RICORDO DEL POETA E SINDACALISTA ORGOLESE PEPPINO MAROTTO (1925-29 DICEMBRE 2007) A 13 ANNI ESATTI DAL SUO ASSASSINIO

di PAOLO PULINA

Oggi 29 dicembre 2020, #AccaddeOggi: 

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=3581010985330567&id=100002651030605 ha riportato questa notizia: «29 dicembre 2007 – viene trucidato con sei colpi di pistola alle spalle, in pieno giorno ad Orgosolo, il poeta e attivista sardo Peppino Marotto. Già militante comunista, negli anni ’50 finì in carcere, dove iniziò a scrivere poesie. Nel 1966 tornò ad Orgosolo dove continuò la sua attività politica e come sindacalista nella CGIL. Lo ricordiamo come uno dei più importanti poeti e cantanti popolari sardi del dopoguerra. Tra le sue opere ci sono “Su pianeta ’e Supramonte”, 1996, “Testimonianze poetiche in onore di Emilio Lussu”, 1983, “Cantones Politicas Sardas”, 1978».

In questa giornata, a 13 anni esatti dal suo assassinio, voglio riproporre l’introduzione che ho scritto nella pubblicazione a mia cura che raccoglie gli interventi dell’incontro memoriale “Peppino Marotto a Santa Cristina e Bissone: ‘Una cosa mi mancava: il calore della mia gente’: atti del Convegno tenutosi il 18 maggio 2008”, Santa Cristina e Bissone (Pavia), Museo Contadino della Bassa Pavese, 2009, pp. 44.

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UNO (30 dicembre 2007). In un articolo per il quotidiano di Pavia, “La Provincia Pavese”, del 7 dicembre 1985, passando in rassegna, a vantaggio dei lettori pavesi, le opere dello scrittore Giuseppe Fiori, invitato dal Circolo culturale sardo “Logudoro” di Pavia a presentare la sua biografia di Emilio Lussu intitolata “Il cavaliere dei Rossomori” (Einaudi), mi è capitato di accennare alla breve esperienza di lavoro in terra pavese  vissuta da Peppino Marotto. Così scrivevo:  «Nel 1968, nel pieno del malessere della società (italiana e internazionale) di cui sono sintomo le rivolte degli studenti, Giuseppe Fiori dà alle stampe, presso Laterza,  un libro che sembra tradire nel titolo, “La società del malessere”, un abbandono delle tematiche sarde a favore di una riflessione sociologica su fenomeni nazionali e internazionali (in contrapposizione, tanto per intenderci, alla conclamata “società del benessere”): invece no, si tratta ancora una volta di storie sarde legate alle cronache dei sequestri di persona e al diffondersi di una allarmante disgregazione sociale, che dai paesi dell’interno comincia a lambire i centri urbani. Tra i vari racconti, può essere di qualche interesse per i lettori pavesi quello di Peppino Marotto, arrivato a 38 anni, nel 1963, da Orgosolo a Santa Cristina e Bissone (piccolo comune a 20 chilometri di Pavia, con meno di 2000 abitanti), per farvi il mungitore e, in seguito, fermatosi alla frazione Lambrinia di Chignolo Po (sempre in provincia di Pavia) prima in una piccola fonderia artigiana e poi in una grande fattoria: “A trentanove anni ho sposato una ragazza di Orgosolo, è salita a Lambrinia, sono stati due anni buoni. Ma inutile. Fisicamente vivevo a Lambrinia, con l’animo ero ad Orgosolo. Mi sembrava di essere diviso in due, difficile spiegarlo … Una cosa mi mancava: il calore della mia gente… Qui ad Orgosolo ero conosciuto come dirigente politico, già l’essere emigrato mi sembrava una fuga…Ora ho ripreso ad occuparmi della Camera del Lavoro».

Ora che Marotto, a 82 anni, è stato vilmente freddato alle spalle nella “sua” Orgosolo, queste sue parole acquistano un raggelante suono sinistro.

Con sgomento cerco e ritrovo altri due documenti relativi a Marotto, valido e apprezzato poeta e cantore in lingua sarda. Il primo è un Disco del Sole del novembre 1969: Peppino Marotto e un coro di Orgosolo cantano “Sa bandiere ruja (la bandiera rossa). Nuove canzoni di Orgosolo”: due sonetti (uno sulla dignità del montagnino in cella; un altro su Gramsci), una serie di brevi “muttettos” e una lettera in terzina al fratello della Lombardia.

A Gramsci sono dedicate anche numerose “cantate” in sardo raccolte da Marotto nel volume  “Su pianeta ’e Supramonte” (il pianeta del Supramonte), pubblicato dalle edizioni Condaghes nel 1996,  con importanti testimonianze sul poeta di Paolo Pillonca, Pietro Sassu, Tonino Cau e Giuseppe Fiori  (il quale ricorda che Franco Cagnetta, autore di una famosa “Inchiesta su Orgosolo” pubblicata dalla rivista “Nuovi Argomenti” nel 1954, aveva riservato uno specifico capitolo a Marotto). 

Con una poesia in rima Marotto onora la memoria di Guido Rossa, il sindacalista ucciso a Genova dalle Brigate Rosse;  con  una quartina  tratta e tradotta in italiano da questa composizione e adattata a Marotto disinteressandoci della rima, vogliamo commemorare questo battagliero difensore dei diritti  dei deboli e infaticabile sostenitore delle ragioni della poesia: “Quando il piombo del vile sicario / ha trapassato il corpo di Marotto / onore gli hanno reso nella fossa / come a un eroe leggendario”.

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DUE (19 maggio 2008). Nel pomeriggio di domenica 18 maggio 2008, il Circolo culturale sardo “Logudoro” di Pavia e il Museo Contadino della Bassa Pavese hanno commemorato Peppino Marotto a Santa Cristina e Bissone, in cui il sindacalista e poeta, vigliaccamente assassinato alla fine di dicembre 2007, aveva lavorato per qualche tempo come mungitore.  Nel 1963, a 38 anni, Marotto aveva dovuto abbandonare la Barbagia e cercarsi un’occupazione in provincia di Pavia (da Santa Cristina si era trasferito nella frazione Lambrinia di Chignolo Po per lavorare prima in una piccola fonderia artigiana e poi in una grande fattoria, dove era stato raggiunto anche dalla moglie).

Dopo due anni in Lombardia, Marotto non aveva saputo resistere al richiamo della natìa Orgosolo, che egli volle far diventare il luogo privilegiato del suo impegno politico e della sua passione sociale e civile e l’oggetto del suo amore di sardo barbaricino e di poeta in limba.

Dopo i saluti di Gesuino Piga, presidente del Circolo “Logudoro”, Giuseppe Francesco Gallotti, sindaco di Santa Cristina, e Osvaldo Galli, presidente del Museo Contadino, hanno espresso il proprio compiacimento per la possibilità loro concessa di rendere onore alla memoria di Marotto, la cui  breve appartenenza alla comunità locale  non ha lasciato tracce a livello di documentazione amministrativa né ricordi tra le persone attualmente residenti. In particolare Galli, artefice con altri appassionati di una pregevolissima collezione di strumenti e di testimonianze scritte e orali della civiltà contadina della Bassa Pavese (che ha ricevuto il sigillo formale del “riconoscimento” come “raccolta museale” da parte Regione Lombardia), ha voluto sottolineare il fatto che la manifestazione è stata inserita tra quelle con cui  le strutture culturali del paese hanno inteso partecipare all’iniziativa “Fai il pieno di cultura. Incontri e spettacoli in luoghi straordinari” che nei giorni 16-17 e 18 maggio ha coinvolto la quasi totalità delle biblioteche e dei musei lombardi.

Personalmente ho ricostruito il percorso attraverso il quale è stato recepito in provincia di Pavia, e in particolare naturalmente a Santa Cristina e a Chignolo, il mio articolo  in ricordo di Marotto uscito in diversi giornali sardi. Si è manifestato un certo interesse alla “scoperta” del personaggio Marotto e per l’individuazione delle persone che possono averlo conosciuto in terra pavese. Non è escluso che in futuro l’omaggio a Marotto possa avvenire anche con l’esibizione di qualche gruppo di cantori sardi (“Coro a tenore di Orgosolo”, di cui è stato per molti anni “voce” e portavoce; o i “Tenores di Neoneli”, che gli hanno dedicato recentemente a Milano un concerto-spettacolo). Per intanto, è da notare che a Santa Cristina era presente anche Francesco Piras, figlio del più grande poeta improvvisatore della Sardegna, Remundu Piras, che a trent’anni dalla scomparsa è stato celebrato il giorno prima a Melzo per impulso del Circolo sardo di Carnate, che a lui è intestato.   

Paolo Pillonca, che ha avuto una lunga frequentazione amicale con Marotto (un suo  scritto, insieme a  quelli di  Pietro Sassu, Tonino Cau e Giuseppe Fiori, compare, come ho detto,  nel volume che raccoglie  le “cantadas  in limba” del poeta orgolese  “Su pianeta ’e Supramonte” – Il pianeta del Supramonte -, pubblicato dalle edizioni Condaghes nel 1996)  ha voluto insistere su un concetto: l’eredità meno caduca di Marotto è affidata non tanto alle sue poesie “cantate” in sardo (alle quali va comunque riconosciuto il merito di aver popolarizzato i temi della battaglia politica e sindacale della sinistra italiana e mondiale) ma alla sua voce, al suo timbro vocale.

L’importanza della voce di Peppino Marotto: vogliamo fare nostra questa osservazione concreta di Pillonca anche in un preciso senso culturale: come impegno di ricerca volto al  recupero e alla valorizzazione del maggior numero possibile  di perfomances vocali  di Marotto. È questo il modo migliore per restituirgli quella “voce”, in senso materiale e in senso metaforico, che gli è stata tolta così brutalmente.

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2 commenti

  1. Si era saputo poi chi lo avesse ucciso? Era un uomo gentile e interessate, ho avuto il privilegio di conoscerlo e di discutete von lui a Parigi e in Sardegna. Che peccato!

  2. Ero una bambina quando l’ho conosciuto in quel piccolo paese del Pavese.
    Faceva il mungitore in una cascina. Mio padre (classe 1922), l’aveva accolta a casa nostra. La sera veniva a trovarci e loro parlavano, parlavano.L’ospitalità a casa mia è sempre stata sacra.Poi, da ragazza ho scoperto la Sardegna. Così durantee uno dei tanti viaggi ho pensato di andarlo a trovare. Vedermi l’aveva commosso e per il giorno seguente mi ha invitato a pranzo a casa sua. Non vi dico cosa c’era sulla tavola!
    In seguito haa scritto a mia mamma una bellissima lettera che ancora conserviamo. Aveva capito tutto, in un tratto diceva:”ho visto tua figlia felice con il suo ragazzo”.Quel ragazzo è diventato mio marito ed è stato una amore grandissimo. L’ho perso causa la prima ondata di Covid 2020. Mi si è ribaltato il mondo addosso. Forse se avessi avuto anche una parola di Peppino so che mi avrebbe detto le cose giuste riguardo la vita e la morte. Ritorno al ricordo di Sardegna. Ci aveva accompagnato nei boschi e ci insegnava di piante, di tane degli animali (domus nanei). Era orgogliosissimo della sua terra!Una terra magica per me. Ci sono ritornata per diversi anni e forse ci tornerei a vivere, solo per mettermi su uno scoglio e guardare quel mare incredibile, sentire i venti che cambiano e espandono l’odore di mirto. Peppino, sono orgogliosa di mio padre che in quella pianura un pò chiusa e diffidente ti ha aperto la porta: un poeta è entrato in casa nostra! Chissà se mai tua figlia leggerà queste parole. Non so come rintracciarla ma le mando un abbraccio forte e sincero. La modalità in cui è avvenuta la tua morte mi ha spaventata. Ma chi ha potuto agire così. Le persone si guardano in faccia e anche se sono arrabiate devono far fuori le loro ragioni con la parola, con l’intelligenza. Avere opinioni diverse può arricchire il mondo, non distruggerlo.Addio Peppino, che la terra ti sia lieve.

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