I LUOGHI DEL CUORE DI ELVIRA SERRA, GIORNALISTA E SCRITTRICE AFFERMATA: BARBARICINA NELL’ANIMA, VIVE A MILANO DOVE E’ FIRMA PRESTIGIOSA AL ‘CORRIERE DELLA SERA’

ph: Elvira Serra

di PIER BRUNO COSSO

Anche se sei nato in Sardegna potresti non conoscere Osilo, e sarebbe un peccato.

Osilo svetta su una delle colline più alte intorno a Sassari. Sui motori di ricerca in rete trovi tante pagine della sua storia gloriosa: di quando era la città più importante di tutto il Nord Sardegna, e di come adesso non arrivi a tremila anime, ed è un peccato. Nelle pagine della rete Osilo si segnala per i tessuti pregiati, i ricchissimi ricami artistici, e la produzione di formaggi di qualità. Anche se adesso sembra tutto un po’ più dimesso, un po’ più silenzioso, ed è un peccato.

Osilo, zeppo di storia, per le rovine di un nobile castello, che fu austero, con le mura ricamate dalla nostalgia in vecchi brandelli, che resistono imperterriti dalle battaglie dal Medioevo in qua; perché la nobiltà dimentica, ma della nobiltà non ci si dimentica.

E Osilo, adagiato sulla cima di una collina racconta di sé così, e non importa se ci sei mai stato o se non l’hai mai sentito neppure nominare, perché è lì, più in alto che possa, che scruta, che si lascia scorgere da lontanissimo, e che sa stare anche in silenzio. Sta in silenzio perché poi, invece, ha una voce davvero potente: la voce dell’arte e della cultura.

Un filo dorato che fa diventare prezioso un drappo nero e il segreto artigianale del misterioso passaggio da latte a formaggio, hanno in comune questa voce pacata e profonda. La stessa voce di quel sorriso che sembra spuntato per caso nel loro viso quando ti accolgono perché sei salito fin lì in macchina, o eroicamente in bicicletta.

Ma non è questo; Osilo è una cultura intrinseca che non è necessario sbandierare.

Osilo infatti è anche uno dei premi letterari più prestigiosi in Sardegna per opere edite, giunto alla sua quattordicesima edizione. Ed il primo premio, l’ambitissimo “Libro dell’anno”, quest’anno è stato assegnato a Elvira Serra per il suo Le stelle di capo Gelsomino (edito da Solferino nel 2019).

Elvira a Osilo

Incontriamo la famosa giornalista e scrittrice nella Terrazza di Osilo, allestita per la cerimonia del premio. È una rovente serata di fine luglio, forse la più rovente, con la tipica brezza refrigerante di alta collina stasera scacciata con prepotenza da un persistente alito di vento infuocato.

Dalla Terrazza si scorge quasi mezza provincia di Sassari: Porto Torres sembra lì, e subito il grandissimo specchio di mare del Golfo dell’Asinara, con la grande isola che sbuca dalla foschia del caldo umido solo con pochi tratti del suo profilo; e poi Alghero che si intuisce soltanto, persa dietro le basse colline della pianura della Nurra; finché la vista spazia verso sud senza altri ostacoli che non quel vapore di caldo stagnante. Immediatamente sotto invece lo sguardo si infrange sui tetti scuri, segnati dal tempo, e sulle due case dove ormai il solaio è sfondato lasciando allo scoperto l’intimità di una casa che non è più casa. È tutto qui, in questo contrasto di tetti nuovi e soffitti crollati, e di sguardi che devono frugare lontanissimo per trovare la linea dell’orizzonte, offuscata, ingrigita, e un po’ triste. È tutto qui, in quel sapore antico dai colori sfumati, in quel silenzio profondo con la voglia di infinito, in quel senso di precario non ancora compreso che trovi le emozioni di un “luogo del cuore”.

Elvira, non sembra anche a te un luogo del cuore? Uno di quei posti che ci passi lo sguardo e ti corrisponde subito dentro? Eri mai stata a Osilo? Che sensazione ti dà tutto questo spazio aperto? Questa è la mia prima volta a Osilo e sì, sembra di essere in un luogo senza spazio e senza tempo, che racchiude l’essenza della nostra Isola. Lo sguardo che offre dall’alto permette di riconnetterti immediatamente alla Terra e al Cielo. Sicuramente vale il viaggio anche solo questo panorama a 360° dalla terrazza dove siamo io e te.

A Milano, dove vivi da tanti anni, hai un luogo simile, ovviamente con una morfologia molto differente, ma che per lemozione che ti dà potresti chiamare luogo del cuore? Un luogo a me molto caro a Milano è il Parco Sempione, con i suoi magnifici alberi secolari. Lì basta restare seduti su una panchina e respirare, per trovare un po’ di pace e di calma. Di Milano amo certi palazzi antichi e la bellissima integrazione che sono riusciti a fare tra passato e futuro a partire dall’Expo, che ha trasformato la città nell’unico vero capoluogo mitteleuropeo d’Italia.

Non ti chiedo se ce lhai anche in Sardegna, per te sarebbe troppo facile, e poi hai già dichiarato che sarebbe Capo Comino. Hai già svelato che questo bellissimo angolo di Sardegna, scorre sotto mentite spoglie in tante pagine del tuo libro Le stelle di Capo Gelsomino. E quindi questo tuo luogo del cuore” è mare? Solo mare? O anche libertà e ricordi? Capo Comino è il mio luogo del cuore perché rappresenta più che un luogo geografico una stagione della vita: la mia infanzia. Mi fa entrare immediatamente in contatto con le mie radici, prima ancora che con i miei ricordi. Mi riporta alla famiglia, al mare, alla roccia, ai lecci. A quello in cui mi riconosco come sarda.

Intanto ringraziamo Elvira Serra per la fresca simpatia con cui ha subito accettato di mettersi in gioco per i lettori di TOTTUS IN PARI, rivista che ci dice di conoscere e apprezzare: benissimo, annotiamo a margine che se i lettori di TOTTUS sono tutti importanti, talvolta ce ne sono anche di molto famosi. Infatti Elvira Serra (prendiamo dalle note ufficiali), è una firma del Corriere della sera, per il quale si occupa di cronaca e costume e intervista grandi personaggi. Ha curato per cinque anni la rubrica “La forza delle donne” sul settimanale “F” e scrive sul blog “La 27esima ora”. Ha pubblicato tre romanzi: L’Altra (Mondadori 2014), Il vento non lo puoi fermare (Rizzoli 2016), e Le stelle di Capo Gelsomino (Solferino 2019), con cui ha vinto il Premio Letterario Osilo 2020, appunto.

Dalle tue note biografiche vediamo che sei sarda (nuorese), ma anche milanese. Una domanda odiosa che non ti faccio e non ti farei mai è se ti senti più sarda o milanese. Infatti io credo che lamore per i luoghi dove stai, o sei stata, non si divida, ma si moltiplichi. Così se ami un posto, e lo ami totalmente, dopo ne puoi amare un altro con la stessa intensità, aumentando i tuoi sentimenti, non dividendoli. Allora ti chiedo se e come ti sei innamorata di Milano, dando per scontato che la Sardegna sia sempre un pezzetto del tuo cuore. Mi dispiace correggerti, ma non sono milanese. Sono sarda. E non “di origini sarde”, come specificano alcuni. Lo dico con immensa riconoscenza per Milano, che mi ha accolta, dato un lavoro, alimentato e valorizzato il mio talento. Milano per me rappresenta la cultura del merito, dell’impegno, l’apertura al mondo e i mezzi per raggiungerlo. Però, senza nulla togliere al mio amore per la città in cui ho scelto di vivere, se devo qualificarmi insisto: sono sarda, barbaricina, nuorese di Monte Gurtei.

Bellissima risposta, di sarda e di donna. Però cosa ti manca di Milano quando sei in Sardegna? Torno per talmente pochi giorni che cerco di godermeli senza sentire troppa nostalgia di Milano! In generale, quello che amo della mia vita a Milano sono gli stimoli, una certa competitività intesa come sfida a migliorarsi, gli scambi con gli altri, le trasferte, il mio lavoro, la quotidianità. Il weekend del 7 marzo ero in Sardegna per il compleanno di mia madre, un compleanno speciale: 80 anni. Proprio quel sabato sembrava che dovessero chiudere la Lombardia a causa del coronavirus, e subito dopo, invece, tutta l’Italia è entrata in lockdown. Il 9, quando sono riuscita a rientrare a Milano, che era diventata quasi l’epicentro del virus, sono stata felice di essere nella mia casa, tra le mie cose. Mi dava un senso di ordine e di sicurezza, nel disordine sanitario e psicologico che aveva appena investito il nostro Paese. Essere a casa, e sentirsi a casa, naturalmente non hanno niente a che vedere con l’identità: quella, penso di averlo chiarito, è sarda!

Chiarissimo; invece quando sei a Milano tieni nella tua scrivania una fotografia, un oggetto, o, a casa un ricordo e un sapore che ti portino alla nostra Isola? La Sardegna ce l’ho nel cuore. La trovo lì ogni volta che mi manca. In fondo non è molto lontana… Poi, però, lascio i miei piccoli indizi, come Pollicino nel bosco: l’adesivo con i Quattro Mori è sulla targa della mia auto e dietro la sedia della mia scrivania al lavoro. A casa ho una bellissima cassapanca fatta da un artigiano nuorese che purtroppo è scomparso: me l’hanno regalata mia madre e mia sorella quando ho comprato l’appartamento. Ecco, quell’angolo, con un quadro di Graziano Cadalanu raffigurante una donna in abito tradizionale sardo, fa subito Sardegna…

Staccarsi dalla Sardegna costa caro? Nel senso è una bella base di partenza per conoscere, arricchirsi, oppure dalla nostra isola si fugge? Mi è costato quel primo viaggio che sapevo sarebbe stato definitivo, la partenza per fare lo stage al Corriere della Sera, dove sono arrivata il primo luglio del 1999. Nel mio romanzo “Il vento non lo puoi fermare” ho cercato di trasferire il momento in cui i miei genitori mi hanno accompagnata a prendere la nave a Golfo Aranci nella pagina in cui i genitori di Elias, il protagonista, lo accompagnano al porto di Cagliari. Non posso dimenticare le loro figure che si rimpicciolivano sempre di più, aggrappate una all’altra. In quel momento avevo il cuore spezzato, ma ero determinatissima a onorare i sacrifici che loro avevano fatto per permettermi di salire su quella nave e inseguire il sogno di diventare una giornalista del primo quotidiano d’Italia.

Adesso chiudi gli occhi: esci bendata da un aereo che è appena atterrato. Aprono il portello e sbuchi mezzo passo avanti nella piattaforma della scaletta. Non lo sai, perrché non lo puoi vedere, ma sei in Sardegna, da cosa te ne accorgeresti? Dal profumo dell’aria, elicriso e sale.

Spesso nei luoghi comuni delle barzellette si raffigura il sardo che assorbe subito fraseggi e accenti del luogo dove si trasferisce. Tu che sei una autorevole osservatrice dei costumi, come te lo spieghi? Perché, vanno bene le storielle, ma in fondo è vero che non abbiamo difese immunitarie verso le contaminazioni culturali. Assorbiamo, non so perché, forse per natura. Oppure pensi che possa essere legato alla nostra apertura mentale, con una naturale predisposizione ad accogliere lesterno? E spesso innamorarcene? A me pare piuttosto che manteniamo un bell’accento, ovunque nel mondo! Non siamo tutti come l’adorabile Kevin Pirelli interpretato da Jacopo Cullin ne L’uomo che comprò la Luna…

Milano è triste e frenetica! O no? Milano non è triste. È un po’ frenetica. È molto bella. La tristezza è nel cuore di chi guarda.

Una cosa mi incuriosisce molto: dove scrivi? Cioè nei panni di scrittrice stai alla stessa postazione di giornalista? Oppure per scrivere un libro hai bisogno di un contatto molto diverso con te stessa, che trovi meglio in un altrove? Scrivo nell’unico tavolo che ho in casa, quello della cucina-sala. Quando posso, vado a casa di qualche amico, se è vuota. Spengo il cellulare e accendo il computer. Non scrivo mai in redazione. Sono attività separate.

Nei tuoi libri prendi dalla realtà, dal tuo vissuto, dai racconti delle persone che incontri, e poi rielabori con la fantasia, oppure la storia ti sgorga dentro incontaminata così com’è e la ancori alla realtà con qualche riferimento? Prendo spunto da qualcosa che ho visto, sentito, incrociato, la faccio crescere dentro di me e poi le permetto di svilupparsi come vuole. È un processo affascinante, del tutto simile a una gestazione. Senti un baccello di vita dentro di te che poi diventa una storia autonoma e indipendente e infine un libro con una copertina, uno spessore, una identità magari diversa da quella che avevi immaginato. Nel momento in cui arriva nelle mani del lettore cambia ancora: il romanzo è di chi lo legge, non più di chi lo ha scritto.

Una domanda che faccio spesso agli scrittori che intervisto: hai davanti a te Maria Antonietta, bellissima ragazzina nuorese di quattordici anni, coi capelli ricci e occhi che perforano, le puoi spiegare tu che leggere è meraviglioso? E la vuoi motivare ad arricchirsi leggendo il tuo bellissimo Le stelle di Capo Gelsomino, che così Cara Maria Antonietta, la mia piccola Chiara ti piacerà, avete tante cose in comune: forza, curiosità, e una mamma e una nonna con cui misurarsi. Leggi la sua storia e poi dimmi se ti è piaciuta.

A un primo contatto mi sei sembrata: determinata, ma che si sa commuovere, pronta a capire e accettare con curiosità quello che ti circonda, ma con una mano pronta sulla sciabola. Su quattro ne ho azzeccato almeno mezza? Correggimi, se vuoi, e aggiungi una tua piccola cosa che hai fatto e che ti descrive meglio. Ci sei andato vicino, ma non esagerare: ho la sciabola qui di fianco!

Ti ringraziamo tantissimo per esserti messa in gioco per noi e ti auguriamo di cuore di, parafrasando un nostro detto che trova riscontro in tutte le nostre radici linguistiche, realizzare tutti i tuoi desideri. Grazie, salutiamoci con un arrivederci.

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2 commenti

  1. Grazie a Pier Bruno Cosso e agli amici di Tottus in Pari che sono sempre generosi nell’occuparsi di me 🌺🌺🌺

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