OGGI SERVIREBBE UN GIORNALISMO SARDO AUTOREVOLE, CHE NON C’E’, CONTRO LE MINCH**ATE DEI GIORNALI ITALIANI

di VITO BIOLCHINI

C’è una campagna di stampa orchestrata contro la Sardegna? C’è qualcuno che, temendo le performance turistiche della nostra isola strombazzate dal presidente della Regione Solinas (che parla di “sette milioni di presenze”, chiaramente tutte da verificare, giacché i dati o sono pubblici o non sono e Solinas non ha fornito alla stampa alcuno straccio di riscontro) la vuole affossare per favorire altre regioni? 

La questione è tutta qui: c’è un piano contro di noi oppure siamo banalmente vittime di un giornalismo superficiale, che si è manifestato prima con la presunta indiscrezione pubblicata dal Corriere della Sera (ma subito smentita dalla politica) secondo cui il governo Conte stava pensando di “chiudere” la Sardegna, poi con il nefasto titolo di apertura di Repubblica di ieri (“Virus, la Sardegna spaventa”)?

Il Corriere e Repubblica non sono due giornali qualunque, e le reazioni a questi due atti di giornalismo sono stati duri e diffusi. Non circoscritti alla  élite politica, per intenderci: in Sardegna hanno fatto incazzare proprio tutti, senza distinzione di appartenenza.

Quindi, dove sta la verità?

Per quel “tribunale dell’opinione” che è Facebook (ma anche secondo alcuni stimati osservatori, come Anthony Muroni, di cui segnalo il suo “Il turismo in Sardegna va, dà fastidio a qualcuno?”) la bilancia sembrerebbe pendere sul piatto della prima ipotesi, con la Sardegna che potrebbe essere vittima di un piano predisposto per danneggiarla.

Non ho prove per smentire, ma sinceramente neanche per confermare questa ipotesi che mi sembra più suggestiva che altro. Ciò che invece ho più volte toccato con mano nel corso della mia quasi trentennale carriera giornalistica è che i miei colleghi “continentali” (che però stavolta vorrei chiamare proprio “italiani”) della Sardegna non conoscono nulla e, quindi, dell’isola nulla o poco capiscono.

Certo, può capitare (ed è capitato) che un occhio esterno, disinteressato, fosse in grado di cogliere e raccontare ciò che il giornalismo isolano (che, ricordiamolo, prima di scrivere qualcosa di pesante chiede quasi sempre il permesso alla politica) non sapesse e non volesse fare. Ricordo, ad esempio, gli straordinari pezzi dell’inviato del Sole 24 Ore Mariano Maugeri, che hanno raccontato per anni le contraddizioni della politica sarda, senza fare realmente sconti a nessuno, nemmeno alla scalcagnata genia degli imprenditori isolani.

Ma ricordo anche un interessantissimo approfondimento di Rai Tre firmato da Giorgio Galleano e dedicato ai tesori archeologici della Sardegna. Faccio questi esempi per dire che il giornalismo non è una questione di carta di identità, ma semplicemente di metodo, capacità e preparazione.

Ed è per questo che lasciano senza parole tutti i i luoghi comuni riguardanti la Sardegna che spesso ritroviamo nelle grandi testate italiane. Quante notizie offerte senza contestualizzazione! E soprattutto, quanti “buchi” presi, e cioè quante notizie che partendo dalla Sardegna avrebbero realmente potuto interessare una platea più ampia e che invece vengono continuamente e clamorosamente ignorate, in barba a qualunque tipo di regola giornalistica che dovrebbe valere a qualunque latitudine del globo terracqueo!

Perché avviene tutto ciò? Perché, ed è ovviamente la mia personalissima opinione, per il giornalismo italiano che si muove lungo l’asse Roma-Milano, la Sardegna, banalmente, non esiste. 

Non esistono i suoi problemi, non è compresa la sua complicata vicenda storica e perfino politica spicciola viene ignorata (come spiegare il Psd’Az, i Riformatori, la galassia indipendentista a un giornalista che vuole applicare alla Sardegna gli schemi di interpretazione in auge in Italia?).

Per costoro la Sardegna è solo un posto lontano, dove non succede mai nulla di rilevante. E se succede qualcosa, in realtà è la replica di fatti già avvenuti (meravigliosi in tal senso i pezzi sulla “nuova” latitanza di Graziano Mesina).

E quando pure la Sardegna dimostra di esistere, talvolta assume sui giornali italiani la forma di notizia dai contorni curiosi, frutto di bizzarri giochi di specchi, di interpretazioni tutte politiche o culturali che crollano come castelli di carta quanto un collega (e mi sono trovato spesso in questa situazione) con calma riporta fatti, ricostruisce geografie, squaderna biografie, totalmente in contrasto con ciò che a Milano o a Roma si pensava di quello o di quell’altro (“Ma come? Ma veramente? Pensa che invece qui **** gode di un grande credibilità!”).

Non voglio dire per quali testate italiane negli anni ho scritto, non voglio raccontare episodi di vita vissuta. Conosco la fatica del collaboratore che si sforza di far passare una notizia che a Milano o a Roma quasi mai capiscono.

Dico solo che la Sardegna continua a rimanere afona nelle redazioni che contano. Perché è difficile far capire ai capiservizio cosa succede in un’isola di cui normalmente non si occupano mai e di cui ignorano gli elementi più banali. 

 E infatti oggi il più grande giornalista sardo è Beppe Severgnini. È lui che si è assunto l’onore di fare da mediatore tra la realtà sarda e quella italiana. Lo fa chiaramente a modo suo, cioè da italiano e non da sardo. Ma colma un vuoto, esprime una esigenza (ed è già tanto che la senta).

Domanda: la Sardegna è l’unica regione italiana a ricevere questo trattamento? Quante notizie avete letto nell’ultimo anno riguardanti realtà periferiche come la nostra? Ecco, appunto.

Quindi, come se ne esce? In un solo modo: migliorando la qualità del giornalismo sardo. Raccontando di più e meglio ciò che avviene nella nostra isola. Favorendo il pluralismo per limitare i condizionamenti, facendo parlare le notizie e le persone e non solamente la politica (che in Sardegna decide novanta volte su cento se una notizia è tale oppure no).

È giusto stigmatizzare le minchiate come quelle che abbiamo letto, ma che le grandi testate italiane non capiscano nulla della Sardegna lo sappiamo da tempo e non c’è grande speranza che si ravvedano. 

Quello che mi chiedo è invece perché il giornalismo sardo stenti a fare quel salto di qualità di cui tutti (professionisti dell’informazione e lettori) sentiamo la necessità.

E invece non si muove nulla. Anche per questo motivo un titolo nefasto di Repubblica ci offende cosi tanto e scatena in tanti vera e proprie crisi isteriche: perché non abbiamo armi per difenderci.

Contro le nefandezze dei giornali italiani servirebbe un giornalismo sardo forte e autorevole: che però non c’è. Attrezziamoci.

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