GIUSEPPE BROTZU, L’AMMINISTRATORE DELLE SCELTE CORAGGIOSE: LA STORIA DI UN MEDICO, DI UN POLITICO E DI UNO SCIENZIATO DI SARDEGNA

Giuseppe Brotzu

di FRANCISCU SEDDA

Tutti conoscono “il Brotzu”. Più difficile è che sappiano chi è stato e cosa ha fatto Giuseppe Brotzu, colui da cui il più importante ospedale sardo prende il nome.  Brotzu fu molte cose, ma è soprattutto una storia, una di quelle storie incredibili e incredibilmente istruttive. Tanto più oggi, quando la morsa del virus, della crisi e di una politica non all’altezza sembra condannare la Sardegna ad un abisso di cui non si vede il fondo. Una storia di genio scientifico, ambiguità morale, cecità politica. Un nugolo di contraddizioni, tipiche della Sardegna degli ultimi cento anni. Ma andiamo con ordine.

Quella di Giuseppe Brotzu è la storia di un medico e di uno scienziato che in una Sardegna a cavallo fra le due guerre mondiali, nel pieno di una crisi economica e morale ben peggiore di quella attuale, riesce a vedere ed estrarre il positivo dove a quasi nessuno verrebbe di cercarlo: nelle acque inquinate del porto di Cagliari, là dove scaricano le fogne della città. È lì, infatti, che osserva i ragazzi più poveri fare il bagno. Senza ammalarsi. Possibile? Come fanno a resistere al tifo e alla salmonellosi? Quale segreto custodiscono loro e l’ambiente in cui vivono?

Brotzu, che allora è rettore dell’ateneo cagliaritano e fra le altre cose dà corso all’espulsione dei docenti ebrei voluta dal fascismo (senza che dalle carte pervenuteci emerga qualche forma di travaglio morale) studia e prova, sbaglia e riprova, fino a quando nel 1945 scopre le cefalosporine. Sono loro che impediscono ai batteri di proliferare nell’acqua di Su Siccu. E da loro si originerà una nuova generazione di antibiotici, capace di salvare la vita a milioni di persone nel mondo. Tutto bene quel che finisce bene (anche considerata la caduta del nazifascismo)? Non proprio.

A sviluppare fra il 1951 e il 1961 la ricerca che porta agli antibiotici, e poi a vendere il brevetto a case farmaceutiche (ancor oggi fra le maggiori) che ne trassero immensi profitti, furono altri studiosi (britannici) a cui Brotzu inviò il micete da lui individuato. Perché lo fece? Perché non portò lui avanti la ricerca? Perché le richieste di finanziamento per fondi e attrezzature inoltrate a vari Ministeri – in primo luogo Sanità e Pubblica Istruzione – e al Centro Nazionale delle Ricerche, furono completamente ignorate. E dunque non ebbe materialmente la possibilità di far fruttare, in ogni senso, la sua scoperta.

Maledetta politica e maledetto Stato, dunque? Anche qui, non proprio. Perché Giuseppe Brotzu fu un politico. E non marginale. Prima fu eletto in Consiglio regionale nelle liste della Democrazia Cristiana nelle fasi della nascente autonomia. Poi, dal 1949 al 1955 fu nientemeno che Assessore Regionale all’Igiene, alla Sanità e alla Pubblica Istruzione. Infine, dal 1955 al 1958 fu addirittura Presidente della Regione Autonoma. In seguito concluse la sua lunga carriera politica come sindaco di Cagliari dal 1960 al 1967.

Viene da chiedersi: possibile che da Presidente della Regione Autonoma non riuscisse a farsi ascoltare dai ministeri italiani? Già qui si aprirebbe una riflessione su quanto lo Stato sia stato e sia ancora un freno allo sviluppo della Sardegna. Ma il punto è un altro, che spalanca la voragine della pochezza dell’autonomia e dell’autonomismo: c’era proprio bisogno di aspettare che fosse lo Stato a finanziare quelle ricerche? Non poteva e doveva essere l’istituzione sarda a farsi carico di quella scoperta, degli sviluppi necessari, degli eventuali profitti? Possibile che proprio a Brotzu, che aveva nelle mani tanto il sapere scientifico quanto il potere politico, non venne in mente che oltre al destino “sanitario” di milioni di essere umani poteva mutare anche quello “economico” del milione e mezzo di persone che lui era chiamato a rappresentare? Sta di fatto che se dalla Sardegna, dai suoi bassifondi, emerse qualcosa che salvò tante vite nel mondo alla Sardegna e alla sua gente non toccò quella prosperità che una scoperta così grande poteva garantire.

Fatto salvo l’incredibile merito scientifico di Brotzu (che fu infine candidato al Nobel per la medicina) viene da sospettare che in quest’opportunità mancata c’entra il fatto che il Brotzu politico fosse un uomo di destra, un autonomista profondamente italiano. Un uomo che non credeva nelle potenzialità di quella gente che da scienziato aveva saputo osservare con così tanta cura. Un politico che non credendo nel diritto della Sardegna di provarci con le proprie forze, di affermarsi nel mondo emancipandosi dalla perversa tutela dell’Italia, finì per privare i sardi di quella possibilità che così genialmente aveva fatto emergere.

A Brotzu viene attribuita questa frase: “io faccio amministrazione, non politica”. Forse fu anche un buon amministratore. Forse, ancor più, un buon esecutore di ordini altrui. In ogni caso la sua storia ci insegna che gli amministratori autonomisti non bastano. La nostra terra ha bisogno di grandi persone, capaci di scelte coraggiose, capaci di produrre grande scienza e grande politica al contempo: ha bisogno di ricerca scientifica e inventiva politica di altissimo livello. O, se preferite, d’inventiva scientifica e ricerca politica tanto visionarie quanto condivise. E tutto ciò non può avvenire se si agisce senza un proprio pensiero indipendente e con le mani legate, felici di agire solo su delega e ordine altrui; se pur essendo protagonisti di un fatto enorme – scoprire il positivo perfino dalle condizioni più avverse – poi non si ha fiducia in se stessi, nel proprio popolo, nella sua capacità di emanciparsi facendo fruttare il positivo. Vale in generale ma vale ancor di più in tempi di crisi sanitarie, ecologiche, umanitarie, economiche: non ci bastano amministratori “per conto terzi”. Ci serve una politica per i sardi e la Sardegna. Solo così le intuizioni più geniali, le ricerche d’avanguardia, i saperi da Nobel possono non solo emergere ma divenire occasioni colte, per cambiare in profondità la vita dei sardi e il destino della nostra terra.

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