DESTINAZIONE SARDEGNA: NON C’E’ MIGLIOR AGENZIA DI PROMOZIONE DELL’ISOLA DI UN SARDO CHE E’ EMIGRATO

di ALBERTO MARCEDDU

Di dove sei? Italia. Di dove? L’isola, Sardegna.  Sicilia? No, Sardegna.  

È sempre questa la risposta che si riceve quando si parla dell’isola sarda ad un extraeuropeo. Nessuno ci conosce, eppure siamo al centro del Mediterraneo. Siamo al quarantatreesimo posto tra le isole più grandi al mondo. 

Siamo ciambella nel Mediterraneo, siamo il buco della ciambella nel Mediterraneo. Siamo l’impronta del piede di Dio, durante le mareggiate della sua collera. Non era sufficiente l’insularità, ad allontanare i 377 comuni sparsi in un territorio troppo vasto, le distanze chilometriche, che ahimè diventano incolmabili quanto prima che le distanze, vi sono vuoti molto più profondi da colmare. 

Vuoti che anche se restituendoli, nemmeno un grazie, vuoti che qualsiasi tipo di iniziativa, è linfa  per i nostri borghi, è come una dose per un tossicodipendente, sollievo momentaneo. Il vuoto dei paesi si chiama Paesitudine, neologismo che asserisce un mix tra solitudine da paese e inquietudine da monotonia. Nei paesi è facile essere infelici, è difficile essere innovatori, ognuno fa quello che ha sempre fatto e come si è sempre fatto, si vive un senso di ripetitività ad oltranza. In paese se ne sono andati tutti, perfino chi è rimasto. 

La disoccupazione ha raggiunto livelli altissimi. Mentre la media in Europa è del 6,7% della popolazione, in Sardegna il dato è del 14,7 %. La disoccupazione giovanile in Sardegna nella fascia tra i 19 e 24 anni, da Febbraio 2020 è aumentata di 500 mila unità, raggiungendo il 31,1%, contro la media europea del 15,2%. 

La prospettiva è drammatica, se pensiamo inoltre, che le ricadute economiche e sociali della crisi sanitaria attuale avranno ripercussioni negative che incideranno pesantemente sui dati attuali e sulle proiezioni future. 

Assistevamo a una continua fuga dei giovani nel periodo precedente alla pandemia, cosa accadrà quando ritorneremo ad una vita normale?  

C’è chi scappava anche per fare il lavapiatti, viveva pagando affitti e spesso faceva rientro nella sua terra, povero come quando era partito, più ricco umanamente. Ma si sa, la ricchezza interiore, non compra niente. 

Oppure, quelli che chiamano brutalmente cervelli in fuga, quasi a giustificare il loro alto livello di preparazione e come dire che coloro che rimangono, hanno un pizzico in meno di cervello. Quasi fargliene una colpa dell’essere troppo qualificati per poter ricevere un incarico, come a dire che le poltrone con incarichi importanti sono ricoperti da cittadini comuni, poco qualificati. 

C’è chi fugge per necessità, chi fugge per ambizione personale, imparare nuove lingue, acquisire nuove competenze e l’intenzione di stabilirsi in una nuova nazione. 

C’è chi parte con lo scopo di crescere, per ritornare con un bagaglio da stiva e non con un bagaglio a mano. Un bagaglio di conoscenze, di competenze, di esperienze, di gioie e dolori da condividere. 

Chi parte lo fa anche senza nessuna ambizione, fugge per sofferenza, nel subire passivamente la lentezza del paese, la Paesitudine, che è si un valore da preservare, ma aprirsi al mondo e scoprire la velocità delle idee fa si che chi ritorna al paese, scoprirà di conoscerlo per la prima volta. 

Solo chi parte sa cosa lascia, ma non sa quel che trova. E chi parte, ritorna con maggiori consapevolezze verso ciò che ha lasciato, e vede i luoghi con un nuovo sguardo. 

Si può quindi affermare che spesso non è solamente una questione di lavoro, ma una condizione psicologica e sociale. Memorizziamolo: colui che parte non è un codardo e colui che rimane non è un “balosso”. E’ con un nuovo sguardo che salveremo la nostra isola. 

Del fenomeno dello spopolamento si parla tanto ma si fa poco. Le soluzioni e le cure le stanno cercando attorno a un tavolo piuttosto che insieme alle persone. Abbiamo uno sguardo rivolto verso la grandezza del mondo, non considerando il circostante, ciò che sta sotto ai nostri piedi. 

Non vi sono paesi destinati a morire sin a quando vi saranno persone decise a viverci. Non esistono paesi morti, esistono paesi senza progetti.

E allora creiamo una nuova destinazione, chiamiamola destinazione Sardegna, chiamiamo i nostri conterranei, sparsi in tutto il mondo, nelle ambasciate, nei circoli, colleghiamoci e facciamo rete.  Creiamo una Sardegna anche nelle altre nazioni, nessuno dovrà più tornare se nessuno vorrà più partire. Chi partirà lo farà per pura necessità di conoscere il mondo, partirà con la Sardegna nel cuore, e sarà i nostri occhi, le nostre orecchie e la nostra voce in terra straniera. 

In Italia nel 2017 si contano settantadue circoli dei sardi, per più di 50 mila persone. In tutto il mondo nel 2017 se ne contano quarantatré, distribuiti in sedici nazioni. (Dati regionali sardiniaeverywhere, aggiornati al 2017).

Non c’è miglior agenzia di promozione del sardo che vive all’estero. Questa è la vera salvezza. Costruire una Sardegna nel cuore di chi rimane e nel cuor di chi parte. Lottiamo per il diritto di poter decidere e scegliere il luogo in cui vivere. 

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4 commenti

  1. I circoli sardi contenitori di promozione della cultura e del turismo verso la Sardegna.

  2. È verissimo, perché possiamo vederla da due prospettive completamente diverse: quella del viaggiatore entusiasta e quella di chi ci è cresciuto e ha trascorso lì l’epoca dei sogni d’infanzia e di giovinezza.

  3. Già lo sappiamo, è uno degli scopi del Circolo Nuraghe di Losanna

  4. Claude SCHMITT

    Anche un “sardo di cuore” è una buona “agenzia di promozione” (almeno io credo di esserne una…).
    Claude SCHMITT

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