ci sia bisogno di calcare la mano. E’ facile trovare esempi di quanto vado dicendovi, davvero basta aprire a caso uno dei suoi libri, in “Ali di babbo” a pag.36: “ Nell’albergo di madame c’è un fantasma che la insegue per tutta la casa sghignazzandole dietro e sussurrandole in modo malvagio che tanto non la vorrà mai nessuno, che gli uomini dopo essersela scopata, neanche se la ricordano, perché gli esseri umani amano i vincenti, non quelli che soccombono, come lei, che potrebbe vendere la terra e la casa e diventare ricca e invece non ne vuol sapere”. “La contessa di ricotta” a pag. 29 (aperto sempre a caso): “La contessa di ricotta sarebbe insegnante, ma non riesce a finire una supplenza. Non ha mai amato la scuola, si sente soffocare e torna pallida e dice che gli studenti sono troppi e le aule polverose e lei gli spiega tante cose che però loro non trovano interessanti e iniziano a farle scherzi e a prenderla in giro e a tirale palline di carta quando è girata verso la lavagna o a fare delle voci di animali e lei non capisce mai chi è”. E qui vale ricordare che la Agus è insegnante di storia e italiano in un istituto tecnico di Cagliari. E scommetto che a lei i suoi studenti di palline di carta non ne hanno tirato mai. In “Sottosopra” si legge a pag.32: “Una volta in cui lui è uscito vestito a nuovo lei subito mi ha chiamato al telefono: “Corri alla finestra, chi su meri  é bessendi tottu allicchiriu”. Allora sono corsa in cucina e l’ho visto, una volta tanto sistemato per bene, ed è anche meglio dei bellissimi vecchi e famosi, tipo Sean Connery, o Clint Eastwood, o Paul Newman, perché ha un fisico asciutto, nonostante le porcherie che mangia”. Sempre per inciso vale la pena di ricordare che codesti suoi “libriccini” sono tradotti in una ventina di lingue, a seguito naturalmente del successo planetario del suo “Mal di pietre”, persino Wikipedia l’enciclopedia libera della rete (che ha appena compiuto vent’anni, auguri!) gli dedica una “voce”: “…libro del 2006. Si tratta di un romanzo breve che affronta i temi della scrittura, della diversità e della ricerca dell’amore, una “quiete” che percorre tutta una biografia e che in alcuni passi si distingue per una dimensione erotica abbastanza pronunciata”. Di questo ultimo suo “Un tempo gentile” (edito da Nottetempo, come tutti gli altri del resto) anche Laura Marzi sul “Manifesto”: titolo dell’articolo: “Se la vita riaffiora intorno a un rudere abitato dagli “invasori”, scrive che l’autrice riesce nella prova difficilissima di trasformare un tema politico come quello dei migranti in una storia semplice, usando il suo sguardo docile e spietato, la sua scrittura morbida e accattivante, serenamente ineccepibile”.

Ora è noto come il problema dei “migranti” fosse di gran lunga il preponderante facitore di carriere politiche (leggi Orban, Salvini, Trump), e di titoli in prima pagina dei quotidiani nostrani prima che venisse sotterrato (insieme a qualche milioni di poveri cristi) dal virus che tutti condiziona. Per una lettura scevra da sentimentalismi consiglio “Una storia scritta coi piedi, migrazioni, asilo, accoglienza” Rita Coco (giurista), Roberta Ferruti, giornalista, Recosol editore. Renata Puleo che lo recensisce su “Le Mond diplomatique” del 22 gennaio scrive che “la sfida delle autrici è di andare oltre il chiacchiericcio retorico cresciuto intorno alle innumerevoli pagine scritte e sottoscritte dai governi sui Ditti Umani ( di cui il filosofo ZiZek ha fatto giustamente strame).  Il problema delle migrazioni, da sempre caratteristico di una specie in cammino, oggi si tinge delle tinte cupe dell’estrattivismo neoliberista, del “land grabbing” (leggi accaparramento di terre), e soffre della confusione del tema securitario, nella torsione giuridica dei DASPO, della equiparazione fra migrante, vagabondo, accattone. Affrontare tali aspetti impone scelte tanto coraggiose da risultare rivoluzionarie”. Ci vorrebbe davvero una rivoluzione per superare anche il terrore che i “migranti notoriamente tutti no-vax” ci possano riportare in casa un virus, magari mutato, nella nostra Europa di prossimi tutti vaccinati. “Mala tempora currunt”. E a vedere quei miserabili che in Bosnia, a migliaia, da anni, dormono all’addiaccio sotto zero, a virus circolante, viene da pensare che veramente: pietà l’è morta (una canzone partigiana di Nuto Revelli del ’44). Ma non è con gli occhiali della pietà che Milena Agus guarda al problema, lei semplicemente racconta cosa succede in un “corno di forca di paesino” del campidanese centrale ( leggi Marmilla) quando arrivano “gli invasori” dirottati lì per un qualche errore, in attesa di poter approdare alla vera Europa. Che è evidentemente altra cosa dalla Sardegna anche per codesti emigranti, fra loro al solito c’è un qualche plurilaureato, che storce il naso alla prospettiva di passare i prossimi anni della sua vita a coltivare ortaggi. E’ un coro plurale di “vecchieggianti” quello che narra, quasi un coro da tragedia greca, “abitanti di un paese di bicocche e strade che si stavano sgretolando, di vecchie case rimodernate con blocchetti di cemento e alluminio anodizzato “ (pag.14). “I migranti, che chiamammo subito invasori, paesani giovani non ne trovarono. Qui non nascevano più bambini, per questo avevano tolto perfino le scuole elementari. I nipotini, per chi li aveva, crescevano senza conoscerci, perché vivevano lontano e non venivano mai a trovare i nonni”. (pag. 16). “ I nostri figli emigrati li sentivamo al telefono: “Non possiamo venire, abbiamo da fare qui, cercate di comprendere. “Sì, sì, capiamo” Invece non capivamo ed eravamo offesi” (pag.18). E’ il problema che attanaglia i paesini di pochi centinaia d’abitanti della Sardegna centrale, e tutte le cosiddette aree interne. Non una cosa da poco, i demografi sono gente che maneggia i dati come ora stanno facendo i virologi a ogni ora del giorno, non è che si siano tutti tramutati in indovini: è che se a politiche invariate ( leggi non si fa niente di niente per invertire il trend negativo),  in un paese continuano ad esserci più morti che nati e in più una emigrazione “giovane” che non si ferma, nel giro di trent’anni questi paesi non esisteranno più. Spariti, cancellati, da farci in loro vece…un bel sito nazionale per scorie nucleari! ( Pietro Casula, su Sardegna soprattutto, ne scrive in modo mirabile). Per tornare al nostro romanzo, le vecchieggianti incuriosite dagli invasori (finalmente una novità in paese!) litigano con buona parte della popolazione impaurita e ostile, lo stesso coi propri mariti “ non c’era un solo argomento di cui si riuscisse a discutere senza azzuffarsi”. “Neppure sulla solidarietà della nostre madri potevamo contare, in quella situazione. Rimpiangevano di non averci picchiato abbastanza da piccole. A loro, frustate con la “zirogna” (nerbo, frusta), non sarebbe mai venuto in mente di mettersi contro i mariti per della gente “mai bida e mai connotta”, mai vista e mai conosciuta, che non gli rappresentava nulla” (pag.52). L’incontro con l’altro è giocoforza un parlare di tutto, religione compresa, e niente risulta scontato, se c’è qualcuno che cinque volte al giorno stende il suo tappeto sdrucito e, rivolto alla Mecca, prega il suo Allah “…Said Amal invece era diventato ateo. Laggiù, in Siria, aveva sperato inutilmente nell’aiuto di Allah, pace e libertà. Peccato che la ribellione al regime fosse finita nel sangue, si fossero dovuti arrendere e ora non avessero più un luogo che potessero considerare casa loro” (pag.74). Succedono cose mai sentite prima, una degli invasori che ha subito stupri prima di poter sbarcare da noi è incinta, e partorisce: “…E’ brutto come il peccato” consideravamo sempre dopo una visita al neonato. E di chi è figlio, diceva Devota, se non del peccato? A chi deve somigliare, se non a suo padre?” (pag.159). Niente derive politiche o retoriche, non c’è nelle “vecchieggianti” nessuno strascico di pietà, e poca anche la compassione (cfr.Laura Marzi, art. cit.). Finisce che gli invasori se ne vanno per la loro strada. E “ricordando il nostro addio, il giorno in cui ci lasciammo, pensiamo che non fu un granchè” (pag.189). “ S’erba a pagu a pagu adi interrau tottu/ e no ti beniada mancu de penzai/ chi omminisi e femminasa/ proppriu ingunisi, arrianta in pari/ castiendu una matta florida”. (pag.195) Sono versi di Tonino Guerra posti in esergo: Il cavallo di Ulisse: “L’erba piano piano ha sepolto tutto/ e non ti veniva neanche da pensare/ che degli uomini e delle donne/ proprio lì, appena un anno prima, ridevano insieme/ nel guardare un albero fiorito”.

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2 commenti

  1. Bravissima scrittrice, ho divorato i suoi libri!

  2. Ciao! Sono Milena Agus e non so come ringraziarvi, Sergio e voi di Tottus in pari, per questa meravigliosa recensione di Un tempo gentile! Grazie di cuore

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