TANTO TEMPO FA … IL SASSARESE GEROLAMO ARAOLLA, UN VISIONARIO DEL CINQUECENTO

di MATTEO PORRU

Gerolamo Araolla fu uno e trino, e il fu è d’obbligo per un cantore vissuto tanto, ma tanto tempo fa. Abbastanza da poter usare “C’era una volta”. Perché quest’uomo, che scrisse in sardo, italiano e spagnolo, venne al mondo a Sassari. Quando? Non si sa. Non ci è dato saperlo. La storia non ce l’ha tramandata, la sua data di nascita. Ma ci ha lasciato un mondo di altre storie, nate dalla testa di un uomo visionario nel Cinquecento.

Sì, avete letto bene. Da quel che sappiamo, Gerolamo Araolla nacque (e nacque benissimo, in una famiglia nobile di Sassari) nel primo ventennio del sedicesimo secolo. Come tutti i figli dei nobili del tempo, studiò letteratura e filosofia prima in Sardegna e poi a Bologna, dove ingigantì i suoi orizzonti personali e culturali.

Era un cittadino modello, moderno, poliglotta, influenzato da Dante, Petrarca e Tasso.

Si avvicinò al neoplatonismo, alla patristica. E scrisse. Per emulazione, per se stesso, per capire cosa ci fosse dentro le parole o, meglio, i versi. Strinse rapporti con tante figure di spicco della cultura bolognese e sassarese e non le perse nemmeno quando decise di avviare la sua carriera ecclesiastica. Perché? Forse per vocazione, forse per avere un introito fisso, forse per la voragine economica in cui erano sprofondati gli Araolla.

Di fatto, però, quando arrivò all’ufficio di Bosa, Araolla toccò con mano le crepe fra lingue e dialetti e non trovò motivo di dubitare che la poesia potesse rimarginarle. E infatti, in tutta la produzione (vastissima) dell’Araolla ci sono italiano, spagnolo, sardo. Di più. Se in Toscana si cercava il fiorentino illustre, Gerolamo cercò il logudorese illustre e lo vuole teorizzare come un linguaggio elevato, ponderato.

Lo cercò in maniera esplicita in un poemetto, pubblicato come sussidio pastorale, “Sa vida, su martiriu et morte dessos gloriosos martires Gavinu, Brothu e Gianuari”, dove il dialetto dimostrò tutta la sua duttilità. Il testo conta duecento quarantaquattro stanze e ben più duemila versi, nel quale l’autore mitizza le vite dei martiri turritani; Anche nelle “Rimas diversas spirituales”, di ispirazione religiosa e diversa non a caso, si scontrano tanti temi religiosi ed esistenziali, tanti linguaggi e tanti modelli, gli stessi che ha seguito da studente, gli stessi che lo accompagnarono sempre.

E c’è un fine, grande, importante: magnificare et arrichire sa limba nostra sarda. Araolla scrisse di tutto, dai pensieri alle prediche. Quando morì? Non si sa, forse alla fine del sedicesimo o nei primi anni del diciassettesimo secolo. Forse non morì mai davvero, l’uno e trino che, in una lingua, ne mischiava tre.

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Un commento

  1. SCHMITT Claude

    “Italiano, spagnolo, sardo” cosi scriveva Araolla. E anche francese si potrebbe dire oggi perché lo fa scrivere cosi il traduttore Claude Schmitt nella sua silloge tradotta dall’antologia di Manlio Brigaglia “Il meglio della grande poesia in lingua sarda” (Vedi “Les Grands Classiques de la poésie en langue sarde”, Parigi, L’Harmattan, 2020).
    Claude Schmitt

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