S’ANTICU AFFETTU CHI NON MORIT MAI: “IL CAMMINO LENTO DELL’OMBRA”, L’ULTIMA FATICA LETTERARIA DI BACHISIO BANDINU

Bachisio Bandinu (c)Alessandro Cani

di FRANCESCO MARIANI

Bachisio Bandinu, bittese, laureato in lettere e scienza delle comunicazioni sociali, autore di tantissimi saggi e romanzi, protagonista di infiniti convegni, antropologo molto noto al pubblico della Sardegna, ha ultimato la sua ultima fatica “Il cammino lento dell’ombra”. Libro pubblicato dalle edizioni Maestrale.

Nei suoi saggi, spesso Bachisio ci ha educati ad una introspezione che riguarda il nostro vivere ma anche un passato che ritorna nel presente. Per esempio, nel libro sulle maschere c’è tutta una riflessione proprio sul simbolo e sul significato dell’ieri che ritorna oggi. Qualcosa del genere c’è anche in questa sua ultima pubblicazione.

Che cos’è quest’ombra che accompagna Frantziscu, nato in un paesino, poi andato nella grande città nel nord ed infine ritornato in Sardegna, un po’ la tua autobiografia? «La biografia è soltanto un pretesto narrativo per creare l’ordine del discorso, perché io non sono molto bravo nella ricchezza della narrazione sono un appassionato di poesia più che di romanzo, però mi serviva per una struttura narrativa che è un’espe- rienza di vita ma non coincidenza tra scrittura e vissuto. Mi è servita per poter dire di me ma anche, soprattutto, di questa ossessione e di questa liberazione. Il personaggio più importante non è Franziscu, è proprio l’ombra, qualcosa che c’è con noi e a volte ci sta a fianco, a volte ci indica la strada, a volte ci sta dietro e in qualche modo ci perseguita. Io narro di questa ombra già presente al momento della nascita, poi smarrita nel luccichio della città, infine recuperata nel rientro, nel vissuto nuovo e inedito eppure tradizionale dell’esperienza di vita».

Una volta, parlando della casa dove si nasce, “de sa domo” distinguevi nettamente tra casa e appartamento. Quest’ultimo si compra, si vende, si cambia. “Sa domo però est s’anticu affettu chi non morit mai”, ci da l’imprinting. L’ombra nasce, viene alla luce con questo imprinting, con queste coordinate spazio-temporali? «È proprio così. L’ombra è in rapporto alla luce e guai se ci fosse solo luce senza ombra e guai se c’è solo ombra nella vita. Questo contrasto crea un contro campo tra luce ed ombra o una forma di chiaro-scuro. L’adombramento è un insieme di sensazioni, percezioni, immaginazioni. “Sa domo” era l’articolo determinativo, la casa non una casa. L’appartamento non ha questa singolarità, appartiene al generico. Essa è la maggiore trasfor-mazione antropologica della Sardegna in questi ultimi 40 anni. Di mezzo c’è il passaggio da “Sa domo” all’appartamento, a “sa villetta” al mare e al posto letto del turismo marino».

Chi è “Talla” l’indovina? «È un personaggio reale del vicinato a cui le donne, le madri e mia madre, portavano spesso il pasto, sola e non in buona salute. Io andavo da Talla con qualcosa che mi dava mamma e lei mi regalava sempre qualche piccola cosa, tipo una mela cotogna. C’è un rapporto vero e enigmatico con questa donna che aveva anche la capacità di cantare le ragazze quando erano fidanzate e anche di profetizzare in maniera oscura l’avvenire per esempio mio o di una bambina. Talla è un personaggio autentico, mi appartiene e fa parte del rapporto tra luce ed ombra, tra silenzio e parola».

Bitti il paese da cui si parte, poi Milano, la metropoli che incanta e infine il ritorno. Nel ritornare, l’ombra è un po’ delusa eppure sorride? «Il ritorno è un altro viaggio, nuovo, inedito. Scopre che qualcosa è cambiato non solo nelle abitudini, nelle tradizioni, nella comunità. È cambiato proprio il personaggio che rientra dopo aver vissuto un’altra esperienza molto differente. C’è tradizione e novità. Avviene una richiesta di relazione che se, per un verso, ti fa capire la differenza tra i due mondi, ti fa vedere anche i punti di contatto, arricchisce perché vedi con occhi nuovi e scopri pregi che prima non avevi visto. Ricchezze incredibili e purtroppo non riconosciute, non valorizzate, non espresse compiutamente. Un po’ ti fa stizza perché mentre Milano realizza tutto ciò che pensa, dice e fa, invece in Sardegna c’è solo un parlare. A Milano il detto era “un problema si pone per essere risolto” altrimenti non ha senso porlo, mentre da noi sul problema si insisteva senza venirne a capo».

A proposito di potenzialità inespresse, tu insisti molto sul linguaggio degli oggetti. Il vestito non è una cosa che non parla. Il vestito parla, racconta ed ha infiniti significati, ha un suo linguaggio. «Il problema è creare una dialettica positiva tra tradizione e modernizzazione. Io credo che una modernizzazione costretta, obbligata, ci livelli. Ieri con la petrolchimica e oggi con lo sfruttamento a nostro danno dell’energia eolica e solare, con le varie forme di imparaticcio. A Bitti distinguiamo tra modernu e moderneddu. Su moderneddu è uno che si atteggia a moderno ma prende i lati negativi della tradizione e della modernità. C’è da creare una relazione positiva tra la tradizione e la modernità, non vederle come contrastanti per cui la modernità arriva e ci dice: “Ma svegliati, sei antiquato”. Una violenza che disumanizza perché poi a cosa mi aggrappo se mi uccidi l’umanità, a sa modernitate come astrazione? Ci sono due espressioni differenti e bellissime: Et, et. Questo e quello depene istare impare e no fachere sa gherra, insomma l’ombra è questa coniugazione, questa contemporaneità tra ieri e oggi, tra il linguaggio delle cose e il linguaggio dell’uomo, la memoria delle cose»

per gentile concessione de https://www.ortobene.net/

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